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Il Tribunale di Padova fa il punto sulla giurisprudenza in tema di riconoscimento del rapporto di filiazione con i nati da fecondazione eterologa e maternità surrogata.

TRIBUNALE DI PADOVA

PRIMA SEZIONE CIVILE

Il Collegio, riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei magistrati

Dott                                                                         Presidente

Dott                                        Giudice rel.

Dott                                            Giudice

ha pronunciato il seguente

DECRETO

Nel procedimento iscritto al n. V.G.     /22 promosso da:

—————           , anche quale esercente la responsabilità genitoriale di ——-

————–

                                                                                                                      -RICORRENTI-

                                              contro

UFFICIALE STATO CIVILE DEL COMUNE DI ——————–

PREFETTURA DI PADOVA

MINISTERO DELL’INTERNO

-RESISTENTI-

Con l’intervento del Pubblico Ministero

Con ricorso depositato il 4.10.22, xxx, anche quale esercente la responsabilità genitoriale del figlio minore G,  e yyy, premettendo che:

-le ricorrenti sono legate da una relazione sentimentale, non formalizzata in unione civile o matrimonio, iniziata nel 2018 e trasformata in convivenza nello stesso anno nel comune di ____________ (doc.1) e, successivamente (nel 2022), nel comune _______________ (PD)

-nell’ambito della predetta relazione sentimentale, le due ricorrenti hanno elaborato un progetto di genitorialità e, di comune accordo, hanno fatto ricorso in Spagna alla procreazione medicalmente assistita (di seguito: PMA) di tipo eterologo, praticata sulla persona di ________ ;

-in data 08/03/2022, __________ ha quindi dato alla luce G. presso la Casa di Cura di __________;

-in data 16/03/2022, le signore xxx e yyy hanno richiesto all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di ___________ l’iscrizione della doppia maternità del piccolo G (richiesta congiunta di iscrizione doppia maternità);

-lo stesso giorno, l’Ufficiale di Stato Civile di detto Comune ha comunicato il proprio rifiuto ad iscrivere nell’atto di nascita la doppia maternità (doc.9: rifiuto del Comune di ________), menzionando nel documento che la nascita del bambino è avvenuta dall’unione fuori del matrimonio tra la madre biologica del bambino, xxx , e “un uomo non parente né affine con lei nei gradi che ostano al riconoscimento ai sensi dell’art. 251 del codice civile” (atto di nascita); 

-il  Comune di ______ ha giustificato il suo rifiuto sulla base delle facoltà concessegli dall’art. 11 comma 3 del DPR n. 396/2000, nonché citando il dettato della sentenza della Corte di Cassazione n. 7668 pronunciata in data 03/04/2020 (“è legittimo il rifiuto dell’Ufficiale di Stato Civile di indicare due madri sull’atto di nascita di figlio nato in Italia da procreazione assistita praticata all’estero”);

-il Comune ha proceduto con l’iscrizione nell’atto di nascita solo della madre biologica, in forza del combinato disposto degli artt. 30 comma 1 D.P.R. 396/2000, 1comma 1 lett c) D.P.R. 126 del 2015, che ha sostituito l’art. 7 comma 1 lett. a del D.P.R. 223 del 1989, i quali postulano come nell’ordinamento italiano sia menzionabile nell’atto di nascita come madre il soggetto legato al minore da un rapporto di filiazione, che a sua volta presuppone un legame biologico/genetico, a prescindere dal luogo in sia avvenuta la pratica fecondativa.

Ciò premesso, le ricorrenti ricorrono innanzi all’intestato Tribunale ritenendo illegittimo il rifiuto del Comune di ___________ e, dunque, l’iscrizione nell’atto di nascita di G solo della madre c.d. biologica, xxx, omettendo il nome della madre, c.d. intenzionale, yyy, e ciò in violazione dell’art. 8 della L. 40/2004, che attribuisce lo stato di figlio legittimo o riconosciuto della coppia che ha espresso il consenso alle tecniche di PMA, a prescindere dal fatto che la coppia sia formata da persona di sesso diverso o dello stesso sesso.

A sostegno della domanda, invocano l’applicazione, al caso in esame, del principio del superiore interesse del minore (oggetto ormai pacificamente di riconoscimento preminente nella legislazione sovranazionale/comunitaria  e nella conseguente giurisprudenza della Corte Edu), nonché di una lettura costituzionalmente orientata della legge n. 40/2004[1], riproponendo argomentazioni proprie del vivace dibattito sia dottrinale che giurisprudenziale che, da tempo, concerne la possibilità di riconoscere la sussistenza di un rapporto di filiazione anche nei confronti di coppie, come quelle omosessuali,  che abbiano fatto ricorso alle tecniche di PMA, non perchè affette da sterilità o infertilità patologiche, ma in quanto per natura  fisiologicamente incapaci di generare, se non tramite il  ricorso a tecniche di tipo eterologo (donazione di spermatozoi di un maschio per le coppie omosessuali femminili, ovvero maternità surrogata per le coppie omosessuali maschili), ponendo dunque il problema della configurabilità,  nel nostro ordinamento, di ipotesi di genitorialità c.d. intenzionale, totalmente svincolate da un rapporto biologico con il nato (come, nel caso in esame, per la ricorrente yyy).

Secondo la tesi seguita dalle parti ricorrenti, sia la legge n. 40/ 2004, che – in generale – i principi del nostro ordinamento, consentono di operare una scissione tra i due aspetti, da un lato, della illiceità del ricorso alle tecniche di PMA fuori dai casi consentiti dalla legge stessa (da cui deriverebbero sanzioni amministrative, peraltro, solo a carico dei sanitari), dall’altro lato, della tutela dell’individuo che sia nato anche mediante il ricorso a condotte contrarie alla legge. Al nato, infatti, dovrebbe essere  comunque riconosciuta  la tutela di cui all’art. 8 L. n. 40/2004, anche nell’ipotesi di specie di coppia genitoriale femminile omoaffettiva. Anche in tal caso,  il nato dovrebbe acquisire  lo stato di figlio riconosciuto non solo della madre biologica (che lo ha partorito), ma anche della madre c.d. intenzionale, la quale, pur non avendo fornito alcun apporto biologico, è stata comunque parte integrante del progetto genitoriale, avendo prestato il proprio consenso all’utilizzazione della tecnica di PMA (in altre parole viene valorizzato, ai fini della costituzione dello status di filiazione, il dato intenzionale della coppia coinvolta in un comune progetto di assunzione di responsabilità genitoriale, rispetto al dato meramente biologico).

