Le sentenze 2025 della Corte Costituzionale stravolgono il diritto di famiglia italiano, scardinando i principi di filiazione e il ruolo del legislatore.

Con un trittico di sentenze depositate nel 2025, la Corte costituzionale ha affermato principi che mettono in discussione, come mai era avvenuto prima, non soltanto le fondamenta della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, come scolpita nell’art. 29 della Costituzione, ma anche e più in generale le fondamenta antropologiche del diritto di famiglia e il sistema dell’equilibrio fra poteri dello Stato delineato dal Costituente. 

Si tratta della sentenza n. 33/2025 (pres. Amoroso, red. Navarretta), che ha introdotto la possibilità di adozione di minori stranieri da parte di persone single; della sentenza n. 68/2025 (pres. Amoroso, red. Patroni Griffi), che ha imposto l’automatico riconoscimento della “genitorialità intenzionale” del partner dello stesso sesso del genitore biologico che aveva condiviso il “progetto procreativo”; da ultimo, della sentenza n. 115/2025 (pres. Amoroso, red. San Giorgio), che ha esteso il diritto al congedo di paternità alla donna partner della madre del minore. 

Perno della “rivoluzione” perpetrata nel 2025 dalla Corte Costituzionale in materia di diritto di famiglia è la sent. n. 68/2025. 

Fino a quella sentenza, la protezione del miglior interesse dei minori nelle situazioni generative caratterizzate da elementi di medicalizzazione artificiale, che si innestavano su un contesto generativo diverso da quello della filiazione naturale o legittima, veniva risolta dal legislatore e dalla giurisprudenza mediante l’istituto dell’adozione in casi particolari. 

Tale istituto salvaguardava la prerogativa del legislatore di presumere il miglior interesse del minore a fruire della genitorialità di coloro ai quali era biologicamente collegato (se del caso anche in via presuntiva, nel caso di concepimento in costanza di matrimonio, ex art. 232 cc), con possibilità di deroghe in entrambi i sensi (negando tale genitorialità nel caso di inadeguatezza e, affermando, al contrario tale genitorialità anche al di fuori dei legami biologici in caso di particolare meritevolezza verificata mediante i procedimenti di adozione). Questo sistema era stato considerato sempre adeguato da parte, sia della giurisprudenza costituzionale, sia della giurisprudenza sovranazionale, anche nei casi più delicati della maternità surrogata.

Con la sentenza n. 68/2025, la Corte costituzionale ha invece deciso di recidere tale nesso, contestando la potestà del legislatore di collegare il riconoscimento automatico della genitorialità alle sole ipotesi di legame biologico (accertato o presunto) e imponendo che esso venga invece riconosciuto anche in casi di “genitorialità” puramente “intenzionale”.

La pretesa della Corte costituzionale di affermare che ciò corrisponderebbe al miglior interesse del minore denota un’intrusione, non solo nelle potestà del legislatore, ma anche in quella dei giudici di merito, cui soltanto dovrebbe spettare la valutazione caso per caso di tali circostanze.

Quanto al legislatore, esso deve ritenersi avere pieno titolo a sancire presunzioni che colleghino l’automatico riconoscimento della idoneità genitoriale ai genitori biologici (accertati o presunti tali). Il fondamento di ciò proviene, non già da una scelta irrazionale del legislatore italiano, come ritiene la corte costituzionale, bensì da millenni di storia umana, quindi dai fondamenti dell’antropologia, secondo cui, se per procreare un figlio la natura ha disposto che per la specie umana occorressero un uomo e una donna, è inevitabile presumere che sia questa l’unica condizione nella quale il miglior interesse del minore può presumersi automaticamente assicurato (salvo naturalmente la possibilità di provare l’inidoneità genitoriale di coloro che lo hanno concepito). Tanto appare imposto dal principio di realtà. 

La Corte costituzionale, disconoscendo questa legge di natura, non ha solo trascurato il principio di razionalità di cui all’art. 3 Cost., ma ha anche spinto il sindacato di ragionevolezza delle scelte del legislatore ben oltre i limiti che gli sono propri e che delimitano l’ambito entro il quale può essere sindacata la valutazione di “compatibilità” richiesta dall’articolo 30, terzo comma per l’equiparazione delle tutele giuridiche e sociali dei figli nati fuori dal matrimonio, concetto chiaramente riservato dalla costituzione ai figli naturali e non anche esteso alla “genitorialità” puramente “intenzionale”.

