Considerazioni circa la proposta di regolamento europeo COM(2022)695.
La proposta di regolamento COM(2022)695, avanzata dalla Commissione Europea il 7 dicembre 2022, e sottoposta alla consultazione del Parlamento Europeo, riguarda il tema della competenza, legge applicabile e riconoscimento delle decisioni e atti pubblici in materia di filiazione, nonché la creazione di un certificato europeo di filiazione.
La proposta, che si colloca nell’ambito della strategia dell’UE per l’uguaglianza LGBTIQ, e che per essere approvata richiede l’unanimità degli Stati membri (art. 81, par. 3, TFUE), contiene tre ordini di misure:
- la previsione di norme comuni sulla competenza e sulla legge applicabile per l’accertamento della filiazione in uno Stato membro in situazioni transfrontaliere;
- la previsione di norme comuni sull’automatico riconoscimento in uno Stato membro delle decisioni giudiziarie e atti pubblici in materia di filiazione rese da un altro Stato membro
- l’istituzione di un certificato europeo di filiazione.
Tutte e tre le misure presentano criticità di base, che attengono all’impostazione di fondo delle misure stesse ancor prima che ai dettagli di esse.
Si esaminano partitamente le tre misure evidenziandone le relative criticità.
1. Norme comuni sulla competenza e sulla legge applicabile per l’accertamento della filiazione in uno Stato membro in situazioni transfrontaliere
La proposta di regolamento segna una deroga ai principi di cui alla L. n. 218/1995 sancendo che la legge applicabile all’accertamento della filiazione non sarà più la “legge nazionale del figlio o, se più favorevole, dalla legge dello Stato di cui uno dei genitori è cittadino, al momento della nascita” (art. 33 L. n. 218/1995), bensì in primo luogo “quella dello Stato di residenza abituale di colei che partorisce al momento della nascita” (art. 17 della proposta).
Lo spostamento del criterio di individuazione della legge applicabile all’accertamento della filiazione, dalla legge nazionale del figlio o da quello della cittadinanza dei genitori, alla legge dello Stato in cui la partoriente risiede al momento della nascita, non soltanto dà per presupposta la possibile diversità tra la partoriente e il genitore senza apporre alcune specificazione al riguardo (rendendo, così, fisiologica la pratica della maternità surrogata, conformemente al quadro di promozione LGBT in cui la proposta di regolamento si colloca), ma si presta anche e in ogni caso a dar vita ad agevoli meccanismi di “forum shopping” (in senso lato).
Diversamente dal criterio della cittadinanza, previsto dal diritto interno, il criterio della residenza è infatti di agevole e rapida modificabilità, con la conseguenza che il nuovo regime si presterebbe a incentivare triangolazioni attualmente inidonee a modificare la legge applicabile al rapporto di filiazione. Inducendo la surrogante ad acquisire la residenza in Paesi che ammettono la pratica della maternità surrogata, la legge applicabile risulterebbe quella di tale Paese, anche se il parto avvenisse in Italia per conto di committenti cittadini italiani. Ciò è confermato dal considerando 51 della proposta di regolamento.
La potenzialità espansiva degli effetti del regolamento, del resto, è evidenziata dalla stessa proposta, ove si ritiene “opportuno che le disposizioni del presente regolamento relative all’attestato e al certificato europeo di filiazione si applichino anche per quanto riguarda la filiazione accertata in uno Stato membro in situazioni nazionali, ad esempio a seguito di un’adozione nazionale”, quindi non soltanto alle situazioni con elementi di internazionalità (cfr. considerando 25).
I limiti alla sindacabilità del contrasto di una norma straniera di accertamento della filiazione con l’ordine pubblico internazionale italiano, di cui si sta per dire, determinano quindi tra le altre conseguenze che le prestazioni di maternità surrogata potranno essere svolte (almeno nella parte conclusiva) anche sul territorio nazionale, con obbligo di riconoscerne gli effetti, alla semplice condizione che la surrogante risieda in Paesi che riconoscono in capo ai committenti la qualità di genitori.
Su tale contesto si innesta la drastica riduzione delle possibilità di far valere, in sede di giudizi di accertamento della filiazione (e di riconoscimento di essi negli altri Stati membri), l’inapplicabilità delle disposizioni di una legge straniera per contrarietà all’ordine pubblico.
Infatti, l’art. 22 della proposta (per i giudizi di accertamento della filiazione), analogamente agli articoli 31 (per i procedimenti di ricognizione delle decisioni giudiziarie in materia di filiazione emesse dalle autorità giudiziarie degli altri Stati membri) e 39 (per i procedimenti di ricognizione degli atti pubblici vincolanti emessi dalle amministrazioni degli altri Stati membri), stabilisce che “L’applicazione di una disposizione della legge di uno Stato determinata dal presente regolamento può essere esclusa solo qualora tale applicazione risulti manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico del foro. Le autorità giurisdizionali e le altre autorità competenti degli Stati membri applicano il paragrafo 1 nel rispetto dei diritti fondamentali e dei principi riconosciuti dalla Carta, in particolare l’articolo 21 sul principio di non discriminazione”.