Secondo la parte ricorrente, oltre a rilevare che il ricorso alle tecniche di PMA da parte di una coppia omoaffettiva non si ponga in contrasto con l’ordine pubblico interno[2], tale necessaria scissione tra i due aspetti sopra evidenziati, sarebbe rinvenibile:

1. dalla stessa struttura della L. n. 40 del 2004, posto che il legislatore ha collocato, nel capo II intitolato “accesso alle tecniche“, gli articoli 4, 5 e 6 che prevedono i requisiti oggettivi e soggettivi per l’accesso alla PMA; nel capo III intitolato “disposizioni concernenti la tutela del nascituro” gli articoli 8 e 9 a tutela del nato; nel capo V intitolato “Divieti e sanzioni” l’art. 12 che, presidiando il rispetto dei requisiti soggettivi di accesso alla procreazione medicalmente assistita attraverso sanzioni amministrative per i soli operatori sanitari, non prevede alcuna ripercussione sull’instaurazione del rapporto di filiazione con il genitore intenzionale;

2. la portata onnicomprensiva del dettato letterale dell’art. 8 della legge 40/2004, rilevato anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.162/2014, secondo cui l’art. 8 non subordina affatto il conseguimento dello status filiationis al presupposto che il ricorso a PMA sia avvenuto nel rispetto dei requisiti oggettivi e soggettivi di cui agli artt.1, 4 e 5 della legge, atteso che l’art 8, facendo riferimento in generale alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (di cui la PMA di tipo eterologo è solo una species di un genus più ampio) ed alla coppia, “…rende, infatti, chiaro che, in virtù di tale norma, anche i nati da quest’ultima tecnica “hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime“;

3. la considerazione che quando era vigente il divieto assoluto di fecondazione assistita eterologa (art. 4 comma 3), oggi permessa a seguito degli interventi della Corte Costituzionale di cui alle sentenze nn. 162/2014 e 96/15, lo stesso legislatore aveva previsto all’art. 9 il divieto del disconoscimento della paternità e dell’anonimato della madre a tutela del nato che acquisiva lo status di figlio ai sensi dell’art. 8;

4. la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13000/2019, ha riconosciuto espressamente la tutela del nato da tecniche di PMA anche nell’ipotesi di illiceità di quest’ultime per insussistenza del requisito soggettivo (nel caso specifico si trattava di una fecondazione assistita effettuata post mortem del donatore del seme e, quindi, in violazione dell’art 5 della legge 40);

5. differenziare le conseguenze di PMA eseguite in assenza dei requisiti oggettivi e soggettivi dettati dagli artt. 1, 4 e 5 della L. n. 40 del 2004, varrebbe ad introdurre una inammissibile gradazione di merito sulle differenti ipotesi di violazione di legge ed una ingiustificata discriminazione per i minori nati con fecondazione eterologa da una coppia omoaffettiva, la quale è pacificamente annoverata fra le formazioni sociali tutelate ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione (cfr. art. 1 L. n.76 del 2016). Quindi affermare l’inapplicabilità dell’art. 8 al nato da PMA illecita per essere i componenti della coppia dello stesso sesso, finirebbe con il far ricadere gli effetti negativi dell’illiceità della PMA sul soggetto che non ha alcuna responsabilità per le modalità con le quali è stato concepito ed è nato[3];

6. l’anzidetta differenziazione non può poi avere alcun fondamento nemmeno in ragioni ostative al riconoscimento dello status filiationis del minore correlate alla omosessualità dei componenti della coppia, come da giurisprudenza ormai consolidata circa il pieno riconoscimento della coppia omoaffettiva come formazione sociale in cui si esplica la personalità umana;

7. l’anzidetta diversità di trattamento, peraltro, contrasterebbe altresì col principio generale sotteso alle riforme del 2012 e 2013 che hanno introdotto il concetto di status unitario di figlio, scelta che deve condurre a preferire un’interpretazione dell’art. 8 come quella proposta.

La parte ricorrente ha poi  evidenziato come la questione del riconoscimento dello status di figlio al soggetto nato in Italia da due madri e concepito mediante l’ausilio di tecniche di PMA all’estero, abbia trovato, in questi ultimi anni,  diversa e mutevole soluzione sia in sede amministrativa[4] che in sede giurisdizionale.

A tale ultimo riguardo, citava copiosa giurisprudenza di merito favorevole all’interpretazione estensiva dell’art 8 della legge 40 sopra proposta (tra le tante: Tribunale di Taranto decr. del 31/05/2022, Tribunale di Brescia decr. 11/11/2020, Tribunale di Genova decr. 4/11/2020, Corte d’Appello di Roma decr. 27/04/2020, Corte d’appello di Cagliari, Decr. 29/04/2021 n. 105), negata, tuttavia, dai Giudici delle leggi, i quali, al contrario, ritengono non compatibile con l’ordinamento interno un’interpretazione estensiva del novero dei soggetti che ex art. 5 della legge n. 40/2004 possono accedere alle tecniche di PMA (citavano, con riguardo alla fecondazione eterologa effettuata da coppie omossessuali: Cass. n.8325/2020 e Cass. N.7886/2020, quest’ultima espressamente richiamata dal Comune di _______).

Pur consapevole che il Tribunale Padova ha già manifestato in passato di aderire all’orientamento espresso dai Giudici di legittimità (nel procedimento che ha dato origine alla questione di legittimità costituzionale da cui è scaturita la sentenza n 32 del 2021 della Corte Costituzionale), la parte ricorrente, al fine di sostenere l’erroneità di tale orientamento, si riporta integralmente alle argomentazioni ben sviluppate dalla Corte d’Appello di Cagliari nel decreto 29.04.21 cit. (allegato 8 sub doc 14). Inoltre, rilevando come a seguito delle sentenze nn. 32 e 33 del 2021 della Corte Costituzionale[5] – che, come è noto, contengono entrambe un serio monito al legislatore  di intervenire al più presto per colmare il denunciato vuoto di tutela ed approntare una tutela efficace per il riconoscimento del legame giuridico tra il genitore intenzionale ed i bambini nati a seguito di PMA eterologa praticata da coppia femminile dello stesso sesso (sent n 32) e da maternità surrogata (sent n 33) –  il legislatore a tutt’oggi sia rimasto inerte, ritiene la parte ricorrente che sia compito della giurisprudenza di merito garantire una tutela ai citati minori, tramite la proposta interpretazione costituzionalmente orientata dell’art 8 della L n 40/2004. Inoltre, rammenta che già la sentenza n. 32/2011 cit. evidenziava l’inadeguatezza, ai fini della tutela del preminente interesse del minore,  dell’adozione c.d. “non legittimante” (valutazione ribadita ed ulteriormente approfondita anche dalla sent n. 33/2021) e come la Corte Cost., pur dando atto della esistenza nella materia in esame di una divergenza di interpretazioni tra i giudici di merito e legittimità,  non abbia preso alcuna posizione precisa circa la correttezza o meno dell’una o dell’altra interpretazione. Infine, evidenzia come, a seguito delle citate pronunce della C. Cost, diversi giudici di merito, ma anche la stessa Corte di legittimità, abbiano nuovamente affrontato la questione dello status filiationis di minori nati in Italia da PMA eterologa praticata all’estero da due donne, nonchè di bambini nati da maternità surrogata, anteponendo l’interesse del minore stesso rispetto alle condotte illegittime dei genitori.

