La recente ordinanza della Corte di Appello di Napoli del 31 marzo scorso si è pronunciata in favore della trascrivibilità del matrimonio contratto all’estero da due persone dello stesso sesso, nel caso di specie due cittadine francesi residenti in Italia che avevano chiesto all’ufficiale di stato civile del comune di residenza la trascrizione dell’atto di matrimonio contratto in Francia. Sul diniego di trascrizione si era pronunciato, in prima istanza, il Tribunale di Avellino, confermando l’operato dell’ufficiale di stato civile. Le due donne hanno proposto, così, reclamo alla Corte di Appello di Napoli.
La pronuncia interviene in un momento in cui la questione sembrava risolta, per un verso, dal la sentenza della Cassazione civile nr. 4184/2012 e, per altro verso, dall’ intervento del Ministero dell’Interno con la circolare del 7 ottobre 2014 , confermata nella sostanza dal TAR Lazio del 9 marzo 2015 (salva la competenza ad annullare dell’A.G.O. piuttosto che del Prefetto) .
La motivazione della Corte d’Appello partenopea ruota intorno al dato secondo cui la sentenza della S. C. del 2012, riguardando due cittadini italiani richiedenti la trascrizione del matrimonio contratto all’estero, non sarebbe applicabile al diverso caso in cui a fare la medesima richiesta di trascrizione siano due cittadine non italiane. Nel motivare, quindi, la trascrivibilità dell’atto di matrimonio sulla scorta dell’applicazione dell’art. 19 d.p.r. n.396/00 (secondo il quale “Su richiesta dei cittadini stranieri residenti in Italia possono essere trascritti, nel comune dove essi risiedono, gli atti dello stato civile che li riguardano formati all’estero”), la Corte coglie l’occasione per dedicare un’ampia premessa alle ragioni per le quali la differenza di sesso non sarebbe più presupposto del matrimonio nel diritto italiano.
Per vero, il quadro di riferimento sia normativo che interpretativo sembra militare in senso contrario a quanto affermato dalla pronuncia in esame.
Intanto, va ricordato che la normativa nazionale, che non consente la celebrazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e la sua trascrizione nei registri dello stato civile, è stata ritenuta costituzionalmente legittima.
Con sentenza n. 138 del 2010 la Corte Costituzionale ha, infatti, affermato che l’art. 29 Cost. si riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice civile come unione tra persone di sesso diverso e questo significato del precetto costituzionale non può essere superato con un’interpretazione creativa né, peraltro, con specifico riferimento all’art. 3, comma 1, Cost., le unioni omosessuali possono essere ritenute tout court omogenee al matrimonio. Sempre la Consulta, con la più recente sentenza n. 170 dell’11 giugno 2014, è intervenuta sulla normativa che prevede l’automatica cessazione degli effetti civili del matrimonio in caso di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei due coniugi, affermando che “la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente (cui conferisce tutela l’art. 29 Cost.) è quella stessa definita dal codice civile del 1942 che stabiliva e tuttora stabilisce che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso (sentenza n. 138 del 2010”,punto 5.2. del Considerato in diritto), e segnalando il requisito dell’eterosessualità del matrimonio (punto 5.1. del Considerato in diritto). Pur ritenendo che tra le formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., in grado di favorire il pieno sviluppo della persona umana nella vita di relazione rientri anche l’unione omosessuale, la Corte Costituzionale ha evidenziato che spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità politica, individuare con le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette.
Pertanto, in base all’attuale normativa nazionale, il matrimonio celebrato all’estero tra persone dello stesso sesso risulta privo dei requisiti sostanziali necessari per procedere alla sua trascrizione, ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 396/2000, come confermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha affermato che “l’intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende non più dalla loro inesistenza e neppure dalla invalidità, ma dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano” (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 4184 del 2012).
