- Ha ragione il Premier Conte a cantare vittoria dopo il Consiglio europeo del 23 aprile, che ha deliberato il recovery fund? In realtà la ‘chiacchierata’ in videoconferenza tra i Capi di Governo UE si è limitata a prevedere l’istituzione per il futuro di un fondo di 320 miliardi di euro, da costituire attraverso l’emissione di obbligazioni comuni, garantite dall’Unione, da distribuire fra gli Stati membri: non si sa quando, se è vero che la presidente della Commissione von der Leyen ha avuto l’incarico di predisporre un piano da presentare il 6 maggio che dovrebbe essere approvato, all’unanimità, entro giugno. Ma certamente non prima di gennaio 2021, trattandosi di misura agganciata al bilancio UE 2021-2025, tant’è che si dovrebbe immaginare una soluzione-ponte decorrente dal 1° luglio 2020.
Non solo i tempi sono lunghi, ma non vi è accordo su come i soldi dovrebbero essere corrisposti: se a titolo di prestito, quand’anche a tasso zero di interesse – come vorrebbero Germania, Olanda ed Austria -, ovvero a fondo perduto, come invece hanno chiesto Italia, Spagna Grecia e Francia. E se anche prevalesse il compromesso di una percentuale paritaria, appare difficile che ciò sia accettato dai Paesi del Nord che, in quanto contributori netti del bilancio comunitario (versano più di quanto non venga loro restituito come sussidi comunitari; ma tale è anche la condizione dell’Italia), non hanno nessun piacere di aiutare in misura maggiore degli Stati in difficoltà, visti come le evangeliche vergine stolte che hanno consumato l’olio in attesa del …virus!
- È stato stabilito che il recovery fund sia agganciato alla previsione di cui all’art. 122 TFUE-Trattato di Lisbona sul Funzionamento dell’Unione Europea, che è la norma su cui fu basato nel 2010 il regolamento istitutivo del MESF, poi modificato nell’attuale MES-Meccanismo Europeo di Stabilità, il fondo salva-stati, contestualmente sancito, nella riunione del 23 aprile, in forma di condizionalità light, con il limite del 2% del PIL del Paese richiedente e del vincolo di destinazione dei costi per fronteggiare l’epidemia. L’art. 122 TFUE al co. 1 consente che “fatta salva ogni altra procedura prevista dai trattati, il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano particolari difficoltà nell’approvvigionamento dei prodotti”. Al co. 2 però, inspiegabilmente ignorato anche dai migliori commentatori, aggiunge che “qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato”.
Ricordo che i provvedimenti operativi adottati dalla Commissione il 23 aprile hanno riguardato soltanto il SURE (fondo di sussidio per 100 mld per finanziare la cassa integrazione europea), il fondo di 200 mld della BEI (Banca d’Investimenti Europea) per progetti di investimento a favore delle imprese, e il MES a bassa condizionalità: quanto a quest’ultimo, a parte le limitazioni suddette, tra un anno bisognerà stabilire le condizioni di rimborso secondo le regole attuali che prevedono l’imposizione da parte della trojka europea di politiche di bilancio al Paese indebitato, che di fatto dovrà così rinunciare alla propria sovranità economica, come accaduto alla Grecia. Tali regole, peraltro, per essere cambiate richiedono il voto unanime di tutti Paesi membri! Lo stesso recovery fund, se e quando effettivamente operativo, andrà soggetto all’art. 122 TFUE, almeno per la parte di sovvenzioni che andranno restituite, alle “condizioni determinate” dalla Commissione perché il Paese membro recuperi “il controllo delle circostanze eccezionali” da cui è “minacciato”.