Nel far ciò, la Corte ha anche introdotto, nella valutazione del miglior interesse del minore, elementi economicistici, come l’interesse all’estensione della responsabilità patrimoniale dei genitori, che segnano uno dei punti più bassi della visione dell’uomo emersa nei settant’anni della giurisprudenza della consulta.

La decisione n. 68/2025 crea dunque un precedente di portata dirompente dell’intero assetto del diritto di famiglia italiano, al quale, se non si assisterà a uno scatto di recupero di ragionevolezza da parte della Corte stessa, future sentenze potranno appellarsi per demolire punto per punto una molteplicità potenzialmente indefinita di istituti giuridici di quello che fu il diritto di famiglia italiano. 

Ne costituisce un esempio proprio la sentenza n. 115/2025, pubblicata il 21 luglio. Essa rende esplicito il presupposto della sentenza precedente, richiamata in più punti della motivazione, affermando a chiare lettere la “finalità di favorire l’esercizio dei doveri genitoriali secondo una migliore organizzazione delle esigenze familiari, in un processo di progressiva valorizzazione dell’aspetto funzionale della genitorialità, che resta identico nelle due diverse formazioni, la coppia omosessuale e quella eterosessuale” (cfr. par. 9). 

Sembra dunque svanire ogni distinzione fra coppia omosessuale e coppia eterosessuale (significativamente citate dalla Corte proprio in quest’ordine) e ogni possibilità per il legislatore di valorizzare la differenza e la complementarietà fra figura paterna e figura materna. La Corte sembra dunque affrettarsi lungo il pendio scivoloso che essa stessa ha provocato, avviluppandosi su una lettura massimalista del principio di uguaglianza, prigioniera di un lezioso astrattismo giuridico che allontana sempre più la sua giurisprudenza in materia di diritto di famiglia dal principio di realtà.

Venendo alla sentenza n. 33/2025, essa dichiara di aver aperto all’adozione dei minori da parte dei single per ragioni di pura esigenza sociale (par. 9.1 e 9.4), quindi al di fuori degli istituti fino ad oggi previsti dall’ordinamento, i quali garantiscono specialità delle condizioni (“rispondono, evidentemente, a precise rationes”, come riconosce lo stesso par. 6.3 della sentenza).

Anche in tal caso la Corte ha esercitato un sindacato di merito penetrante come forse non mai nelle scelte del legislatore, dando una lettura amplissima all’art. 2 Cost., conferendo una copertura costituzionale alla Carta europea dei diritti dell’uomo persino più ampia di quanto non richieda la corte europea diritti umani stessa (par. 7.1) e trasformando (par. 9.3) la declaratoria di non incostituzionalità di cui alla sent. n. 183/94 in un obbligo per il legislatore di compiere determinate scelte a pena di incostituzionalità. Infatti, una convenzione sull’adozione dei minori del 1967 consentiva agli Stati di introdurre anche l’adozione da parte dei singoli. L’Italia l’ha ratificata senza avvalersi di questa possibilità. La Corte Cost., con la sentenza 183/94, ha confermato che la legge di ratifica di questa convenzione era legittima, ma non ha certo affermato l’obbligo per l’Italia di accedere a quella possibilità. La sentenza del 1994, infatti, rimetteva l’eventuale decisione sul punto a una scelta legislativa (par. 5, ultimo periodo): quest’anno, invece, l’ha compiuta la Corte costituzionale.

Leggendo questa sentenza alla luce della successiva n. 68/2025, nessun limite sembra poter sussistere più alle adozioni e finanche al riconoscimento automatico della filiazione in qualsiasi condizione, anche da parte di più di due persone, non importa se dello stesso sesso o di sesso diverso.

Gli ultimi interventi della Consulta in materia di diritto di famiglia, che hanno sancito una autentica “rivoluzione” rispetto alla giurisprudenza consolidata (già di per sé non certo conservatrice), richiedono un ripensamento approfondito del ruolo del legislatore e della Corte stessa. Del legislatore, al fine di recuperare prerogative di regolamentazione che devono continuare a ritenersi a esso spettanti pure a fronte di decisioni asistematiche, talora ultra vires, da parte del giudice costituzionale. Del giudice costituzionale, al fine di ricordare che il potere supremo di cui dispone non significa “libito” poter far “licito” in propria legge e che anch’esso, come tutti i consessi umani, può commettere degli errori e in questo caso è meglio riconoscerli, facendo overruling dei propri precedenti errati, piuttosto che perpetuare indefinitamente gli errori stessi, con danni irreparabili per l’ordinamento.

Francesco Farri 

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