Giornata ONU contro la criminalità organizzata: si celebrano i 25 anni della Convenzione di Palermo e il metodo “Follow the money” di Giovanni Falcone. Seconda di due parti.
- L’attività svolta da Giovanni Falcone nel contesto internazionale e la genesi della Convenzione di Palermo
La dimensione internazionale dell’attività giudiziaria di Giovanni Falcone, avviata con il processo Spatola, continuò a intensificarsi attraverso la sua collaborazione con le autorità statunitensi nell’inchiesta c.d. “Pizza connection”[1], iniziata negli anni ’80 e considerata come «la prima importante indagine e azione penale sull’impresa criminale transnazionale dell’FBI», che riunì in un’unica azione globale investigatori e pubblici ministeri di dieci paesi e segnò «un punto di svolta storico per la cooperazione internazionale di polizia e l’azione coordinata di contrasto, che ha anche contribuito a stabilire il successivo programma antiterrorismo dell’FBI su scala globale»[2].
Sulla base delle esigenze evidenziate dalle attività giudiziarie svolte dal pool antimafia di Palermo in ordine alle principali manifestazioni della criminalità organizzata transnazionale, già nella prima metà degli anni ’80 vennero introdotte importanti innovazioni negli strumenti normativi della cooperazione giudiziaria internazionale[3].
Tutto l’impianto del maxiprocesso venne poi a caratterizzarsi per l’inquadramento dell’analisi giudiziaria del fenomeno mafioso in un orizzonte internazionale.
Al riguardo, risulta paradigmatica la ricostruzione delle strutture e del funzionamento di “Cosa Nostra”, compiuta nel volume 5 dell’ordinanza-sentenza del maxiprocesso con una approfondita disamina delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, alla luce dell’ “importante e testuale riscontro” costituito dalle intercettazioni effettuate nel 1974 all’interno del bar “Reggio” di Montreal, appartenente a Paul Violi, dalla polizia canadese, la quale aveva trasmesso all’autorità giudiziaria italiana un rapporto di cui Rosario Livatino era stato il primo a comprendere la fondamentale valenza probatoria, dando quindi un contributo di assoluta rilevanza alle indagini condotte da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino[4].
L’esperienza sviluppata nell’arco di circa dieci anni da Giovanni Falcone nel settore della cooperazione giudiziaria giunse a coinvolgere gli U.S.A., il Canada, il Brasile ed altri paesi dell’America centrale e meridionale, come pure numerosi Stati europei – a partire dalla Francia e dalla Svizzera – e di tutti gli altri continenti, dall’Asia all’Africa e all’Australia.
Alle suddette attività giudiziarie svolte da Giovanni Falcone, si accompagnarono una serie di iniziative finalizzate alla formazione dei magistrati e delle forze di polizia di altri paesi e al confronto delle legislazioni e prassi nazionali[5].
Particolarmente significativo, ed estremamente attuale, è il contenuto di alcune relazioni tenute da Giovanni Falcone rispettivamente in Canada[6] in Messico[7] e in Germania[8]. Di notevole interesse è pure la conferenza stampa tenuta da Giovanni Falcone al termine della sua audizione pubblica del 21 marzo 1986 davanti al Committee of Inquiry into the Drugs problem in the Member States of the Community del Parlamento europeo a Bruxelles[9].
L’attività di Giovanni Falcone trovò un ampio consenso sul piano internazionale, con l’attivo coinvolgimento di alcuni dei massimi leader politici mondiali. Quando il presidente americano George Bush giunse a Roma il 26 maggio 1989 per effettuare la sua prima visita ufficiale nel nostro paese, chiese al governo italiano di conoscere e incontrare Giovanni Falcone, che quindi il giorno successivo si recò presso la residenza dell’ambasciatore statunitense a Villa Taverna, dove lo stesso Bush chiese di potergli parlare in privato[10]. Il magistrato palermitano subito dopo partecipò al ricevimento a Villa Madama, offerto dal Ministro degli Esteri italiano in onore del Presidente degli U.S.A.[11].
L’autorevolezza da cui era circondato Giovanni Falcone nel contesto internazionale, anche per il suo rapporto privilegiato con il Presidente americano, divenne oggetto di una inquietante attenzione da parte di ambienti stranieri entrati in rapporto con “Cosa Nostra”: due anni dopo, la circostanza che Bush avesse voluto il giudice istruttore Falcone accanto a sé sarebbe stata posta in risalto da alcuni soggetti appartenenti ai servizi segreti di uno Stato mediorientale al boss mafioso Francesco Di Carlo, in un incontro riservato avvenuto nel 1991 all’interno di un carcere inglese[12].
