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  1. L’emergenza Covid-19 rischia di far crollare l’economia italiana, già in crisi prima dell’allerta sanitaria. Gli effetti della pandemia sul blocco, o sul forte rallentamento dei processi aziendali della produzione o delle vendite, riguarderanno da un lato il patrimonio, fino all’erosione del capitale, e dall’altra una possibile crisi di liquidità per il ridursi degli incassi.
    Se l’emergenza dovesse continuare fino a metà anno, la probabilità di default delle aziende italiane salirebbe dal 4,9% al 6,8%, con un minimo del 2,6% per il settore farmaceutico (in miglioramento dal 3,8%) e un picco al 10,6% per il settore delle costruzioni (dall’8,1%). Se la pandemia perdurasse fino a fino anno, la probabilità di default salirebbe fino al 10,4%, con un minimo del 7,5% e un picco del 15,4% per specifici settori: sono le previsioni dello studio Impact of the Coronavirus on the Italian non-financial corporates, pubblicato da Cerved Rating Agency [1].
    In questo contesto ogni imprenditore dovrebbe disporre di un quadro chiaro della situazione economico finanziaria aziendale, per le indifferibili azioni correttive: è utile ricordare a tutti gli imprenditori e ai responsabili amministrativi di piccole e medie imprese che il nuovo Codice della Crisi di Impresa ha introdotto l’obbligo di dotarsi di sistemi informativi e di adeguate piattaforme per controllo di gestione che faccia rilevare in anticipo eventuali segnali di crisi, e di impostare le strategie per riportare l’azienda in equilibrio economico e finanziario (art. 3 d.lgs n. 14 del 12 gennaio 2019 – Doveri del debitore).
  1. Tali obblighi organizzativi sono entrati in vigore il 15 febbraio 2019, ma la norma ha previsto in origine un termine di 18 mesi per dare modo agli imprenditori di adeguarsi prima dell’entrata in vigore di un secondo obbligo: quello di segnalare, da parte degli organi di controllo societari, i fondati indizi della crisi. Il termine di 18 mesi scadrebbe il 15 agosto di quest’anno: in considerazione delle richieste giunte dalle associazioni industriali del paese, nonché del fatto che gli organismi di composizione della crisi (OCRI) non sono ancora stati istituiti, da tempo si ipotizza un differimento per le imprese di minori dimensioni.
    Col decreto legge 2 marzo 2020, n. 9  è stata concessa una proroga di ulteriori 6 mesi in misura allargata a tutte le imprese: dunque, c’è quasi un anno a disposizione prima che scatti l’obbligo di segnalazione dei fondati indizi di crisi, punto di non ritorno per le procedure di composizione della crisi di impresa. La recente riforma della Legge Fallimentare, approvata con la legge n. 155 del 19 ottobre 2019 (c.d. Legge Rordorf) prevede l’introduzione di specifiche procedure di allerta, in presenza di indicatori di crisi, definiti come “squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario (…) rilevabili attraverso appositi indici (…) nonché l’esistenza di significativi e reiterati ritardi nei pagamenti”. In queste ipotesi l’organo di controllo societario deve avvisare l’organo amministrativo, e in caso di necessità informare l’organismo di composizione della crisi, chiamato a gestire il superamento della crisi che può sorgere da un organismo di conciliazione delle CCIAA, da un ordine professionale, o da un ente pubblico territoriale iscritto.
  1. E’ stato saggio rinviare l’entrata in vigore della norma, perché i nuovi sistemi di allerta della crisi d’impresa avrebbero potuto comportare gravi danni specialmente per le PMI: gli organi di controllo, o i creditori che avrebbero dovuto attivare la procedura di allerta nei casi previsti, avrebbero avuto il primo immediato effetto di scatenare il panico tra i creditori, i fornitori, le banche; questi ultimi immediatamente non sarebbero stati più disponibili a fornire altra fiducia all’imprenditore coinvolto, anzi si sarebbero impegnati per recuperare il prima possibile i propri crediti. La situazione attuale impone però di riflettere se tale procedura, prevista per captare anzitempo segnali di una crisi aziendale, in realtà non rischi di trasformarsi in un intralcio, un ulteriore fardello a carico dell’imprenditore.
    Il Codice della Crisi è intervenuto su una fase della vita dell’impresa fisiologicamente transitoria quale quella della sfasatura di cassa, nella convinzione di risolverla con l’intervento di figure specialistiche dotate di poteri e doveri di controllo mirati a una felice soluzione, senza tuttavia l’adeguata considerazione degli aspetti burocratico-finanziari e dell’intralcio gestionale. All’autonoma e semplice attivazione della procedura da parte del soggetto a ciò preposto potrà provvedere un altro organo collegiale sovraordinato per funzione, il quale avocherà a sé la procedura per la soluzione della crisi controversa in ambito extragiudiziale. Il nuovo organo, denominato Organismo per la Composizione della Crisi di Insolvenza (OCCRI) è istituito in ogni Camera di Commercio, ed è composto da 3 membri designati dal Tribunale, dalla Camera di Commercio e dall’Associazione rappresentativa del settore di riferimento del debitore sentito il medesimo (Art. 17, lett. C, CCII). Esso, nel volgere di tre mesi, prorogabili di altri tre, deve adottare soluzioni per ridurre lo squilibrio stipulando, ove occorra, accordi con i creditori: se ciò non accade l’iter evolverà in qualche procedura concorsuale, non escludendo come extrema ratio il fallimento.
