Recensione alla monografia di Giuseppe Portonera.
Nell’ordinamento istituzionale degli Stati Uniti d’America, i giudici della Corte Suprema federale[1] hanno tra le varie funzioni una fondamentale, che è quella di vegliare sulle leggi che vengono varate dal Congresso federale, verificando che queste siano conformi a quanto stabilito dalla Costituzione americana. Chi ricopre tale ruolo ha un compito molto importante nella salvaguardia delle istituzioni democratiche statunitensi: secondo la giurisprudenza americana, infatti, nella Costituzione è “custodito” lo Spirito fondativo della Nazione e, in lingua originale, tale principio racchiude un significato ancora più potente che si perde nella traduzione italiana – il verbo inglese che viene adoperato è enshrined, che significa che lo Spirito della Nazione è come racchiuso all’interno di un santuario (Shrine). Pertanto, se vogliamo adoperare un’immagine allegorica, la Costituzione americana è il santuario che custodisce il fuoco dello Spirito della Nazione e quest’ultimo è sorvegliato dai “sacerdoti” della Costituzione, ossia i giudici della Corte Suprema, che s’impegnano affinché nessuno spenga la fiamma attraverso leggi incostituzionali.
Tuttavia, la giurisprudenza statunitense non è unitaria ed è caratterizzata da diverse dottrine giuridiche, che si propongono di delineare il metodo esegetico del giudice nella consultazione delle leggi e della Costituzione. Tra queste è inclusa quella dell’originalismo che ha avuto come maggiore esponente di riferimento Antonin Scalia (1936-2016), giudice della Corte Suprema dal 1986 fino alla sua morte. Nel panorama italiano, è però rimasto diffuso per lungo tempo un certo provincialismo (se non addirittura un pregiudizio ideologico) nei confronti della figura di Scalia: quest’ultimo, infatti, è sempre stato descritto come un “ultraconservatore” o un “reazionario” e, ultimamente, anche come uno dei principali responsabili della trasformazione della Corte Suprema in un’istituzione ideologicamente schierata “a destra”, che è arrivata a cancellare negli Stati Uniti il diritto d’aborto nell’aprile 2022.
Ricerche e pubblicazioni sull’originalismo sono state già pubblicate in Italia, ma è sempre stata presente una grande lacuna sulla judicial philosophy di Scalia nel mondo accademico del nostro Paese e qui sta il merito del dott. Giuseppe Portonera, assegnista di ricerca di Diritto Civile presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Forlin Fellow dell’Istituto Bruno Leoni, nell’aver pubblicato un’intera monografia incentrata sulla vita e sul pensiero del giudice italo-americano, intitolata appunto Antonin Scalia (Torino 2022). Si tratta di un saggio caratterizzato da uno stile divulgativo e non troppo tecnico, che permette anche a chi non ha una preparazione giuridica di conoscere la biografia di Scalia e la sua concezione dell’originalismo. Il dott. Portonera non ha scritto un libro apologetico e nemmeno celebrativo di Scalia, ma ha semplicemente voluto proporre un’analisi generale, aiutandoci ad abbandonare molti luoghi comuni e a cercare di valutare le potenzialità e i limiti della judicial philosophy di Scalia.
Dopo una breve introduzione, il lettore si trova subito di fronte a un capitolo che espone brevemente la biografia del giudice italo-americano, scoprendo, da un lato, dettagli fondamentali per comprendere l’originalismo e, dall’altro, curiosità per conoscere di più la persona di Antonin Scalia – come, ad esempio, il forte legame d’amicizia tra lui e Ruth Bader Ginsburg, nonostante loro due fossero agli antipodi a livello politico e giuridico, o la sua visita in Sicilia a Sommatino (la cittadina natale del padre) in compagnia di Giovanni Falcone, che in quel periodo era impegnato nel Maxiprocesso a Palermo. Il capitolo successivo, invece, ci presenta una panoramica generale del contesto storico-culturale in cui Scalia era calato e da cui è partito per sviluppare la propria judicial philosophy.