Richiama, a riguardo, il già più volte citato decreto 29.04.21  della Corte d’Appello di Cagliari che, successivamente alla sentenza n 32/2021,  ha confermato la legittimità dell’operato del Comune di Cagliari che aveva provveduto ad iscrivere il nominativo di ambedue le madri nell’atto di nascita del bambino nato in Italia a seguito di PMA eterologa attuata all’estero, nonché  l’ordinanza di remissione alle Sezioni Unite n. 1842 del 21/01/2022 della 1^ sezione Corte di Cassazione, adottata alla luce della sentenza della n. 33 del 2021 in tema di maternità surrogata (qui la prima sezione, per decidere il caso sottoposto alla sua attenzione,  ha ritenuto necessario investire nuovamente della questione le Sezioni Unite, atteso che, a seguito della pronuncia n 33/2021 della Corte Cost, si sarebbe aperto un vuoto normativo, stante, da un lato, la perdurante inerzia legislativa, dall’altro, non potendo più il giudice di legittimità e di merito fare riferimento a quel “diritto vivente” costituito dalla sentenza n 12193/19 delle Sezioni Unite, che la sentenza  n 33/2021 della Corte Cost  ha ritenuto inadeguato unitamente allo strumento dell’adozione in casi particolari, a tutelare il primario interesse del minore).

Si è costituita regolarmente in giudizio l’Avvocatura distrettuale dello Stato per il Ministero dell’Interno e per la Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Padova e per il Sindaco del Comune di ____________ nella sua qualità di Ufficiale del Governo, chiedendo il rigetto integrale del ricorso. Sostiene, infatti, la piena legittimità dell’operato dell’Ufficiale di Stato Civile del comune di ______ (che, con il provvedimento impugnato, ha rifiutato la richiesta delle odierne ricorrenti di inserire nell’atto di nascita del piccolo G anche della “seconda madre”, nella persona di yyy),  stante il chiaro disposto della normativa vigente in tema di redazione degli atti di nascita formati o da formare in Italia[6], secondo cui una sola persona ha il diritto ad essere menzionata come madre nell’atto di nascita in virtù di un rapporto di filiazione che presuppone il legame biologico-genetico.

Richiama, a conferma dell’assunto, recente giurisprudenza di merito, ovvero il decreto della Corte d’Appello di Venezia del 5 maggio 2021 (conformatosi alla linea di Cass. n. 7668/2020), reso in causa RGVG 60/2021, confermativo di analoga decisione del Tribunale di Belluno del 30.10.2020-27.1.2021 resa in causa RGVG 1593/2018 (cfr. per arg. anche la recentissima Cass. S.U n. 38162/2022, nonché Cass. S.U. 12193/2019).

Contesta, inoltre, l’interpretazione dell’art. 8 della legge n. 40/2004 ex adverso prospettata, non potendosi estendere alla procreazione eterologa riguardante coppia omosessuale femminile i principi relativi alla procreazione eterologa riguardante coppie eterosessuali, nonché sottolineando che tutto l’impianto normativo in tema di filiazione e genitorialità, richiede, come suo presupposto indefettibile, la diversità di sesso dei genitori, requisito non scalfito dalle pronunce n 32 e 33/2021 della C. Cost. Inoltre, sottolinea che, nella vicenda in esame, non può prescindersi dalla normativa che, categoricamente, fissa la disciplina della forma e della sostanza degli atti dello stato civile (che, peraltro, fa da specchio al contesto normativo ordinamentale di cui sopra).

Infatti, l’art. 449 c.c. prescrive che: “i registri dello stato civile sono tenuti in ogni comune in conformità alle norme contenute nella legge sull’ordinamento dello stato civile”. Nello specifico, sotto tale aspetto, risultano violati, tra l’altro, il D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396 “Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127” e il D.M. 5 aprile 2002 Ministero dell’Interno “Approvazione delle formule per la redazione degli atti dello stato civile nel periodo antecedente l’informatizzazione degli archivi dello stato civile”. Conclude, pertanto, che, in base all’ordinamento giuridico vigente, l’ufficiale di stato civile del Comune non può validamente formare un atto di nascita in cui vengono dichiarati genitori due persone dello stesso sesso (un diverso comportamento avrebbe generato l’enunciazione, in un atto tipico dello stato civile, di dichiarazioni diverse e non coerenti rispetto a quelle che sono stabilite o permesse per ciascun atto dello stato civile dal combinato disposto degli artt. 11 e 29 del DPR 396/2000 e, in quanto tali, non ammesse).

Si costituiva in giudizio anche il Sindaco del Comune di ____________, Dott. ______, nella sua veste sia di rappresentante del Comune e sia di Ufficiale di stato civile del Comune di ___________. Tale costituzione, tuttavia, appare del tutto impropria e sovrabbondante atteso che dal ricorso notificato ben si comprendeva che evocati in giudizio erano l’ufficiale di Stato civile del Comune di _____________, quale ufficiale del Governo, la Prefettura di Padova, quale Ufficio territoriale del governo di Padova, il Ministero dell’Interno, quali amministrazioni cui è riconducibile l’attività dell’Ufficiale di Stato Civile, tutti organicamente patrocinati dall’Avvocatura Distrettuale di Venezia  cui compete la difesa in giudizio. Ne consegue che non si terrà in alcun conto dei contenuti della comparsa costitutiva in oggetto.

Interveniva in giudizio il Pm che in data 15.11.22 esprimeva parere favorevole all’accoglimento del ricorso.

Infine, in data 28.03.23 si è tenuta l’udienza camerale di comparizione delle parti avanti al Collegio, ove le stesse, a seguito della discussione orale,  si sono riportate alle argomentazioni e conclusioni dei suddetti scritti di causa, ed il Collegio si riservava la decisione.

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Ciò premesso, a scioglimento della suddetta riserva, il ricorso è infondato.

Osserva il Collegio, in primo luogo, come, nel caso in esame, non viene in rilievo la questione del riconoscimento in Italia di un atto di nascita formato all’estero di minore nato a seguito di fecondazione assistita eterologa ivi praticata da una coppia formata da due donne.

La questione, per le coppie omoaffettive femminili, è già stata risolta da Cass n 14878/17 e Cass 19599/2016 che hanno escluso la contrarietà all’ordine pubblico italiano dell’atto di nascita validamente  formato all’estero con l’inserimento della doppia maternità, ovvero della madre biologica e della madre c.d. intenzionale; ciò in ragione del principio, di rilevanza costituzionale primaria, del superiore interesse del minore alla conservazione di uno status filiationis validamente acquisito all’estero, secondo la lex loci

 (non così per il diverso caso di surroga di maternità – pratica costituente illecito penale nel nostro ordinamento ex art 12, comma 6 della L. 40/2004 – ritenuta dalle Sezioni Unite della Cass, nella sent n 12193 del 8.05.19, impeditiva della trascrizione del provvedimento giurisdizionale con cui sia stato accertato  il rapporto di filiazione con i genitori intenzionali, per contrarietà all’ordine pubblico internazionale).