  1. Se questo è il quadro normativo, appaiono insufficienti per le aziende in crisi le misure previste dall’art. 106 del D.L. Cura Italia, che si limitano a intervenire sui termini di approvazione del bilancio, generalizzando il termine di 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio, e sulle modalità di tenuta delle assemblee, spesso già previste negli statuti.
    L’aspetto che più preoccupa le società, soprattutto quelle che si trovano in condizioni prossime alla marginalità e che hanno un patrimonio netto limitato, è costituito dagli esiti della verifica da eseguire sulla persistenza delle condizioni economico-finanziarie di continuità aziendale, richiesta dai principi contabili nazionali emanati dall’OIC (Organismo Italiano Contabilità) all’art 29 (par. 59 c) [2] e dall’OIC all’art 11 [3]. È evidente che utilizzare i meccanismi tradizionali (rapporto delle perdite rispetto al capitale) o gli eventi e circostanze indicati dal Principio di revisione internazionale n. 570 [4], in particolare gli indicatori finanziari del par. A3 [5] con riguardo alla presenza di un’incertezza significativa sulla continuità aziendale, ovvero ancora gli indicatori della crisi previsti dal Codice delle crisi d’impresa, più sofisticati, elaborati dal CNDCEC [6] e ancora da ufficializzare (ma forse è l’occasione per rivederli), può significare la constatazione di condizioni di crisi aziendali, e il conseguente obbligo di dar luogo alle relative procedure, con probabile evoluzione negativa.
  1. Per questa ragione, almeno per i bilanci chiusi al 31 dicembre 2019, in approvazione nei prossimi mesi, si dovrebbe prevedere una moratoria anche in materia di crisi aziendale, prevedendo semmai l’obbligo di pubblicare adeguati report periodici per garantire una sufficiente informazione aziendale agli stakeholders, ove ricorrano condizioni di criticità gestionali. Potrebbero essere demandati agli organi di controllo (se ci sono), o a revisori appositamente incaricati, i compiti di redigere periodicamente (ad esempio, per semestre) una relazione sintetica sulla situazione aziendale economico-finanziaria da pubblicare nel registro delle imprese per rendere pubblico il processo di risanamento, oppure di ulteriore deterioramento qualora si manifestino evidenti segni di aggravamento della crisi, tali da richiedere realmente necessario il tempestivo avvio della procedura di allerta prevista dal codice delle crisi d’impresa.
    Il bilancio 2019 non può infatti non risentire, nelle valutazioni di fine anno, delle informazioni relative alla probabile evoluzione negativa di taluni componenti stimati dell’attivo, quali, soprattutto, il fatturato, i crediti (per i rischi d’insolvenza che si manifestano nei primi mesi del 2020) e le scorte di magazzino per i rischi di deprezzamento per quotazioni che potranno deprimersi a seguito della caduta della domanda. C’è tutto uno scenario nuovo che richiede interventi urgenti e mirati per salvaguardare l’economia nazionale.
  1. Volendo far emergere qualche aspetto positivo, va detto che le crisi possono stimolare la creatività e il cambiamento: per fronteggiare l’emergenza le aziende devono puntare all’efficienza e alla velocità, e ragionare come le startup che dispongono di risorse limitate e sono abituate a ottimizzare il lavoro massimizzando i risultati. Questa digital transformation obbligata da agenti esterni può aiutare ad apprezzare i nuovi assetti tecnologici e un nuovo approccio culturale, soprattutto nel lavoro: videoconferenze, selezione del personale, video in streaming, ma anche percorsi di apprendimento a distanza permettono di affrontare un’emergenza grave senza stravolgere le nostre vite.
    Gli strumenti ci sono: quello che serve veramente è un cambio di paradigma, senza il quale nessuna modalità innovativa potrà avere successo. Fino a quando l’innovazione sarà percepita come un rimedio tattico resteremo ancorati a modelli di management superati e sorpassati. Va creato un nuovo rapporto di fiducia tra impresa e dipendente, che non valuti più la qualità del lavoro in base alle ore trascorse davanti alla scrivania, bensì ai risultati raggiunti. Accelerare l’approccio al digitale sarà l’unico modo per garantire la sopravvivenza di molte aziende: chi ci riuscirà verrà fuori dalla crisi più forte di prima.