La limitazione del vaglio di compatibilità della legge dello Stato terzo con l’ordine pubblico interno ai soli casi di incompatibilità “manifesta” e l’espresso collegamento della valutazione con l’art. 21 della Carta di Nizza (ove si prevede in particolare che “è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso … o le tendenze sessuali”), peraltro operante con possibile effetto retroattivo (art. 69, comma 2 della proposta), evidenziano come la valutazione della compatibilità con l’ordine pubblico consentita dalla proposta di regolamento si ponga ben al di sotto degli standard fissati dalla giurisprudenza nazionale (cfr., da ultimo, Cass. Civ., SS.UU., n. 38162/2022).
Tale conclusione è conclamata dall’interpretazione che la stessa relazione illustrativa offre del sistema delineato dalle norme in questione.
Invero, nella sez. V, capo III della relazione illustrativa si afferma che la clausola di tutela dell’ordine pubblico “non dovrebbe pertanto essere applicata per negare l’applicazione di una disposizione di un altro Stato che prevede la possibilità di filiazione nei confronti dei due genitori di una coppia dello stesso sesso per il solo motivo che i genitori sono dello stesso sesso” e, più avanti (sez. V, capo IV), si specifica che “per essere negato, il riconoscimento dovrebbe essere manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico dello Stato membro in cui è richiesto perché, ad esempio, i diritti fondamentali di una persona sono stati violati in fase di concepimento, nascita o adozione del figlio oppure di accertamento della filiazione. Alle autorità giurisdizionali o alle altre autorità competenti non dovrebbe essere consentito negare il riconoscimento di una decisione giudiziaria o di un atto pubblico rilasciati in un altro Stato membro qualora ciò fosse in violazione della Carta, in particolare dell’articolo 21 che vieta la discriminazione, anche dei minori. Le autorità degli Stati membri non potrebbero quindi negare, per motivi di ordine pubblico, il riconoscimento di una decisione giudiziaria o di un atto pubblico che accertino la filiazione mediante adozione da parte di un uomo solo, o che accertino la filiazione nei confronti dei due genitori in una coppia dello stesso sesso per il solo motivo che i genitori sono dello stesso sesso”.
In sintesi, soltanto a fronte della prova positiva di forme di violenza o sfruttamento subite dalla surrogante può essere negato per ragioni di ordine pubblico l’accertamento del rapporto genitoriale con i committenti secondo la legislazione dello Stato di residenza della surrogante, mentre sarà sufficiente esibire una dichiarazione di libera decisione e motivazioni altruistiche e non commerciali da parte della surrogante per escludere ogni sindacabilità.
Ciò si pone in aperto contrasto con la legislazione interna (art. 12, comma 6, della L. n. 40/2004) e con l’applicazione che di essa opera la giurisprudenza, la quale considera penalmente punibile e, pertanto, contrastante con l’ordine pubblico interno la pratica della surrogazione di maternità in ogni caso e, dunque, anche a prescindere da forme di violazione nei confronti della surrogante, poiché “la pratica della maternità surrogata, quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane” (così, da ultimo, Cass. Civ., SS.UU., n. 38162/2022; ma cfr. già Corte Cost., n. 272/2017, n. 33/2021, n. 79/2022).
Più in particolare, come noto, le Sezioni Unite hanno ritenuto che non possa essere seguita la tesi “di escludere il contrasto con l’ordine pubblico, e quindi di ammettere la delibazione, là dove la pratica della gestazione per altri sia considerata lecita nell’ordinamento di origine, in quanto frutto di una scelta libera e consapevole, revocabile sino alla nascita del bambino e indipendente da contropartite economiche. Il legislatore italiano, infatti, nel disapprovare ogni forma di maternità surrogata, ha inteso tutelare la dignità della persona umana nella sua dimensione oggettiva, nella considerazione che nulla cambia per la madre e per il bambino se la surrogazione avviene a titolo oneroso o gratuito. Indipendentemente dal titolo, oneroso o gratuito, e dalla situazione economica in cui versa la madre gestante (eventuale stato di bisogno), la riduzione del corpo della donna ad incubatrice meccanica, a contenitore di una vita destinata ad altri, ne offende la dignità, anche in assenza di una condizione di bisogno della stessa e a prescindere dal concreto accertamento dell’autonoma e incondizionata formazione del suo processo decisionale … Le Sezioni Unite non ignorano che la lettura suggerita dall’ordinanza di rimessione trova sostegno in una parte significativa del pensiero giuridico e culturale del nostro Paese, che prende le distanze dall’idea dei valori della persona che si impongono alla persona medesima, anche oltre quanto da questa voluto in maniera assolutamente libera, consapevole, integra e non condizionata. In questa prospettiva, il limite dell’ordine pubblico internazionale non sarebbe destinato ad operare quando la lex loci salvaguardi il diritto alla libertà e all’autodeterminazione della donna, alla quale soltanto sarebbe rimesso, in ultima istanza, il potere di individuare i tempi e i modi di realizzazione della sua personalità, sicché anche la scelta di accogliere