La reazione di un intero sistema di potere criminale alle prospettive di un deciso potenziamento della cooperazione internazionale, e delle strategie globali di contrasto, aperte dall’incontro di Giovanni Falcone con il Presidente degli U.S.A., non si fece attendere: meno di un mese dopo, il 21 giugno 1989, le forze dell’ordine sventarono un attentato, preordinato con la collocazione di una bomba sulla scogliera dell’Addaura contro il giudice siciliano, il quale aveva programmato di recarsi in tale luogo con Carla Del Ponte e altri magistrati svizzeri giunti a Palermo in quei giorni.
Parlando con un giornalista esperto in materia di mafia, Francesco La Licata, Giovanni Falcone si lasciò sfuggire alcune confidenze coerenti con l’idea che la sua presenza – unico magistrato italiano – all’incontro con Bush fosse stata percepita come un pericolo per gli interessi di centri occulti di potere, operanti ad alto livello in connessione con il settore del riciclaggio internazionale, ai quali era riconducibile l’attentato dell’Addaura[13].
La “rivoluzione copernicana” impressa da Giovanni Falcone alle iniziative di cooperazione giudiziaria internazionale fu accompagnata anche da un suo intenso impegno per la progettazione di un ulteriore strumento normativo destinato a determinare un netto salto di qualità nel contrasto al narcotraffico; precisamente, la Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope, adottata a Vienna nel 1988, che impose agli Stati parte un obbligo di introdurre nei rispettivi ordinamenti fattispecie associative che punissero la commissione organizzata dei reati in materia di stupefacenti (oltre a norme penali destinate a colpire tutti gli anelli della catena di produzione e fornitura illegali), valorizzò con forza gli strumenti di contrasto ai proventi illeciti dettando una disciplina della confisca estremamente moderna, ed introdusse una serie di tecniche investigative speciali – come le consegne controllate, le operazioni sotto copertura, la sorveglianza elettronica – capaci di fornire una “radiografia” completa delle reti criminali e di adeguare le metodologie di indagine agli sviluppi della tecnologia.
A questa svolta diede un impulso determinante Giovanni Falcone, il quale sin dagli anni 1983-84 aveva preso parte agli incontri del Gruppo di esperti sulla confisca dei proventi dei delitti in materia di droga, svoltisi a Vienna, le cui indicazioni furono poi recepite nella Convenzione del 1988[14].
Si trattò di un radicale cambiamento di impostazione che metteva in primo piano l’intervento patrimoniale e determinava il passaggio da una visione “individualistica” ad una analisi in termini collettivi, strutturali ed economici dei fenomeni criminali più gravi, tra cui, in particolare, il traffico di stupefacenti[15]. E’ significativo, al riguardo, che quella conclusa a Vienna nel 1988 sia stata la prima Convenzione ONU con una dettagliata disciplina della confisca.
L’impegno di Giovanni Falcone presso le Nazioni Unite proseguì anche nel periodo in cui svolgeva le funzioni di Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Palermo[16] e in quello successivo alla sua nomina a Direttore generale degli Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia (incarico assunto in data 13 marzo 1991).
In quest’ultimo periodo, il pensiero di Giovanni Falcone trovò un ampio consenso internazionale in occasione dell’incontro ministeriale sulla creazione di un efficace programma delle Nazioni Unite in materia di prevenzione della criminalità e giustizia penale, convocato dal Segretario Generale dell’ONU a Versailles dal 21 al 23 novembre 1991.
L’incontro di Versailles, al quale, secondo le testimonianze dei partecipanti, fu presente anche Giovanni Falcone, sviluppò una dichiarazione di principi e un programma d’azione, che l’Assemblea Generale dell’ONU adottò nella risoluzione 46/152 del 18 Dicembre 1991. In questo documento si stabilì che il nuovo programma avrebbe concentrato le sue attività su aree specifiche di priorità, e avrebbe indirizzato le sue energie nel fornire tempestivamente assistenza pratica agli Stati su loro richiesta. L’azione contro il crimine organizzato era una delle aree di attenzione prioritaria del nuovo programma. Sul piano istituzionale, l’Assemblea dell’ONU decise di dare vita alla Commissione sulla Prevenzione della Criminalità e sulla Giustizia Penale (Commission on Crime Prevention and Criminal Justice, indicata con l’acronimoCCPCJ), composta dai rappresentanti di quaranta governi, e destinata a divenire il principale organo di elaborazione delle politiche delle Nazioni Unite in materia penale.
La Commissione sulla Prevenzione della Criminalità e sulla Giustizia Penale tenne la sua prima sessione di lavoro a Vienna dal 21 al 30 aprile 1992. La discussione generale si concentrò sin dall’inizio sulla implementazione delle raccomandazioni dell’incontro ministeriale di Versailles[17] e si svolse in modo tale da determinare un definitivo salto di qualità nell’azione delle Nazioni Unite nel campo del diritto penale; in effetti, da tale momento, e fino ad oggi, è stata data priorità alle questioni della cooperazione internazionale nella lotta alla grande criminalità, rispetto alle ben diverse tematiche che in precedenza avevano avuto la prevalenza[18].