Dott. Daniele Onori – legal and business development specialist

[1] Gruppo Cerved: si vedano  il comunicato stampa e lo studio completo sul sito https://ratingagency.cerved.com/

[2] Fatti successivi che possono incidere sulla continuità aziendale. Alcuni fatti successivi alla data di chiusura del bilancio possono far venire meno il presupposto della continuità aziendale. Gli amministratori, ad esempio, possono motivatamente manifestare l’intendimento di proporre la liquidazione della società o di cessare l’attività operativa. Oppure le condizioni gestionali della società stessa, quali un peggioramento nel risultato di gestione e nella posizione finanziaria dopo la chiusura dell’esercizio, possono far sorgere la necessità di considerare se, nella redazione del bilancio d’esercizio, sia ancora appropriato basarsi sul presupposto della continuità aziendale. Se il presupposto della continuità aziendale non risulta essere più appropriato al momento della redazione del bilancio, è necessario che nelle valutazioni di bilancio si tenga conto degli effetti del venir meno della continuità aziendale.

[3] Rilevazione in bilancio dei cambiamenti di principi contabili. Il cambiamento di un principio contabile è rilevato nell’esercizio in cui viene adottato ed i relativi fatti ed operazioni sono trattati in conformità al nuovo principio, che può essere applicato considerandone gli effetti retroattivamente o prospetticamente.

[4] Il Documento n. 570 sostituisce il principio di revisione n. 21 del 17 gennaio 1995 e formalizza gli aspetti principali relativi alla responsabilità del revisore in merito alla correttezza dell’utilizzo del presupposto della continuità aziendale assunto come base per la redazione del bilancio.

[5] Responsabiltà della Direzione. Il presupposto della continuità aziendale è un principio fondamentale nella redazione del bilancio. In base a tale presupposto, l’impresa viene normalmente considerata in grado di continuare a svolgere la propria attività in un prevedibile futuro senza che vi sia né l’intenzione né la necessità di metterla in liquidazione, di cessare l’attività o di assoggettarla a procedure concorsuali come previsto dalla legge o da regolamenti.  Le attività e le passività vengono pertanto contabilizzate in base al presupposto che l’impresa sia in grado di realizzare le proprie attività e far fronte alle proprie passività durante il normale svolgimento dell’attività aziendale.

[6] Il CNDCEC-Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha reso pubblico il documento «Crisi d’impresa. Gli indici d’allerta» (inde il Documento) elaborato in adempimento alla delega contenuta nell’art. 13, comma 2 del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 titolato «Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza» (inde il CCI). Il Documento si compone, oltre che di una premessa e di una appendice metodologica, di una parte prima, dedicata specificatamente agli indici, in stretta attuazione alla delega ricevuta, e di una parte seconda, di più ampio respiro, ove viene invece affrontata la questione della diversa funzione che indicatori e indici assumono nel sistema degli strumenti di allerta disciplinato dal CCI.

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