Nel caso in esame, si pone il diverso problema della possibilità di formare in Italia (o meglio di  rettificare) un atto di nascita relativo ad un bambino (il piccolo G.) nato in Italia a seguito di tecnica di PMA eterologa praticata da coppia omoaffettiva femminile all’estero (tecnica  pacificamente non consentita in Italia ex Legge 40/2004 per le coppie omoaffettive).

Sulla non incostituzionalità della scelta legislativa (ex art 5 della legge 40/2004) di non consentire le tecniche di PMA a coppie dello stesso sesso, si rammenta C.Cost  n 221/2019, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 40 del 2004, artt. 5 e 12 nella parte in cui precludono alle coppie omosessuali l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita: pur confermando che l’unione omosessuale rientra nella nozione di formazione sociale di cui all’art. 2 Cost., la Corte costituzionale ha infatti osservato che “l’infertilità fisiologica della coppia omosessuale non è omologabile a quella della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive, aggiungendo che la Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli; la Corte ha poi affermato che, a fronte della possibilità dischiusa dai progressi scientifici di una scissione tra atto sessuale e procreazione, mediata dall’intervento del medico, spetta comunque alla discrezionalità del legislatore la ponderazione degli interessi in gioco, escludendo comunque l’arbitrarietà o l’irrazionalità dell’idea, sottesa alla disciplina in esame, che una famiglia ad instar naturae rappresenti, in linea di principio, il luogo più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato”.

Fatta questa doverosa premessa, deve, tuttavia, rilevarsi che, come ripetutamente osservato dalla Corte di Cassazione (vedi,  tra le ultime, sent n 23320/21), il rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di procedere all’annotazione nell’atto di nascita della doppia maternità “non da luogo ad una difformità tra la situazione di fatto,  qual è o dovrebbe essere nella realtà secondo la previsione di legge, e quella risultante dai registri dello stato civile, a causa di un vizio originatosi nel procedimento di formazione dell’atto” (posto che ex art 449 cc i registri dello stato civile sono tenuti in conformità delle norme contenute nella legge sull’ordinamento dello stato civile” e secondo l’art 30 del DPR 396/2000 solo una madre, quella biologica, ha diritto di essere menzionata nell’atto di nascita).

“L’impugnazione del predetto rifiuto, invece, traducendosi nella richiesta di un accertamento costitutivo  in ordine allo status di una persona, da luogo ad una controversia di stato, che non può essere risolta attraverso il procedimento di rettificazione previsto all’art 95 del DPR n 396 del 2000, dovendosi il giudizio svolgersi nelle forme del rito ordinario di cognizione con la partecipazione necessaria di tutti i soggetti interessati a contraddire alla domanda” (cfr. Cass., Sez. I, 21/12/1998, n. 12746; 27/03/ 1996, n. 2776; 26/01/1993, n. 951). Tuttavia, per come osservato dalla giurisprudenza citata, sebbene il presente  procedimento si sia svolto con il rito camerale prescritto dal D.P.R. n. 396 cit., art. 96, comma 3, non può certo pervenirsi ad una pronuncia di inammissibilità della domanda in quanto non introdotta nelle forme del rito ordinario, giacchè il ricorso è stato promosso nei confronti di tutti i soggetti legittimati, avendovi preso parte, oltre al Ministero dell’interno, in qualità di Amministrazione centrale cui è riconducibile l’attività dell’ufficiale di stato civile, il minore ed il genitore biologico, nonché anche il Pubblico Ministero, cui l’art. 70 c.p.c. riconosce la posizione di litisconsorte necessario nelle cause riguardanti lo stato delle persone.

La questione da analizzare, pertanto, si sposta, a monte, nella stessa possibilità di riconoscere il rapporto sottostante (di filiazione tra nato e madre intenzionale) estendendo la portata dell’art 8 della legge 40/2004 secondo la lettura costituzionalmente orientata proposta dalle ricorrenti, secondo cui, sarebbe sufficiente la genitorialità intenzionale (manifestata attraverso il consenso espresso dalla attuali ricorrenti  alla tecnica di PMA eterologa) a costituire lo status filiationis tra il nato e il genitore che non ha con esso alcun legame biologico, ma abbia condiviso con la madre biologica il predetto progetto procreativo.

Come rammentato dalle ricorrenti, proprio questo Tribunale, in caso analogo riguardante due  gemelle nate in Italia da coppia omoaffettiva femminile che aveva fatto ricorso in Spagna alla tecnica di PMA eterologa, con ordinanza 3.11.2019, ha sollevato la  questione di legittimità costituzionale che ha dato luogo alla sentenza n 32/2021 della Corte Cost.

Già in quel giudizio, il Collegio padovano – nell’ordinanza di rimessione –  si era posto il problema della necessità di approntare una tutela al nato, come soggetto portatore di diritti autonomi e distinti da quelli di coloro che hanno intrapreso il percorso procreativo, non potendo certo ricadere sul primo (in termini di limitazione dei suoi diritti, la cui tutela deve, invece, essere piena ed effettiva a mente dei parametri costituzionali e sovranazionali)  le conseguenze delle condotte illegali dei secondi; il collegio, quindi, posta la necessità  (espressa anche dalla Corte Edu nelle note “sentenze gemelle” del 2014 Mennesson c. Francia e Lambassee c. Francia)  del riconoscimento di un legame giuridico tra il nato e il genitore intenzionale (ripetesi, in considerazione del preminente interesse del nato – sancito pacificamente anche dalle norme di rango sovranazionale – alla identità personale ed alla individuazione delle persone che hanno la responsabilità di crescerlo, educarlo e soddisfare i suoi bisogni materiali e morali), si è interrogato se il nostro ordinamento contempli idonee modalità che garantiscano una tutela effettiva  per i nati da tecniche di fecondazione eterologa praticata da coppie omosessuali.

A riguardo, il Collegio,  già in allora, escludeva che gli  art 8 e 9 della L 40/2004 – nella medesima lettura oggi riproposta dalle attuali ricorrenti -, potessero consentire di attribuire lo status di figli riconosciuti ai nati a seguito di PMA eterologa effettuata all’estero da una coppia di due donne. Ciò in ragione del fatto che l’art 9, 1 comma, che disciplina le conseguenze del ricorso alla fecondazione eterologa (che, prima degli intervento demolitivi della Corte Cost sull’art 4, comma 3 della legge, era vietato in modo assoluto), statuendo che il coniuge/convivente che ha espresso il consenso a detta tecnica non può esercitare l’azione di disconoscimento di paternità né l’impugnativa ex art 263 cc[7]pur, tuttavia, fa chiaro riferimento alla sola  fecondazione eterologa praticata da coppie di sesso diverso (solo nei confronti delle quali la Corte Cost ha rimosso il limite dell’art 4, comma 3), non essendo mai venuti meno (né legislativamente né per intervento della Consulta) i requisiti soggettivi di cui all’art 5 della legge n 40/2004, tra i quali, per ciò che interessa il presente giudizio, la diversità di sesso di coloro che accedono alla fecondazione eterologa.