Tra i primi ad intervenire vi fu Giovanni Falcone, che guidava la delegazione italiana e che evidenziò la necessità di dare un taglio concreto ed operativo all’attività delle Nazioni Unite nel campo del diritto penale, la priorità assoluta da assegnare alla lotta contro la criminalità economica e la criminalità organizzata (categorie in cui dovevano essere inclusi i reati in tema di stupefacenti, corruzione, riciclaggio e frode), in considerazione della incidenza di questi fenomeni sul tessuto sociale e istituzionale di tutti i paesi, e l’attribuzione alle Nazioni Unite del compito di collaborare alla lotta contro le suddette attività criminali contribuendo alla preparazione di misure nazionali e alle norme sulla cooperazione internazionale[19].
In quello che, con ogni probabilità, fu il suo ultimo discorso pubblico in una sede internazionale, tenuto proprio un mese prima della strage di Capaci, Giovanni Falcone lanciò l’idea di una conferenza mondiale di alto livello politico per porre le fondamenta di una cooperazione internazionale contro la criminalità organizzata, considerata come un fenomeno di dimensione non più soltanto nazionale[20].
Come è stato sottolineato in una recente, accurata ricostruzione di quei giorni[21], Falcone aveva intravisto nella Commissione sulla Prevenzione della Criminalità e sulla Giustizia Penale lo strumento per coinvolgere la comunità internazionale in un’azione tesa a porre le basi per la lotta contro la criminalità organizzata transnazionale, in essa compresa, in una visione unitaria, la criminalità economica e politica. La sua strategia era di pervenire a una delibera della Commissione che sancisse la priorità, rispetto a ogni altra esigenza, della destinazione delle risorse delle Nazioni Unite a questo tema.
Si trattava di una concezione rivoluzionaria, con la quale Falcone aveva intuito la possibilità di esportare all’estero – per il tramite della cooperazione giudiziaria internazionale e dell’armonizzazione delle legislazioni – il modello da lui creato in Italia.
In effetti, all’esito dei lavori della Commissione, il 30 aprile 1992, fu adottata una delibera con indicazione dei temi prioritari, al primo posto dei quali figuravano “la criminalità nazionale e transnazionale, le attività criminali organizzate, i delitti economici, in particolare il riciclaggio, e il ruolo del diritto penale nella protezione dell’ambiente”. Si trattò di un vero e proprio trionfo mondiale, non solo per Falcone, ma per l’Italia, che apparve come l’indiscutibile apripista nella repressione della criminalità organizzata transnazionale, innovativamente vista nei suoi rapporti con la criminalità economica[22].
L’idea espressa in tale sede da Giovanni Falcone trovò poi realizzazione nella Conferenza Ministeriale Mondiale di Napoli sulla Criminalità Transnazionale Organizzata del 21–23 Novembre 1994, che adottò all’unanimità la Dichiarazione politica e il Piano di azione globale contro il crimine transnazionale organizzato, richiedendo alla Commissione sulla Prevenzione della Criminalità e sulla Giustizia Penale di esaminare la possibilità di una Convenzione sul tema in questione[23]. A ciò seguirono le negoziazioni che hanno condotto, nel 2000, all’adozione della Convenzione di Palermo.
Alla base della Convenzione di Palermo, con la sua speciale modernità, vi è quindi la visione anticipatrice di Giovanni Falcone, che ha dato un impulso fondamentale al percorso sfociato, otto anni dopo, nell’approvazione di questo strumento internazionale, aperto alla firma proprio nel luogo in cui si era svolta la sua attività giudiziaria.
La svolta da lui impressa nella lotta alla criminalità organizzata è alla base del contenuto di alcune delle più innovative previsioni della Convenzione, come quelle sulla confisca, sulle indagini patrimoniali, sulla cooperazione internazionale, sulla protezione dei collaboratori di giustizia da attuare anche mediante appositi accordi tra Stati, sulle tecniche investigative rese possibili dall’evoluzione tecnologica, come la “sorveglianza elettronica”[24].
In termini ancor più generali, deve osservarsi come l’attività giudiziaria e culturale sviluppata da Giovanni Falcone abbia rappresentato un’autentica rivoluzione copernicana, con il passaggio dalla logica della repressione delle condotte illecite del singolo alla progettazione di una strategia internazionale capace di incidere con forza sulle basi economiche del crimine organizzato, cioè su quella vastissima rete di beni e rapporti economici destinati alla conservazione ed all’esercizio dei poteri criminali. Ed è proprio questa l’impostazione di fondo da cui è scaturita la Convenzione di Palermo.