Se i primi due capitoli di Antonin Scalia hanno un’impostazione biografica e storica, i tre successivi costituiscono la parte dedicata alle opere e al pensiero di Scalia. Il primo capitolo di questa parte espone il problema dell’interpretazione della legge all’interno di diverse dottrine diffuse nella giurisprudenza americana, prima dell’avvento dell’originalismo. È in questo capitolo che il lettore verrà a conoscenza di alcuni dettagli sorprendenti: per esempio, il fatto che la Burger Court, ossia la Corte Suprema che legalizzò il diritto d’aborto negli Stati Uniti a livello federale con la storica sentenza Roe v. Wade, 410 U.S. 113 (1973), fu in realtà di orientamento conservatore, poiché la dottrina giuridica condivisa dalla maggioranza dei giudici era il judicial restraint che, in quel periodo, era più accolto dai conservatori che dai liberal. Il judicial restraint (o “restrizione giudiziaria”), che aveva come temi centrali la «tutela delle libertà economiche individuali» e le «prerogative dei singoli Stati», si opponeva al judicial activism (o “attivismo giudiziario”), che si diffuse moltissimo soprattutto nel corso degli anni Sessanta, sostenendo la «promozione dei nuovi diritti sociali e civili» e l’«espansione dell’autorità federale».
Pur essendo due dottrine in contrasto, sia il judicial restraint sia il judicial activism avevano una cosa in comune: credevano nel Living Constitutionalism, ossia nell’idea che la Costituzione potesse adeguarsi a seconda delle opinioni diffuse in un dato tempo storico. Se il judicial activism sosteneva un’interpretazione “creativa” della legge e della Costituzione, ricercando in esse nuovi diritti anche se non esplicitamente menzionati dagli enunciati normativi, il judicial restraint apriva a un’interpretazione “creativa” più prudenziale; tuttavia, per entrambi era importante «chiedersi non cosa comunicasse il tenore letterale dell’enunciato normativo, ma cosa quest’ultimo avrebbe dovuto contenere». Di fronte a questo dibattito giuridico, Scalia prese un’altra strada.
Nel capitolo successivo, veniamo a scoprire la teoria dell’originalismo/testualismo sviluppata da Scalia. Secondo tale dottrina, il compito del giudice è quello di interpretare le parole della Costituzione (originalismo) o di una legge (testualismo) secondo il significato originario (original public meaning) con cui erano intese da un individuo ragionevole della data epoca storica in cui sono state scritte, e di attenersi al testo letterale senza aggiungere elementi ad esso esterni. Inoltre, il giudice ha il dovere di applicare rigorosamente la legge così com’è scritta, mettendo da parte ogni lato creativo dell’atto esegetico.
Per Scalia, la legge è un dovere puramente “formale” e deve essere chiara, precisa e meno ambigua possibile. Possiamo, dunque, osservare come la judicial philosophy di Scalia abbia molte affinità con quel paradigma che Norberto Bobbio definì “modello giusnaturalistico”, iniziato da Thomas Hobbes. Non a caso, Hobbes sosteneva che il diritto naturale fondasse l’intero diritto positivo del Leviatano, ma solo il secondo aveva il potere coercitivo per garantire la pace e la stabilità; inoltre, le leggi erano da considerare dei doveri formali e poche leggi chiare e precise erano da preferirsi a troppe vaghe ed ambigue. Se però Hobbes fu teorico dell’assolutismo, John Locke, che fu filosofo di riferimento per i Padri Fondatori degli Stati Uniti, portò a piena manifestazione il “modello giusnaturalistico”, sostenendo la teoria del governo limitato. Pertanto, potremmo dire senza problemi che la dottrina giuridica dell’originalismo/testualismo di Scalia sia in realtà di matrice liberale.
Per Scalia era essenziale la netta separazione dei poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario) – affermata da Locke, ma soprattutto da Montesquieu nello Spirito delle leggi – al fine di garantire le libertà dell’individuo. È infatti sul principio di separazione dei poteri che si fonda il suo originalismo/testualismo, poiché Scalia osservò che le dottrine giuridiche che lasciavano spazio a creative interpretazioni degli enunciati normativi rischiavano di allargare le facoltà di uno dei tre poteri a discapito di un altro. Fu infatti questo timore di Scalia che lo portò a scrivere nella sua opinione dissenziente sul caso Morrison v. Olson, 487 U.S. 645 (1988) dei rischi che potevano esserci dietro all’independent counsel. All’epoca, egli fu l’unica voce fuori dal coro, ma, undici anni dopo, sia i Repubblicani che i Democratici al Congresso decisero di far decadere la legge istitutiva dell’independent counsel per la poca neutralità che quest’ultimo aveva manifestato. Sempre per lo stesso motivo, Scalia fu critico nei confronti di certe concezioni dello Stato amministrativo, poiché tendevano ad estendere il potere esecutivo a svantaggio di quello legislativo.