Peraltro, il collegio, già nell’ordinanza in commento, riportava l’allora recente sentenza della Corte Cost n 237/19, che aveva escluso l’interpretazione estensiva  dell’art 8 oggi riproposta dalle ricorrenti; precisamente con detta sentenza la Corte Costituzionale, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità della norma desumibile dagli artt. 250 e 449 c.c., dal D.P.R. n. 396 del 2000, art. 29, comma 2 e art. 44, comma 1, e dalla L. n. 40 del 2004, artt. 5 e 8 per contrasto con gli artt. 2,3,24,30 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, nella parte in cui non consente di formare in Italia un atto di nascita in cui vengano riconosciute come genitori di un cittadino di nazionalità straniera due persone dello stesso sesso, ha ritenuto di dover aggiungere che ad opposte conclusioni non può condurre neppure la L. n. 76 del 2016, la quale, pur riconoscendo la dignità sociale e giuridica delle coppie formate da persone dello stesso sesso, non consente comunque la filiazione, sia adottiva che per fecondazione assistita, in loro favore, poiché dal rinvio alle disposizioni sul matrimonio, contenuto nell’art. 1, comma 20 di detta legge, restano escluse, in quanto non richiamate, proprio quelle che regolano la paternità, la maternità e l’adozione legittimante.

Nell’ordinanza di rimessione alla Corte Cost, il collegio padovano aveva, inoltre,  osservato: come non fosse praticabile, da parte della madre intenzionale, neppure la via del riconoscimento ex art 250 cc (istituto, comunque,  che presuppone il legame biologico tra il nato ed il genitore che intende riconoscerlo); come, nella materia de qua, non si potesse neppure dire formato un diritto vivente (atteso il contrasto tra parte della più recente giurisprudenza di merito, incline ad ampliare la portata interpretativa dell’art 8 della legge 40/2004 ed a consentire la rettifica degli atti dello stato civile con l’inserimento della doppia maternità, e la giurisprudenza di legittimità, orientata, invece, al rigetto di detta opzione); come, nel caso specifico in allora sottoposto al suo esame (problema non sussistente nel caso di specie), non potesse neppure farsi ricorso alla adozione in casi particolari da parte della madre intenzionale, stante il mancato consenso all’adozione della madre biologica; pervenendo, pertanto, alla conclusione della sussistenza di un vuoto di tutela, non colmabile con l’interpretazione logica, analogica o per principi del codice civile e della L. n. 40/2004, se non forzandone il senso in modo non consentito ai giudici diversi dalla Corte Costituzionale, con ciò rimettendo  la questione alla Corte Costituzionale chiedendo la verifica di legittimità costituzionale in relazione agli artt 2, 3, 30 e 117 comma 1 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8, e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo e agli artt. 8 e 14 della Convenzione CEDU, sia degli art 8 e 9 della legge 40/2004 sia dell’art 250 cc laddove, sistematicamente interpretati, non consentono ai nati da fecondazione eterologa tra coppia omoaffettiva femminile lo status di figli riconosciuti da entrambi i componenti della coppia.

Come è noto il giudizio di legittimità costituzionale si concludeva con sentenza n. 32/2021 con cui il Giudice delle leggi ha dichiarato la questione inammissibile, rilevando che :“solo un intervento del legislatore, che disciplini in modo organico la condizione dei nati da PMA da coppie dello stesso sesso, consentirebbe di ovviare alla frammentarietà e alla scarsa idoneità degli strumenti normativi ora impiegati per tutelare il ‘miglior interesse del minore’”, pur ritenendo il vuoto di tutela talmente grave “a fronte di incomprimibili diritti dei minori”, da muovere  un accorato monito al legislatore di intervenire quanto prima per rimuovere l’accertato vulnus costituzionale.

La questione è stata nuovamente affrontata dal Collegio padovano a seguito della riassunzione del giudizio a quo, con riproposizione della medesima tesi oggi sostenuta dalle attuali ricorrenti.

Il giudizio riassunto, si concludeva con ordinanza di rigetto del 26.11.21, alle cui argomentazioni questo Collegio, anche per coerenza della propria giurisprudenza stante l’identità con le questioni trattate nel presente giudizio, ritiene di doversi allineare.

In sintesi, in quel provvedimento, oltre a ribadirsi che una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti era già stata ampiamente tentata dal giudice remittente (così come sopra esposto e, peraltro, riconosciuto dalla Corte Cost), si è evidenziato che “al vuoto di tutela riscontrato  anche dalla Corte Cost non può certo porsi rimedio per via ermeneutica (se così fosse, la Corte Costituzionale avrebbe emesso una pronuncia di rigetto interpretativa, rifiutando il percorso argomentativo dell’ordinanza di rimessione e traendo dal sistema una norma diversa da quella ricavata dal giudice a quo), atteso che il percorso tracciato dalla Corte è necessariamente di tipo  normativo, spettando solo al legislatore farsi interprete delle diverse istanze/ interessi coinvolti nella delicata materia in esame che coinvolge anche temi etici e morali”, considerazione ancora più valida oggi alla luce della giurisprudenza di legittimità successiva alla sent della C. Cost n 32 del 9.03.21.

Invero, a tale conclusione si giungeva previa analisi  la sentenza della Cass. n. 23320 del 23.8.2021, la quale ha ribadito l’impossibilità per il giudice ordinario di sostituirsi al legislatore, cui soltanto spetta l’individuazione degli strumenti giuridici più opportuni per la realizzazione dell’interesse del minore, compatibilmente con i principi di cui alla L. n. 40/2004[8]; sentenza particolarmente calzante anche per il caso oggi nuovamente all’attenzione del collegio, stante la sostanziale sovrapposizione delle argomentazioni riproposte dalle ricorrenti  volte a sostenere  quello che la Corte di Cass ha giudicato un  “un arbitrario frazionamento della disciplina dettata dalla legge n 40/2004”, lì ove si vuole trarre da tale normativa un principio generale secondo cui è sufficiente il mero dato volontaristico o intenzionale  – ovvero il consenso della coppia omoaffettiva alla tecnica di PMA – per dare luogo ad una forma di filiazione, non prevista dall’ordinamento vigente e diversa da quella biologica e da quella adottiva, eppure produttiva dei medesimi effetti.