- Come sarà quindi possibile per l’Italia rinunciare ai circa 36 mld offerti con il MES light, a fronte dell’impossibilità di attendere i tempi più lunghi di erogazione del recovery fund? Il Premier italiano potrà continuare a vantare la novità storica che la Germania abbia finalmente accettato, almeno di principio, l’emissione di obbligazioni garantite direttamente dall’Unione, finalizzate alla concessione di prestiti a fondo perduto che i singoli Stati dovranno finanziare, anche, con contributi diretti e maggiori garanzie, proporzionali al proprio PIL: quindi di fatto con un effetto di distribuzione del debito pubblico degli altri Paesi, e conseguente accollo proporzionale sul bilancio tedesco. Riesce però difficile ascrivere al Presidente del Consiglio e all’Italia il merito di tale novità, addebitabile piuttosto all’esigenza tedesca di pianificare un piano alternativo al sostegno che la BCE sta già fornendo con l’ampliamento del QE-quantitative easing e con l’eliminazione di ogni sua limitazione.
Tale impegno della Banca Centrale Europea era già teso a evitare il rischio della ridenominazione, cioè del default e della ristrutturazione del debito di alcuno degli Stati membri, e a impedire, con la sottoscrizione dei titoli di Stato dei Paesi in difficoltà, l’ampliamento dello spread, sì da porre lo Stato emittente nella necessità di attirare gli investitori con un tasso di rendimento insostenibile ai fini della restituzione dell’obbligazione. Esso ha avuto ulteriore significativo sviluppo con la comunicazione del Consiglio Direttivo BCE del 21 aprile, con l’assenso del consigliere germanico, Isabel Schnabel: con esso, dopo l’eliminazione del c.d. capital key, cioè della sottoscrizione limitata fino al 33% di emissione o comunque in proporzione alla quota detenuta nell’azionariato della stessa Bce da parte dello Stato emittente, la presidente della BCE Lagarde ha affermato che sarebbero stati acquistati, fino a settembre 2021, possibilmente nell’ambito del PEPP –Pandemic Emergency Purchase Programme-Programma di Acquisto per l’Emergenza della Pandemia, istituito lo scorso 23 marzo fino a concorrenza di 750 mld, anche junk bond, cioè titoli c.d. ‘spazzatura’, di rating BBB—: tale dichiarazione ha preceduto di due giorni la valutazione periodica di Standard’ & Poor’s, con cui si temeva il downgrading dell’Italia, attualmente solo due gradini sopra il rating junk. Essa è rimasta, invece, stabile (post hoc, propter hoc?).
- La Germania e la sua Cancelliera attendono l’esito della decisione che la Corte Costituzionale di Karlsruhe deve dare domani 5 maggio sulla compatibilità del QE con la Grundgesetz. Se ne fosse riconosciuta l’illegittimità costituzionale, “creerebbe immediatamente una crisi politica. La Germania uscirebbe dall’euro. Berlino avrebbe un’opzione di uscita credibile. Ma un ritorno al D-Mark creerebbe uno shock economico e politico. E i tedeschi sarebbero pazzi ad esercitare questa loro opzione, per quanto possano odiare la Bce. Il crollo della zona euro sarebbe una catastrofe” (così Martin Wolff, capoeconomista del Financial Times, 24.04.2020).
Il recovery fund costituirebbe quindi l’alternativa per evitare tale prospettiva, invero il preludio della fine dell’Europa unita, almeno come la conosciamo, in un contesto geopolitico che già a oggi vede la longa manus della Cina allungarsi sulla penisola occidentale del continente asiatico. Essa è evidente non solo per le comunicazioni digitali di fonte cinese e russa, tese a screditare la reazione europea alla pandemia e ad allargare il fossato atlantico con gli USA, ma ormai pure a mezzo delle inserzioni sul web di siti come venderefacileaicinesi.com.
Se dunque l’alternativa per la Germania è comunque nel senso di dovere rinunciare al suo rigore ordoliberistico, ben peggiore è quella che si prospetta per l’Italia, fra la definitiva devoluzione della propria politica economica alla Commissione di Bruxelles e il default del debito sovrano, che porterebbe all’acquisto a prezzi meno che da saldi del nostro sistema Paese da parte del rosso Dragone giallo: solo insipienza o, peggio, intelligenza politica con il “nemico”, da parte del governo giallo-rosso?
Renato Veneruso
Avvocato
* articolo anticipato in sintesi da Il Quotidiano del Sud del 28 aprile 2020