l’embrione per aiutare altri a realizzare il loro progetto di genitorialità potrebbe rappresentare per la gestante un modo per realizzare la propria personalità … Il Collegio osserva, al riguardo, che il nostro sistema vieta qualunque forma di surrogazione di maternità, sul presupposto che solo un divieto così ampio è in grado, in via precauzionale, di evitare forme di abuso e sfruttamento di condizioni di fragilità. Di fronte a una scelta legislativa dettata a presidio di valori fondamentali, non è consentito all’interprete ritagliare dalla fattispecie normativa, per escluderle dal raggio di operatività dell’ordine pubblico internazionale, forme di surrogazione che, sebbene in Italia vietate, non sarebbero in grado di vulnerare, per le modalità della condotta o per gli scopi perseguiti, il nucleo essenziale del bene giuridico protetto. Invero, punendo la surrogazione di maternità in via assoluta, cioè a prescindere dalle modalità della condotta o dagli scopi perseguiti, da una parte si tutela in via immediata la dignità della gestante su commissione, dall’altra si tende a prevenire, secondo la logica della china scivolosa, eventuali derive estreme di manifestazione del fenomeno, espresse da deprecabili forme di sfruttamento di donne in condizioni di bisogno economico, vulnerabili e presuntivamente prive di apprezzabili margini di autonomia decisionale. Non è pertanto consentito al giudice, in sede di interpretazione, escludere la lesività della dignità della persona umana e, con essa, il contrasto con l’ordine pubblico internazionale, là dove la pratica della surrogazione della maternità sia il frutto di una scelta libera e consapevole della donna, indipendente da contropartite economiche e revocabile sino alla nascita del bambino”.
Ne consegue la flagrante contrarietà della proposta di regolamento con l’ordine pubblico internazionale del nostro Paese, come definito dalla giurisprudenza in relazione allo specifico problema su cui la proposta di regolamento pretende di intervenire.
2. Norme comuni sull’automatico riconoscimento in uno Stato membro delle decisioni giudiziarie e atti pubblici in materia di filiazione rese da un altro Stato membro.
Identica problematica di compatibilità con l’ordine pubblico internazionale del nostro Paese si pone in relazione al riconoscimento delle decisioni emesse da autorità giudiziarie di altri Stati membri e degli atti pubblici in materia di filiazione emessi da pubblici ufficiali di altri Stati membri.
Viene, infatti, previsto che il riconoscimento di tali decisioni e atti avvenga in via assolutamente automatica, “senza che sia necessario ricorrere a procedimenti particolari”, neppure a “l’aggiornamento delle iscrizioni nello stato civile” (artt. 24 e 36; ma cfr. considerando 60, dove si ribadisce la necessità di “aggiornare di conseguenza le iscrizioni relative alla filiazione nel registro pertinente”), e che possa essere negato dalle autorità competenti, di fronte alle quali venga invocato il rapporto genitoriale con i soggetti indicati nel provvedimento di altro Stato membro, soltanto per le ragioni tassative indicate all’art. 31 (per le decisioni giudiziarie) e all’art. 39 (per gli atti pubblici) tra cui l’ordine pubblico rileva soltanto nei ristretti limiti sopra evidenziati e incompatibili con l’ordinamento nazionale.
Lo stesso vale in relazione al caso dell’art. 45, relativo agli atti pubblici privi di effetti giuridici vincolanti nello Stato membro di origine ma dotati di mera efficacia probatoria.
3. Istituzione di un certificato europeo di filiazione
La previsione di un documento europeo ad attestazione della filiazione, in sostituzione degli attestati nazionali, sconta anzitutto un superamento delle competenze attribuite all’Unione dai Trattati e una violazione dei principi di proporzionalità e sussidiarietà. In questo, la formale garanzia di rispetto dei certificati nazionali (contemplata dall’art. 46, c. 3 della proposta), appare nella sostanza svuotata nel momento in cui gli Stati sono obbligati a rilasciare anche questa nuova forma di certificazione a richiesta degli interessati (pur essendo la richiesta facoltativa da parte degli interessati stessi, art. 46, c. 2) e a riconoscere automaticamente le certificazioni rilasciate da altri Stati membri iscrivendone i contenuti nei registri di stato civile (art. 53).
Di là da ciò, che già di per sé evidenzia le criticità di fondo del certificato in questione, risulta che per questo nuovo istituto non venga precisata in alcun modo la possibilità di disconoscimento per contrasto con l’ordine pubblico, neppure negli angusti e già di per sé insufficienti limiti previsti per i casi delle sentenze e degli atti pubblici di altri Stati membri. Il capo VI della proposta di regolamento, infatti, risulta priva di rinvii alle norme dei Capi precedenti che consentono il pur limitato sindacato di compatibilità con l’ordine pubblico.
Unitamente alle prospettive di digitalizzazione del certificato e delle forme di relativa circolazione tra le autorità degli Stati membri (art. 58 della proposta), ciò sembra determinare una pressoché completa sottrazione delle vicende di filiazione attestate nel nuovo certificato europeo alle valutazioni di compatibilità con l’ordine pubblico internazionale del nostro Paese.
Francesco Farri