Peraltro, la sentenza in commento ha preso posizione anche in ordine alla infondatezza di ulteriori argomentazioni oggi riproposte dalle ricorrenti ovvero:

  • che l’esclusione della possibilità di ricollegare, in assenza di un rapporto biologico,  l’instaurazione del rapporto di filiazione tra il minore ed il genitore d’intenzione al mero consenso da quest’ultimo prestato all’applicazione delle tecniche di PMA, è già stata ritenuta non contrastante neppure con i principi sanciti dalla CEDU. A tal riguardo,  è stata richiamata la giurisprudenza della Corte EDU, la quale, pur riconoscendo alla coppia omosessuale il diritto al rispetto della vita privata, anche familiare, ed includendo in tale nozione anche il diritto al rispetto della decisione di diventare genitore e del modo di diventarlo (cfr. Corte EDU, 16/01/2018, Nedescu c. Romania; 27/08/2015, Parrillo c. Italia; 28/08/2012, Costa e Pavan c. Italia), ha escluso la possibilità di ravvisare un trattamento discriminatorio nella legge nazionale che attribuisca alla procreazione medicalmente assistita finalità esclusivamente terapeutiche, riservando alle coppie eterosessuali sterili il ricorso alle relative tecniche (cfr. Corte EDU, sent. 15/03/2012, Gas e Dubois c. Francia), ed ha riconosciuto che in tale materia gli Stati godono di un ampio margine di apprezzamento, soprattutto con riguardo a quei profili in relazione ai quali non si riscontra un generale consenso a livello Europeo (cfr. Corte EDU, sent. 3/11/2011, S.H. c. Austria). Quanto poi all’interesse del minore, la Corte EDU, pur osservando che il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione è destinato inevitabilmente ad incidere sulla vita familiare del minore, ha escluso la configurabilità di una violazione del diritto al rispetto della stessa, ove sia assicurata in concreto la possibilità di condurre un’esistenza paragonabile a quella delle altre famiglie (cfr. Corte EDU, sent. 26/06/2014, Mennesson e Labassee c. Francia).

Evidenziava come tale violazione non sia configurabile nel caso in cui (come nella specie) non sia in discussione il rapporto di filiazione con il genitore biologico, ma solo quello con il genitore d’intenzione, il cui mancato riconoscimento non preclude al minore l’inserimento nel nucleo familiare della coppia genitoriale né l’accesso al trattamento giuridico ricollegabile allo status filiationis, pacificamente riconosciuto nei confronti dell’altro genitore (in proposito, v. anche Cass., Sez. Un., 8/05/2019, n. 12193);

  • che la centralità del fondamento genetico (e non volitivo-negoziale), ai fini del riconoscimento dello status filiationis,   sia stato alla base anche della pronuncia della  Cass. Sez. I n. 13000 del 15.5.2019, che ha ritenuto ammissibile il riconoscimento dello stato di figlio nato nel matrimonio, in favore di un minore nato a seguito di fecondazione assistita omologa post mortem (in questo caso, pur essendovi stata una violazione dei requisiti della legge n 40 – che, oltre alla diversità di sesso dei genitori, richiede che siano viventi -, non era in discussione il legame  biologico tra il nato e il genitore di intenzione, che non si era limitato a prestare il consenso alla fecondazione, ma aveva messo a disposizione i gameti poi utilizzati post mortem per la fecondazione);
  • che nessuna contraddizione potesse ravvisarsi tra il riconoscimento del rapporto di filiazione risultante da un atto di nascita formato all’estero (soggetto al vaglio dell’ordine pubblico internazionale) e l’esclusione del rapporto di filiazione derivante dal riconoscimento effettuato in Italia, la cui efficacia deve invece essere valutata alla luce della disciplina vigente nel nostro ordinamento (cfr. Cass. n. 8029/2020 cit.).

Infine, rileva il Collegio come analoghe se non identiche argomentazioni siano state espresse dalla Corte di Cassazione in pronunce successive rispetto a quella sopra analizzata (cfr Cass Sez I, 7.03.22 n 7413; Cass Sez I, 25.02.22 n 6383; Cass Sez I,  10.04.22 n 10844; Cass Sez I,  13.07.22 n 22179), ove è stato ribadito che la scelta del legislatore (L. n. 40 del 2004, artt. 4 e 5) è nel senso di limitare l’accesso a tali tecniche alle situazioni di infertilità patologica delle coppie eterosessuali, alle quali non è omologabile la condizione di infertilità della coppia omosessuale; conseguentemente non può essere accolta  l’interpretazione costituzionalmente orientata  dell’art 8 legge cit.  proposta dalle ricorrenti, “atteso che una diversa interpretazione delle norme relative alla formazione dell’atto di nascita non è imposta dalla necessità di colmare in via giurisprudenziale un vuoto di tutela che richiede, in una materia eticamente sensibile, necessariamente l’intervento del legislatore (v. Cass. n. 6383 del 2022)” (Cass., Sez. I, 10.04.2022, n. 10844).

Ne consegue che la rettificazione dell’atto di nascita del minore G., richiesto dalle ricorrenti, è precluso dal mancato riconoscimento, a monte, dello status del minore quale figlio di xxx ex art 8 della legge 40/2004.

Infine, vale osservare che, nel caso di specie, diversamente dal precedente già deciso dal Tribunale patavino (ove era in atto un conflitto della coppia omoaffettiva comportante la mancanza dell’assenso della madre biologica a consentire alla madre intenzionale l’adozione delle figlie), non si ravvisano neppure ragioni ostative al ricorso all’adozione in casi particolari ex art. 44, comma 1 lett. d) L. n. 184/1983, estesa dalla giurisprudenza di legittimità alle coppie omosessuali (cfr. Cass. n. 12962 del 22.6.2016) e ritenuta, dalla Corte EDU, uno strumento idoneo a realizzare il diritto al rispetto alla vita privata e familiare  del minore, attraverso il riconoscimento del legame di filiazione con il genitore d’intenzione (sentenza 16.7.2020, D. c. Francia). Riguardo a tale tipo di adozione, inoltre, occorre precisare che nella sentenza di inammissibilità della Corte Cost n 33/2021 (intervenuta in tema di maternità surrogata), il giudice delle leggi riteneva che l’adozione in casi particolari  costituisse “una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali” (dal momento che essa richiede l’iniziativa dell’adottante, il necessario assenso del genitore biologico, che potrebbe non essere prestato in situazioni di sopravvenuta crisi della coppia, e soprattutto non consentiva l’istaurazione di rapporti civili tra l’adottato ed i parenti dell’adottante).