Rimane attualissimo, al tempo stesso, il suo «forte richiamo allo Stato di diritto ed al rispetto della legalità, proprio nel momento in cui l’accresciuta virulenza del crimine organizzato suscita suggestioni crescenti di interventi autoritari e di leggi eccezionali»[25]. In effetti, la Convenzione di Palermo rappresenta un esempio importante di capacità di coniugare la tutela delle garanzie individuali con l’effettività della risposta sanzionatoria e preventiva: due obiettivi che solo apparentemente sono in contrasto tra loro, e che, invece, rappresentano – anche sul piano operativo – due facce della stessa medaglia, in quanto il “diritto alla sicurezza” si associa necessariamente alla salvaguardia dei diritti e delle libertà di ogni persona umana. Questa impostazione è stata recepita in modo molto significativo proprio nella “risoluzione Falcone”, la quale sottolinea espressamente che “affrontare efficacemente la criminalità organizzata transnazionale e le sue cause profonde è essenziale per garantire che gli individui, comprese donne, bambini e membri vulnerabili della società, possano godere dei loro diritti umani e delle loro libertà fondamentali”.
Il venticinquesimo anniversario della Convenzione di Palermo rappresenta una importante occasione per focalizzare l’attenzione sui valori, appartenenti alla identità più nobile e internazionalmente riconosciuta del nostro Paese, che costituiscono la base su cui costruire il futuro della lotta alla criminalità, nel rafforzamento della democrazia. È importante che diventino sempre più un patrimonio di tutti, anche al di fuori dei confini nazionali[26], “dimostrando a noi stessi ed al mondo che Falcone è vivo”, come diceva Paolo Borsellino in un suo indimenticabile intervento del 23 giugno 1992, che ha costituito una motivazione forte per l’impegno – di volta in volta, giudiziario, sociale, politico – di un’intera generazione e ha lanciato un grande segnale di speranza nell’ora più buia.
- Da Palermo ad Hanoi
Venticinque anni fa, nel momento in cui la Convenzione di Palermo venne aperta alla firma nel nuovo Palazzo di Giustizia della città, le sue potenzialità non furono comprese in modo adeguato neppure da parte dei settori più impegnati della magistratura e dell’opinione pubblica.
Vi era anche un ostacolo culturale che allora non consentiva di cogliere alcune importanti risorse insite in questo nuovo strumento: si trattava, precisamente, dell’idea che sarebbe stato preferibile introdurre una definizione comune di “gruppo criminale organizzato” che rispecchiasse gli aspetti tipici che avevano contrassegnato l’evoluzione storica di quella che era considerata la forma paradigmatica di criminalità organizzata, e cioè la mafia siciliana, divenuta un vero e proprio “Stato nello Stato”, capace di esercitare un controllo diffuso sul territorio.
Questa forma mentis si accompagnava alla convinzione che la “nuova frontiera” in cui collocare l’azione antimafia dovesse essere rappresentata essenzialmente dalla dimensione europea.
Di recente, si è assistito a un netto ampliamento di orizzonti nel dibattito giudiziario e internazionale, dove è maturata una duplice consapevolezza.
Anzitutto, è divenuto evidente che la dimensione della criminalità organizzata transnazionale, dedita a molteplici traffici delittuosi che coinvolgono strutturalmente altri continenti, non può essere affrontata senza puntare sulla cooperazione rafforzata con i paesi “terzi”, posti al di fuori dell’Unione Europea; si pensi, ad esempio, al fenomeno emergente del cyber organized crime, nel quale la dimensione collettiva della criminalità informatica attraversa un intenso dinamismo evolutivo, coinvolgendo i settori più diversi, dai reati economici al terrorismo e al narcotraffico; o allo smuggling of migrants gestito da organizzazioni criminali con modalità che non di rado si sovrappongono alla tratta di esseri umani per fini di sfruttamento sessuale o lavorativo, determinando una riedizione postmoderna del fenomeno della schiavitù.
Inoltre, si è diffusa la consapevolezza che la definizione, dal contenuto estremamente generale, di “gruppo criminale organizzato”, accolta dalla Convenzione di Palermo, invece di rappresentare un fattore di debolezza, costituisce un importante punto di forza, perché consente di applicare la relativa disciplina in funzione del contrasto delle nuove forme di manifestazione della criminalità, comprese quelle – come il cybercrime – che avevano caratteristiche e dimensioni del tutto diverse al momento in cui essa venne firmata. Nella prassi recente, si sono riscontrati anche casi assai significativi di utilizzazione della Convenzione ai fini della cooperazione internazionale contro il terrorismo internazionale, ad esempio nel contesto sudamericano e nordafricano.
La Convenzione è quindi divenuta uno strumento polivalente e in continua evoluzione, che consente di fronteggiare con metodi costantemente aggiornati una serie aperta di fenomeni criminali collettivi.