Come chiarito dal TAR Lazio nella sentenza n. 3912/2015, la disciplina nazionale non risulta in aperto contrasto con la normativa europea, se si considera quanto stabilito dagli articoli 12 della CEDU e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (cd. “Carta di Nizza”). Segnatamente, l’articolo 12 della CEDU, infatti, stabilisce che “uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto“, e, quindi, fa riferimento alla nozione tradizionale di matrimonio fondato sulla diversità di sesso dei nubendi, rinviando alla legislazione dei singoli Stati per la disciplina delle condizioni che regolano l’esercizio del diritto. L’articolo 9 della Carta di Nizza, invece, prevede che “il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio“, omettendo il riferimento alla diversità di sesso dei nubendi e lasciando, così, al legislatore nazionale la possibilità di riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso.
In tale contesto normativo europeo, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, con pronuncia del 24 giugno 2010 (noto caso Schalk e Kopf contro Austria), ha affermato che il rifiuto dell’ufficiale di stato civile di adempiere le formalità richieste per la celebrazione di un matrimonio tra persone dello stesso sesso non contrasta con la CEDU, osservando che il matrimonio ha connotazioni sociali e culturali radicate che possono differire molto da una società all’altra sicché, va rimessa ai legislatori nazionali di ciascuno Stato aderente la decisione di permettere o meno il matrimonio omosessuale e la conseguente decisione in merito alla trascrivibilità o meno dello stesso (cfr. Corte di giustizia UE nella sentenza 31.5.2001, cause riunite C-122/99 P e C-125/99 P, circa la nozione di matrimonio come “unione di due persone di sesso diverso”).
Allo stato dell’attuale, dunque, pare potersi affermare con convinzione che le coppie omosessuali non vantano in Italia né un diritto a contrarre matrimonio, né la pretesa alla trascrizione di unioni celebrate all’estero.
D’altronde, parte della giurisprudenza di merito sembra consolidarsi sempre più intorno al principio della innegabile, profonda e sostanziale differenza tra l’unione matrimoniale tra due persone di sesso diverso e l’unione matrimoniale omosessuale sorta all’estero, precisando che pur nel diritto di vivere la condizione di coppia omosessuale, in assenza di provvedimento legislativo non può essere trascritto nei registri dello stato civile italiani il matrimonio celebrato all’estero tra due omosessuali (in tal senso, il Tribunale di Milano, 2.7.2014, il Tribunale di Pesaro, 21.10,2014, Tribunale di Treviso, 19.5.2010).
Certo, non può negarsi che esistano pronunce in senso contrario e favorevoli alla trascrivibilità dei matrimoni same sex contratti all’estero. Ad esempio, va menzionato il Tribunale di Grosseto che, pur dopo la declaratoria di nullità del famoso decreto del 9.9.2014 ( vero e proprio leading case in materia) ha ribadito nel febbraio scorso il proprio favor per la trascrivibilità dei prefati matrimoni, utilizzando argomentazioni che si ritrovano pressoché integralmente nella pronuncia della Corte di Appello di Napoli.
A fronte di un instabile quadro giurisprudenziale, vale la pena ricordare come nel 2003, in una sentenza dichiaratamente volta a stabilire un precedente, gli stessi giudici di Strasburgo abbiano avvertito la necessità di affermare − sia pure in un obiter dictum − la disponibilità della Corte europea dei diritti dell’uomo ad ammettere che in linea di principio la protezione della famiglia tradizionale rappresenta un motivo serio e legittimo idoneo a giustificare, rispetto alla Convenzione europea, una disparità di trattamento basata sul sesso o sull’orientamento sessuale (Corte europea dei diritti dell’uomo (grande camera), 24 luglio 2003, Karner c. Austria, punto 40 in relazione al punto 37.).
Motivo serio e legittimo che ci consente di rimanere saldi nella convinzione che la codificazione di forme alternative al matrimonio finirà per indebolire il significato stesso del matrimonio, finirà per alterare il modo in cui matrimonio e famiglia sono percepiti e vissuti anche socialmente e, in definitiva, per nuocere alla stessa comunità sociale. Senza che un tale snaturamento sia davvero imposto dall’esterno.
Vincenzina Maio