Tale valutazione di inadeguatezza, tuttavia, deve ritenersi oggi superata alla luce della recentissima sentenza emessa dalle SS.UU. della Cassazione n. 38162 del 30.12.2022[9] (a seguito dell’ordinanza di remissione alle Sezioni Unite n. 1842 del 21/01/2022 della 1^ sezione Corte di Cassazione, adottata a seguito della sentenza n 33/2021 della Corte Cost; sentenza attesa dalla stessa  parte ricorrente, vedi pagg. 21-23 ricorso). Qui la Cassazione, sebbene nel diverso caso della maternità surrogata (ma i principi sono estendibili al caso di  PMA praticata da coppia omoaffettiva femminile), ha ritenuto l’adozione in casi particolari strumento idoneo, al metro dei parametri costituzionali e sovranazionali, a tutelare gli interessi del minore e a dare piena attuazione al principio della unicità dello stato di figlio, alla luce della recente sentenza della  Corte Costituzionale n. 79 del 28.03.2022[10], che ha rimosso ilmaggior limite in precedenza rilevato dal Giudice delle leggi, ovvero quello relativo alla non istaurazione di rapporti civili tra adottato e i parenti dell’adottante. Inoltre, la sentenza delle SU n 38162/22, cui si rimanda in quanto esula dall’oggetto della  presente disamina,  prospetta  un’interpretazione adeguatrice che consente anche di superare l’ostacolo costituito dal necessario consenso all’adozione del genitore biologico (nel senso che il dissenso potrà essere superato dal giudice qualora, nei fatti, si sia istaurata con carattere di continuità ed effettività l’assunzione di responsabilità genitoriale tra il partner del genitore biologico ed il minore stesso)

Quindi oggi può dirsi che, con  l’adozione in casi particolari,  il nato può acquisire, a tutti gli effetti, lo status di figlio del genitore intenzionale (adottante).

Alla luce della natura particolarmente controversa degli argomenti esaminati,  nella giurisprudenza di legittimità e di merito, nonché della recente pronuncia delle SU della Corte di Cassazione,  si ritiene giustificata ex art. 92, comma 2, c.p.c. la compensazione delle spese di lite.

p.q.m.

1. rigetta il ricorso;

2. compensa tra le parti le spese di lite.

Il  Presidente                                                                         Il giudice rel

Dott Cinzia Balletti                                                         dott  Chiara Ilaria Bitozzi


[1] La legge 19 febbraio 2004, n. 40, nell’impianto originario, da un lato, escludeva il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in via assoluta (art 4 comma 3), dall’altro, assoggettava l’accesso alle altre tecniche a precisi requisiti oggettivi e soggettivi. Come è noto, tra i requisiti oggettivi, il primo requisito (ripetesi, originariamente enunciato in termini assoluti dall’art. 4), ha subito un parziale temperamento per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale n. 162/2014 e n. 96/2015, che hanno dichiarato illegittima la predetta disposizione nella parte in cui estendeva il divieto delle tecniche di PMA di tipo eterologo anche alle coppie alle quali fosse stata diagnosticata una patologia che fosse causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili ed alle coppie fertili portatrici di gravi malattie genetiche trasmissibili. Tale intervento, tuttavia, non ha mutato il rimanente impianto della legge, riguardo ai c.d. requisiti soggettivi (art 5), in quanto l’accesso alle tecniche di PMA è consentito solo a coppie di maggiorenni,  di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. L’art 6, inoltra, subordina l’utilizzazione delle predette tecniche al consenso informato di entrambi i richiedenti e l’art. 10 riserva la realizzazione degli interventi in questione alle strutture pubbliche o a strutture private autorizzate. L’osservanza di tali principi è presidiata dall’art. 12, il quale eleva al rango d’illeciti amministrativi le relative violazioni, prevedendo sanzioni pecuniarie a carico di “chiunque, a qualsiasi titolo, utilizzi a finii procreativi gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente (comma 1) o applichi tecniche di procreazione medicalmente assistita a coppie prive dei requisiti soggettivi prescritti dall’art. 5 (comma 2) o senza aver raccolto il consenso secondo le modalità prescritte (comma 4) o presso strutture diverse da quelle autorizzate (comma 5), ma escludendo la punibilità dell’uomo o della donna ai quali siano state applicate le tecniche in esame (comma 8). Il sistema, poi,  trova il suo completamento nell’art. 8, che attribuisce ai nati lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle predette tecniche, e nell’art. 9, che, oltre a stabilire il divieto dell’anonimato per la madre biologica, esclude, in caso di violazione del divieto di ricorrere a tecniche di tipo eterologo, la facoltà del coniuge o del convivente il cui consenso sia ricavabile da atti concludenti di esercitare l’azione di disconoscimento della paternità o d’impugnare il riconoscimento per difetto di veridicità, precludendo, inoltre, al donatore dei gameti l’acquisizione di qualsiasi relazione parentale con il nato.

E’ proprio dal combinato disposto degli artt. 8 e 9 che i sostenitori della tesi propugnata dalle ricorrenti traggono elementi per evidenziare che, già nell’impianto della legge n 40, è codificata la prevalenza dell’interesse del nato ad una genitorialità completa, e, quindi, al riconoscimento di uno status filiationis ove l’elemento intenzionale della coppia omoaffettiva, che abbia prestato il consenso a tecniche di PMA in assenza dei requisiti oggettivi o soggettivi prescritti dalla legge, è sufficiente ai fini dell’instaurazione del rapporto genitoriale tra il nato ed entrambi i membri della coppia omoaffettiva stessa, sebbene solo uno di essi abbia un rapporto biologico con il nato.

Tale tesi, come è noto,  ha preso l’avvio dalle citate pronunce di incostituzionalità della legge n 40/2004, che,  avendo introdotto un limite al divieto assoluto del ricorso a tecniche di tipo eterologo, hanno reso configurabili, nel nostro ordinamento, ipotesi di genitorialità svincolate da un rapporto biologico con il nato, aprendo la strada al dibattito se le tecniche di PMA eterologa siano consentite anche a coppie dello stesso sesso, ovvero se l’infertilità fisiologica della coppia omosessuale sia in qualche modo assimilabile a quella della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive, ai fini non solo dell’accesso alle tecniche previste dalla legge, ma anche alla tutela del soggetto nato a seguito di dette tecniche. 

[2] Concetto, di recente, ribadito dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 32/2021, che richiama a sua volta le sentenze n. 221/2019, sempre della Corte Costituzionale e la n. 19599/2016 della Corte di Cassazione, che “ha rilevato da un lato, che non è configurabile un divieto costituzionale, per le coppie omosessuali, di accogliere e anche generare figli; dall’altro, che non esistono neppure certezze scientifiche o dati di esperienza in ordine al fatto che l’inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalità del minore, dovendo la dannosità di tale inserimento essere dimostrata in concreto…“.

[3] La stessa Corte EDU ha sempre espresso indirizzi intesi a contrastare forme di discriminazione di categorie di figli in ragione delle circostanze della loro nascita (Corte EDU 13 giugno 1979 ric. 783/1974, Marcky c. Belgio; Corte Edu 1 febbraio 2000 ric. 34406/1997 Mazurek c. Francia; Corte Edu G.C. avis consultatif 10 aprile 2019, richiamata nell’ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione n. 8325/2020)

[4] Molti Uffici dello Stato Civile, già da anni, provvedono  ad iscrivere i nomi di ambedue le due madri nell’atto di nascita del bambino nato in Italia da PMA eterologa effettuata all’estero da una coppia dello stesso sesso, mentre altri uffici che continuano a negarlo (come il Comune di _____).