La natura dinamica della Convenzione di Palermo costituisce un grande valore aggiunto rispetto a tutte le altre produzioni normative intervenute sulla medesima materia a livello nazionale e sopranazionale, e si ricollega a tre caratteristiche di fondo di tale strumento:
a) la sua tecnica normativa basata su “clausole generali”, suscettibili di estendersi a una vasta gamma di misure e di contesti, in modo da assicurare la continua modernizzazione della disciplina anche nei settori a più alta evoluzione tecnologica (si pensi, ad esempio, al concetto di “sorveglianza elettronica”, che ricomprende le più avanzate forme di captazione delle comunicazioni);
b) l’ampiezza del suo ambito oggettivo di operatività, in cui rientrano non solo le condotte di partecipazione ad associazioni per delinquere, riciclaggio, corruzione e intralcio alla giustizia, ma tutti gli altri reati gravi (cioè punibili con una pena detentiva massima di almeno quattro anni: una categoria, quindi, vastissima) che abbiano natura transnazionale e vedano coinvolto un gruppo criminale organizzato;
c) la vastità delle obbligazioni imposte dalla Convenzione, che includono non solo obblighi di incriminazione, misure processuali, modelli di cooperazione giudiziaria e di polizia, ma anche attività di prevenzione, di assistenza e tutela delle vittime, di protezione dei testimoni, di raccolta, scambio e analisi di informazioni, di formazione e assistenza tecnica, fino allo sviluppo economico.
Per tutte queste ragioni, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale appare sempre più come uno strumento progettato guardando al futuro.
In quest’ottica, risulta molto significativa la ampia corrispondenza di contenuto riscontrabile tra la Convenzione di Palermo ed il primo strumento normativo di dimensione potenzialmente universale specificamente predisposto per il contrasto alla criminalità informatica.
Si tratta, precisamente, della “Convenzione delle Nazioni Unite contro il cybercrime”, definitivamente approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 24 dicembre 2024 ed aperta alla firma ad Hanoi, in Vietnam, nei giorni 25-26 ottobre 2025. Essa entrerà in vigore tre mesi dopo la ratifica da parte di 40 Stati.
In questo nuovo strumento normativo vengono a convergere le rispettive logiche ispiratrici della Convenzione di Budapest sulla Criminalità Informatica, adottata nel 2001 dal Consiglio d’Europa, e della Convenzione di Palermo.
Presentano un contenuto corrispondente alle disposizioni della Convenzione di Budapest numerose norme della Convenzione di Hanoi, quali quelle sulla maggior parte degli obblighi di incriminazione, sui poteri procedurali, sull’assistenza giudiziaria reciproca, sulla istituzione di una Rete 24/7 di punti di contatto.
Rispetto alla Convenzione di Budapest, il principale valore aggiunto della Convenzione di Hanoi consiste, da un lato, in una membership potenziale assai più estesa (che comprende già 73 Stati sottoscrittori, a meno di due mesi dall’apertura alla firma), e, dall’altro lato, in una serie di disposizioni modellate su quelle della Convenzione di Palermo.
Sotto quest’ultimo profilo, meritano di essere segnalate, in particolare, le norme convenzionali incentrate sulla dimensione economica del cybercrime, come quelle sull’obbligo di incriminazione delle condotte di riciclaggio, sulla cooperazione internazionale relativa alla confisca e alle connesse attività di recupero dei beni, sulla destinazione dei beni confiscati, e la previsione dettata dall’art. 48, che richiede agli Stati parte di valutare l’opportunità di concludere accordi o intese bilaterali o multilaterali per la creazione di organi investigativi comuni.
Si tratta di un modello di organizzazione delle indagini che risulta sicuramente più ampio rispetto a quello delle squadre investigative comuni (previste dal Secondo Protocollo addizionale alla Convenzione di Budapest) e che si presta a sviluppi ordinamentali fortemente innovativi.
Non a caso, nell’ambito dei Gruppi di Lavoro della Conferenza delle Parti della Convenzione di Palermo, si è sottolineata la distinzione tra le semplici “squadre investigative comuni” (joint investigative teams), formate per svolgere attività di indagine su specifici casi entro un periodo limitato di tempo, e gli “organi investigativi comuni” (joint investigative bodies), contrassegnati da una struttura permanente e competenti per le indagini su determinate tipologie di reato[27].
In coerenza con tale impostazione, il paragrafo operativo n. 11 della “risoluzione Falcone”, nel programmare il futuro del contrasto alla criminalità organizzata transnazionale, ha invitato gli Stati parte ad istituire nuovi meccanismi che rendano più rapida ed efficace la cooperazione giudiziaria, come gli organi investigativi comuni che facciano uso delle moderne tecnologie.