Conosciute queste basi teoriche e la loro applicazione pratica, possiamo allora capire il significato della sentenza Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, 597 U.S. __ (2022), poiché pronunciata da una maggioranza di giudici di stampo originalista. Il dissenso di Scalia verso la Roe v. Wade, 410 U.S. 113 (1973) e verso la Planned Parenthood v. Casey, 505 U.S. 833 (1992) non era basato sulle sue opinioni cattoliche o conservatrici, bensì, coerentemente alla sua visione originalista, sul fatto che il giudice dovesse rimanere tale e, dunque, limitarsi ad applicare la legge così com’è scritta. Il giudice non deve reputarsi una “guida del popolo”, ma deve rimanere nel suo ruolo neutrale di custode della legge: il rischio è, infatti, un conflitto tra magistratura e corpo politico democraticamente eletto e, nella peggiore delle ipotesi, l’ascesa di un’aristocrazia giudiziaria. Nelle sentenze Roe v. Wade e Planned Parenthood v. Casey, i giudici hanno assunto anche una funzione legislativa – che è in realtà di competenza del Congresso –, ricercando il diritto d’aborto attraverso un’interpretazione “creativa” del XIV emendamento del Bill of Rights. Nel 2022, queste due sentenze sono state “ribaltate” (overruled) dalla Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, la quale non ha cancellato il diritto d’aborto, ma lo ha reso di competenza dei singoli Stati dell’Unione nordamericana. Pertanto, se si vorrà nuovamente legalizzare l’aborto a livello federale, i gruppi pro-choice dovranno passare attraverso il Congresso e confrontarsi coi gruppi pro-life al fine di trovare un accordo: la legge che sarà firmata dal Presidente degli Stati Uniti sarà il risultato di un compromesso tra entrambe le parti, com’è nei parametri di una democrazia liberale.
Come già anticipato, la judicial philosophy di Scalia era tutt’altro che basata sulle opinioni personali del giudice italo-americano: l’originalismo di Scalia è stato, infatti, criticato dal Common Good Constitutionalism (dottrina giuridica cattolica) per il suo «“agnosticismo” valoriale». Inoltre, in alcune sentenze, Scalia prese delle posizioni tutt’altro che conservatrici: nonostante egli considerasse sacra la bandiera statunitense, nella sentenza Texas v. Johnson, 491 U.S. 397 (1989), si schierò dalla parte della maggioranza che difese il diritto di bruciare la bandiera americana, ribadendo la libertà di parola (freedom of speech) affermata dal I emendamento del Bill of Rights. Scalia, dunque, teneva ben distinte le opinioni personali dalla sua dottrina giuridica.
Naturalmente, questo non significa che Scalia sia sempre stato coerente nelle sue opinions delle varie sentenze e nemmeno che l’originalismo/testualismo sia privo di limiti o di questioni aperte. Tuttavia, nell’ultimo capitolo, il lettore si accorgerà presto della profonda influenza che Scalia ha lasciato nella giurisprudenza americana: ad esempio, il dott. Portonera fa notare come l’ultima giudice nominata dal presidente Joe Biden alla Corte Suprema, Ketanji Brown Jackson, nonostante il suo orientamento liberal, abbia stupito l’opinione pubblica per affermazioni originaliste. Infine, il dott. Portonera chiude la sua monografia cercando di rispondere a una domanda molto interessante: che contributo può dare l’originalismo di Scalia alla giurisprudenza italiana, nonostante le differenze giuridiche e culturali tra Stati Uniti e Italia? La proposta avanzata dall’autore è senza dubbio un ottimo spunto per arricchire il dibattito accademico in materia giuridica.
Francesco M. Civili, Dottore magistrale
[1] Seguendo le scelte linguistiche di alcuni giornalisti come Marco Respinti, ho scelto di accompagnare i termini come “Corte Suprema” e “Congresso” con l’aggettivo “federale” per indicare le istituzioni nella capitale statunitense, che hanno giurisdizione su tutto il territorio dell’Unione nordamericana, distinguendole da quelle dei singoli Stati. Naturalmente non riporterò costantemente l’aggettivo “federale” e, siccome Scalia è diventato noto come giudice della Corte Suprema federale, è scontato che tutte le altre volte che in questa recensione parlerò di “Corte Suprema” o di “Congresso” indicherò le istituzioni che hanno sede a Washington DC.