[5] Entrambe dette sentenze hanno dichiarato l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sottoposte all’attenzione del Giudice delle leggi. La parte ricorrente citava anche la precedente decisione della Consulta – sent n  230/2020 -, con cui Corte Cost. ha evidenziato, per la prima volta,  l’esistenza di un vuoto normativo in materia (nella fattispecie si trattava di figlio nato con tecnica di PMA eterologa praticata da due donne unite civilmente) non colmabile attraverso il sindacato di costituzionalità della disposizioni censurate (in quel caso la legge n. 76 del 2016 e il D.P.R. n. 396 del 2000),  in quanto obbiettivo perseguibile per via legislativa, implicando una scelta che, per i contenuti etici ed assiologici che la connotano, non è costituzionalmente imposta, ma propriamente attinente all’area degli interventi, con i quali il legislatore, quale interprete della volontà della collettività, è chiamato a tradurre il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle istanze maggiormente apprezzate, nel momento dato, nella coscienza sociale.

[6] Ovvero sulla scorta del disposto di cui al DPR 396/2000, art. 30, comma 1, nonché al DPR 126/2015, art. 1 comma 1, lettera c), che ha sostituito l’art. 7, comma 1, lettera a) del DPR 223/1989.

[7]  Si ricorda che ai sensi dell’art 8 della legge n 40/2004 (Stato giuridico del nato) 1. I nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di  procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o  di  figli riconosciuti della coppia che ha espresso la  volontà’  di  ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6.

Ai sensi dell’art 9 (Divieto del disconoscimento della paternità’ e dell’anonimato  della madre). 1. Qualora si ricorra a tecniche di  procreazione  medicalmente assistita  di  tipo  eterologo  in  violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3,il coniuge o il convivente il cui consenso è’ ricavabile da atti concludenti non  può’ esercitare l’azione di disconoscimento della paternità’ nei casi previsti dall’articolo 235,primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile, nell’’impugnazione di cui all’articolo 263 dello stesso codice. 2. La madre del nato a seguito dell’applicazione di  tecniche di procreazione medicalmente assistita non puo’ dichiarare  la volonta’ di non essere nominata, ai  sensi  dell’articolo  30,  comma  1,  del regolamento di cui al  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  3 novembre 2000, n. 396.  3. In  caso  di  applicazione  di  tecniche  di  tipo  eterologo  in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione  giuridica  parentale con il nato e non puo’ far valere  nei  suoi  confronti  alcun  diritto  ne’ essere titolare di obblighi.

[8] In quel caso, la Suprema Corte, cassando il decreto impugnato della Corte d’appello di Roma del 27.4.2020, ha rigettato la domanda di due donne ex art. 95 D.P.R. n. 396/2000 volta a dichiarare l’illegittimità del rifiuto opposto dall’ufficiale di stato civile all’annotazione del riconoscimento della minore, concepita mediante il ricorso a PMA eterologa, quale figlia della c.d. madre intenzionale. Il decreto della Corte d’Appello era giunto all’accoglimento della domanda sulla base delle medesime argomentazioni poste a fondamento dell’odierno ricorso ovvero: che il nato, a seguito di fecondazione eterologa, acquisterebbe lo status di figlio dei membri della coppia “sulla sola base del consenso prestato alla pratica”, in quanto l’art. 8 della L. n. 40/2004 attribuirebbe un ruolo centrale al consenso quale fattore determinante la genitorialità, indipendentemente dalle norme che prevedono i confini soggettivi dell’accesso alle pratiche di PMA; che l’interesse del minore al riconoscimento della maternità intenzionale non possa trovare tutela equivalente nell’adozione in casi particolari, posto che quest’ultima salvaguarda il diritto alla vita familiare, ma non quello all’identità personale; che il riconoscimento non sarebbe in contrasto con l’ordine pubblico interno, ritenendo operanti le medesime valutazioni riguardanti la contrarietà all’ordine pubblico internazionale e negando l’esistenza a livello costituzionale di un divieto per le coppie omosessuali di accogliere e generare figli, ma anzi dovendosi ritenere le coppie omosessuali formazioni sociali degne di tutela ex art 2 cost e dovendosi abolire ogni forma di discriminazione basata sul sesso.

[9] Come si è già osservato, la Corte doveva decidere in ordine alla trascrivibilità in Italia dell’atto di nascita, regolarmente formato in paese estero, di un bambino nato in Canada attraverso la pratica della gestazione per altri, cui aveva fatto ricorso una coppia omoaffettiva maschile di cittadini italiani, uniti in matrimonio presso tale Stato estero, con atto successivamente trascritto in Italia nel registro delle unioni civili. Le SU, ribadendo che la pratica della gestazione per altri offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, hanno escluso l’automatica trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero, e,  “a fortiori” dell’originario atto di nascita, nel quale sia indicato quale genitore del bambino il genitore d’intenzione, oltre al padre biologico, anche se l’atto di nascita è stato formato in conformità della “lex loci”; che, nondimeno, anche il bambino nato da maternità surrogata, ha il diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con colui che ha condiviso il disegno genitoriale, e che l’ineludibile esigenza di assicurargli i medesimi diritti degli altri bambini è garantita attraverso l’adozione in casi particolari, in quanto, allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, tale forma di adozione rappresenta lo strumento che consente di dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello “status” di figlio, al legame di fatto con il “partner” del genitore genetico che ha condiviso il disegno procreativo e ha concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della nascita.

[10] Nel caso in esame oggetto del vaglio di legittimità costituzionale  è l’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui, mediante rinvio all’art. 300, secondo comma, del codice civile, stabilisce che l’adozione in casi particolari non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante. Secondo la Corte, il “focus” del diritto vivente e della giurisprudenza costituzionale è incentrato sul primario interesse del minore (principio riconducibile agli artt. 2, 30 e 31 Cost., nonché alle molteplici fonti internazionali, vincolanti il nostro ordinamento, nonché da fonti europee, come interpretate dalla Corte di giustizia e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo), alla luce del quale, il minore, adottato “in casi particolari”,  è discriminato rispetto allo status unitario di figlio, permanendo il divieto di relazioni familiari tra l’adottato e i parenti dell’adottante (norma che, secondo la Corte, priva, il minore della rete di tutele personali e patrimoniali scaturenti dal riconoscimento giuridico dei legami parentali, che il legislatore della riforma della filiazione, in attuazione degli artt. 3, 30 e 31 Cost., ha voluto garantire a tutti i figli a parità di condizioni, perché tutti i minori possano crescere in un ambiente solido e protetto da vincoli familiari, a partire da quelli più vicini, con i fratelli e con i nonni).

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