Proprio la predisposizione di organi investigativi comuni facenti uso delle moderne tecnologie può essere la strategia più idonea a contrastare il cyber organized crime, per la sua capacità di promuovere una significativa velocizzazione della risposta giudiziaria, sganciata da vincoli territoriali e idonea a produrre prove processualmente utilizzabili in una pluralità di ordinamenti, sulla base della applicazione di un corpus di garanzie ampiamente condiviso.
Dare impulso a questa importante innovazione rappresenterebbe senz’altro un modo significativo di proiettare nel futuro una delle idee-guida di Giovanni Falcone, quella di adeguare incessantemente l’organizzazione delle indagini alla struttura e alle dinamiche evolutive della criminalità organizzata[28].
Antonio Balsamo
[1] Sul tema v. L. Guarnotta, La Convenzione di Palermo/3. Alle origini. Il ruolo di Palermo e di Giovanni Falcone, in Rivista di Studi e Ricerche sulla criminalità organizzata, 2019, n. 2, p. 57, che ricorda che, nel mese di ottobre del 1982 una delegazione italiana partecipò alla Conferenza internazionale delle forze dell’ordine tenutasi presso la sezione “Criminalità organizzata” del Federal Bureau of Investigation, nella sede della sua accademia a Quantico in Virginia. Di quella delegazione faceva parte Giovanni Falcone, la cui presenza fu l’occasione propizia per prendere contatti, ben presto favoriti da cordiali rapporti personali, con quelle autorità giudiziarie che, all’epoca, erano impegnate nell’inchiesta condotta dall’F.B.I., avente ad oggetto un grosso traffico di droga, denominata Pizza Connection, perché pizzerie e ristoranti venivano impiegati per coprire l’importazione dell’eroina da Palermo.
[2] Così l’ex Direttore del FBI, L. Freeh, cit. in C.J. Rooney – L.D. Schiliro, The Pizza Connection, in https://fbistudies.com/wp-content/uploads/2016/05/FBI-Grapevine-Pizza-Connection.pdf
[3] Un particolare rilievo, in questa prospettiva, va riconosciuto a due trattati risalenti agli anni 1982-1983:
- il Trattato tra gli Stati Uniti d’America e la Repubblica Italiana sulla Mutua Assistenza in Materia Penale firmato il 9 novembre 1982;
- il Trattato di estradizione tra il Governo degli Stati Uniti d’America e il Governo della Repubblica italiana firmato il 13 ottobre 1983.
Come sottolineato nell’ambito dei lavori del Comitato di collaborazione Italia-U.S.A. svoltosi a Roma il 23 e 24 giugno 1986, tra le innovazioni salienti del nuovo Trattato di estradizione vi era l’istituto della consegna temporanea di una persona per fini processuali, del quale era stata fatta applicazione in tre casi estremamente delicati: quelli di Michele Sindona, Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno. Cfr. Quaderni di Itinerari Interni, Supplemento al n. 3/2018, p. 72 ss.
Inoltre nello stesso Trattato era stata stabilita, ai fini del riconoscimento del principio della doppia incriminazione, l’assimilazione del delitto di associazione per delinquere con quello di conspiracy.
[4] Sul tema, v. lo Speciale Tg1 del 20/9/2020, “Un uomo giusto”, di M.G. Mazzola, che contiene un’accurata ricostruzione delle attività di indagine di Rosario Livatino, con le testimonianze di alcuni dei colleghi che collaborarono con lui, anche nell’analisi delle risultanze del rapporto della polizia canadese che già dal 1974 aveva delineato una struttura dell’organizzazione mafiosa largamente coincidente con quella descritta, dieci anni dopo, da Tommaso Buscetta (v. sul punto la testimonianza di Salvatore Cardinale e la documentazione sul predetto rapporto, su quello del 20/2/1984, e sulle intercettazioni ambientali eseguite presso il “Reggio Bar” di Paul Violi).
[5] Tra gli incontri di questo tipo cui intervenne Giovanni Falcone, vanno ricordati almeno:
– l’incontro operativo sulle attività internazionali della criminalità organizzata fra Italia, U.S.A. e Canada, svoltosi a Ottawa nei giorni 9-11 gennaio 1984;
– il seminario sulla criminalità organizzata organizzato dalla Harvard Law School per giudici del Guatemala dal 2 al 6 giugno 1988;
– la visita del 1991 in Australia, finalizzata ad una serie di discussioni di alto livello con l’Australian Federal Police, l’Australian Bureau of Criminal Intelligence, la National Crime Authority e la NSW Independent Commission Against Corruption; all’esito di tale visita, fu formalizzato il Co-operation Agreement between the Australian Federal Police and the Italian State Police Cfr. l’articolo di R. McAulay in http://classic.austlii.edu.au/au/journals/AUFPPlatypus/1992/10.pdf
[6] L’intervento effettuato da Giovanni Falcone, in lingua inglese, nella riunione del Canadian Criminal Intelligence Service svoltasi a Ottawa nei giorni 21-22 maggio 1986, è pubblicato in versione italiana con il titolo: Lotta alla mafia e relazioni internazionali in G. Falcone, La posta in gioco, cit.
[7] Si tratta del ciclo di conferenze per magistrati, funzionari di polizia e ricercatori, sul tema: “La lucha contra el crimen organizado: la estrategia italiana” tenute da Giovanni Falcone nei giorni 11-13 settembre 1990 presso l’Instituto Nacional de Ciencias Penales (INACIPE) di Città del Messico. Le tre conferenze, nel testo risultante dalla traduzione simultanea in spagnolo, sono pubblicate nel seguente volume: G. Falcone, Conferencias Magistrales, La lucha contra el crimen organizado, INACIPE, Città del Messico, 2019, p. 2; la seconda di esse è pubblicata in Rivista di Studi e Ricerche sulla criminalità organizzata, 2019, n. 4, p. 95 ss., con commento di F. Cabras.
[8] La relazione dal titolo “Organisierte Kriminalität”: ein weltproblem. Die Italienische Mafia als “vorbild” für das internationale organisierte verbrechen, tenuta da Giovanni Falcone nel Congresso del Bundeskriminalamt (BKA) svoltosi nei giorni 6-7 novembre 1990, è pubblicata in Organisierte Kriminalität in einem Europa durchlässiger grenzen, BKA – Vortragsreihe, Band 36, Wiesbaden, 1991, pp. 25-35; di tale scritto è stata altresì pubblicata la versione italiana, con il titolo Che cosa è la mafia, in G. Falcone, La posta in gioco, cit.
[9] La conferenza stampa videoregistrata è reperibile al seguente indirizzo web: https://my-european-history.ep.eu/myhouse/story/950 ; nel corso di essa, tra l’altro, Giovanni Falcone spiegava: «La mafia non è affatto — e non lo è più se mai lo è stato — un problema squisitamente italiano nella misura in cui il traffico internazionale di stupefacenti certamente non può dirsi un problema squisitamente italiano».
[10] V. la ricostruzione contenuta in A. Balsamo – A. Mattarella – R. Tartaglia, La Convenzione di Palermo: il futuro della lotta alla criminalità organizzata transnazionale, Giappichelli, Torino, 2020, p. 22.
[11] F. Scottoni, Europa unita contro i narcodollari. A Villa Madama George Bush incontra Falcone per discutere della lotta alle cosche, in la Repubblica, 28 maggio 1989.
[12] Cfr. la deposizione dello stesso Di Carlo all’udienza dell’11 dicembre 2015 nel processo “Capaci bis”.
[13] F. La Licata, L’Addaura, Falcone e il Presidente George Bush, in http://www.cittanuove-corleone.net/2020/06/laddaura-falcone-e-il-presidente-george.html: «Giovanni Falcone (…) non è morto al culmine di una guerra tra buoni e cattivi ma nel bel mezzo di un “gioco grande” dove i nomi dei singoli contano poco, sovrastati da un vero e proprio sistema di potere. Quando Falcone parlò di “menti raffinatissime” a quel sistema si riferiva. E infatti aggiungeva chiari riferimenti a “centri occulti di potere capaci di perseguire altri interessi”. Questo diceva a Saverio Lodato e all’Unità. Qualche giorno dopo con il “Corriere” fu più esplicito e spiegò che il movente andava ricercato in “quello di cui mi occupo” e per ora “mi sto occupando di riciclaggio”. A me personalmente resta un cruccio: non essere riuscito a farmi spiegare il senso di una frase sfuggitagli all’indomani dell’Addaura. Mi disse: “Non ci dovevo andare. Io ho sbagliato ad andarci”. Ma dove sei andato? “Non dovevo accettare l’invito ad andare all’Ambasciata americana, a Roma. In quella sede ho avuto un incontro privato col presidente George Bush”. Inutile ogni tentativo di fargli aggiungere spiegazioni. Si infastidì per avermi detto quella frase e chiuse così: “Lo so io perché ho sbagliato”». Sulle vicende riassunte nel testo, si rinvia ad A. Balsamo, Mafia. Fare memoria per combatterla, Vita e pensiero, 2022.
[14] In particolare, Giovanni Falcone, nel periodo in cui svolgeva le funzioni di Giudice Istruttore presso il Tribunale di Palermo, partecipò ai seguenti incontri organizzati dalle Nazioni Unite:
– la riunione del gruppo di esperti incaricato di redigere uno studio in tema di confisca dei proventi illeciti del traffico di stupefacenti, tenutasi a Vienna dal 24 al 28 ottobre 1983;
– la riunione di esperti su “confisca prodotti e ricavi del traffico di droga”, svoltasi a Vienna dal 29 ottobre al 2 novembre 1984.
Egli, poi, prese parte al Quinto Congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione della criminalità e il trattamento degli autori di reati, organizzato a Milano dal 26 agosto al 6 settembre 1985.
[15] Per una più ampia ricostruzione, si rinvia ad A. Balsamo, Narcotraffico, in Enciclopedia Italiana, X Appendice, Treccani, Roma, 2020.
[16] Precisamente, in tale periodo Falcone prese parte:
– all’incontro di una delegazione della Commissione Parlamentare Antimafia italiana con rappresentanti della Commissione parlamentare per gli affari interni e sull’abuso di droghe del Parlamento del Regno Unito e della Commissione parlamentare per gli affari sociali della Repubblica federale di Germania, finalizzato a discutere iniziative comuni per la lotta contro il traffico di droga e il riciclaggio di denaro sporco, ed organizzato dall’UNFDAC (United nations fund for drug abuse and control) a Vienna nei giorni 25-26 maggio 1989; il contenuto dell’incontro e del suo documento conclusivo è riportato nella Relazione annuale approvata dalla Commissione Parlamentare Antimafia nella seduta del 20 dicembre 1989 (in legislature.camera.it/_dati/leg10/lavori/stampati/pdf/023_012001.pdf ); sul tema v. anche F. Scottoni, Summit a Vienna per battere i clan dei narcodollari, in la Repubblica, 26 maggio 1989;
– all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tenutasi a New York dal 19 al 23 febbraio 1990 ed avente ad oggetto la cooperazione internazionale nella repressione del traffico internazionale di stupefacenti;
– alle riunioni del gruppo di studio sulle conseguenze economiche e sociali del traffico di stupefacenti presso l’ONU, programmate a Vienna dal 21 al 25 maggio e dal 9 al 20 luglio 1990.
[17] Cfr. l’intervento introduttivo del Chief of the Crime Prevention and Crimlnal Justice Branch of the United Nations Office at Vienna, Eduardo Vetere, riportato nel comunicato stampa.
[18] Cfr. G. Michelini – G. Polimeni, Il fenomeno del crimine transnazionale e la Convenzione della Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, inAa.Vv., Criminalità organizzata transnazionale e sistema penale italiano: la Convenzione ONU di Palermo, a cura di E. Rosi, Ipsoa, Milano, 2007, p. 3.
[19] L’intervento di Falcone è riassunto nel comunicato stampa del 21 aprile 1992 del Servizio Informazione delle Nazioni Unite.
[20] V. sul punto la puntuale ricostruzione di D. Vlassis, The global situation of transnational organized crime, the decision of the international community to develop an international Convention and the negotiation process, in Current situation of and countermeasures against transnational organized crime, Unafei, Tokyo, 2002, p. 487.
[21] V. Esposito, Dialoghi sull’ingiustizia, Editoriale Scientifica, Napoli, 2025, p. 397 ss.
[22] V. Esposito, Dialoghi sull’ingiustizia, cit., p. 401.
[23] Cfr. D. Vlassis, op. cit., p. 481.
[24] La conoscenza, da parte di Giovanni Falcone, anche dell’esperienza americana relativa alla sorveglianza elettronica emerge con chiarezza dalle dichiarazioni di seguito riportate, rese da Louis Freeh nella sua audizione del 20 marzo 1997 davanti al Subcommittee of the Committee on appropriations del Senato degli Stati Uniti: «The other thing you do on an interim basis is you identify, by trial and error sometimes, the people who have the honesty and integrity to protect your investigations. For instance, in the early 1980’s, we found a young magistrate in Sicily, Giovanni Falcone, who we found by experience could be trusted with our most sensitive investigations. He was privy to title III’s, electronic surveillance informant information, and worked, until he and his wife were murdered by the mafia, with complete trustworthiness and courage».
[25] G. Falcone, La lotta alla mafia – perché si vince coi giudici,in La Stampa, 6 novembre 1991.
[26] Sul tema si rinvia ad A. Balsamo, Il meccanismo di revisione della Convenzione di Palermo, in Il diritto penale della globalizzazione, 2019, n. 1, p. 9 ss.
[27] Sul punto v. il Background paper preparato dal Segretariato per il Working Group on International Cooperation riunitosi a Vienna nei giorni 7-8 luglio 2020 sul tema: The use and role of joint investigative bodies in combating transnational organized crime.
[28] V. in particolare G. Falcone, Il coordinamento delle indagini nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata, Lezione conclusiva del corso di Procedura penale tenuta il 13 maggio 1992 presso l’Università di Pavia, adesso in G. Falcone, La posta in gioco, cit.