fbpx

1. La prolungata sospensione delle attività giudiziarie, dichiarata inizialmente con atto amministrativo (dpcm) e confermata dal decreto legge n. 18 del 17/03/2020, era stata protratta dalla legge di conversione n. 27 del 24/04/2020 fino al 31 luglio: con essa, nel confermare le modalità di trattazione dei (pochi) processi celebrabili durante tale periodo, nella forma scritta quelli civili e amministrativi, del collegamento da remoto quelli penali, si dava delega ai capi dei singoli uffici giudiziari per intervenire nell’articolazione pratica di tali modalità. Questo in ragione delle peculiarità dei singoli Tribunali, in coerenza col legittimo intento di adeguare l’esercizio della giurisdizione alla prevenzione del contagio pandemico.

Ne è però tristemente seguito un panorama, già desolato dalla ristrettezza degli affari ritenuti meritevoli di trattazione, nel suo insieme arlecchinesco, grazie ai più svariati decreti dei Presidenti di Tribunale e Corti d’Appello: con essi si è variamente prescritto come, quando e che cosa fare in relazione alle pur crescenti richieste di giustizia, di fatto limitate per numero e qualità di risposta giurisdizionale.

Quando è partita la c.d. fase 2, pur dopo la ripresa di attività ludiche (dalle sale bingo al campionato di calcio), la giustizia è rimasta nella morta gora degli impacci dell’art. 83 del D.L. n. 18, e della sua variegata applicazione sul territorio nazionale.

Grande speranza ha, perciò, suscitato la legge di conversione – la n. 70 del 25/06/2020 – del D.L. n. 28 del 30/04/2020, che all’art. 3 ha previsto l’anticipazione della vigenza del periodo emergenziale per il comparto giustizia al 30 giugno.

2. La ferita inferta tuttavia non è apparsa sanabile: la previsione contenuta nella norma menzionata della legge di conversione, di soppressione dell’art. 83 co. 1 lett. i) del D.L. n. 28/2020, si accompagna al disposto di cui all’art. 1 co. 2 della legge n. 70/ 2020: «Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dell’articolo 3, comma 1, lettera i), del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28». Dai lavori parlamentari emerge che l’anticipazione di un mese, proposta da taluno dei partiti di opposizione, è stata condivisa dal Governo a condizione che fosse accompagnata dalla norma di salvezza appena riportata.

Questo vuol dire che ancora una volta la perdurante delega ad adottare misure, meramente organizzative, di disciplina delle modalità di celebrazione dei processi è stata utilizzata dai capi dei singoli uffici giudiziari per vanificare di fatto il superamento legislativo delle limitazioni emergenziali: certamente non in linea col disposto dell’art. 77  co 3 Cost., per il quale i decreti legge «perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione».

Ci si sarebbe, infatti, aspettata l’eliminazione, o l’attenuazione :

a)      delle restrizioni degli accessi del pubblico negli uffici giudiziari;

b)      delle limitazioni dell’orario di apertura degli uffici ovvero, in via residuale e solo per gli uffici che non erogano servizi urgenti, la chiusura al pubblico;

c)      della regolamentazione dell’accesso ai servizi, previa prenotazione, con convocazioni per orari fissi;

d)      dell’adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze;

e)      della celebrazione delle udienze, nei processi civili e penali, a porte chiuse, con rito camerale;

f)       della trattazione da remoto delle udienze civili, quando non sia richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice (la c.d. “udienza telematica”, o ‘a trattazione scritta’);

g)      dello svolgimento della camera di consiglio dei giudici collegiali in modalità telematica;

h)      dello svolgimento dell’attività degli ausiliari del giudice mediante collegamenti da remoto.

3. E’ accaduto invece che in molti uffici giudiziari, con l’autorevole avallo dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, in luogo di applicare, fermi gli effetti processuali ormai irreversibili, determinati in conseguenza degli atti o dei provvedimenti validamente già adottati prima del 30/06/2020, le regole processuali ordinarie, secondo il tempus regit actum, sia stata invocata la cennata clausola di salvezza per diramare direttive che, assunta l’esigenza del mantenimento delle restrizioni emergenziali quale fondamento del Documento Unico di Valutazione dei Rischi, nella sostanza confermano le modalità di accesso agli uffici e di limitazione delle presenze in aula di udienza. Confermano in particolare l’esclusione di accesso delle parti (quid est dei testimoni?) e la generalizzata applicazione del rito camerale, ovvero a trattazione scritta con deposito di nota telematica, quindi non in praesentia.

Né sembra di poter dire che va meglio negli uffici giudiziari dove tale salvezza, contenuta nella legge di conversione, è stata addirittura cancellata dalla decisione di revocare le udienze da remoto pur già disposte: è il caso del Tribunale di Rimini, dalla cui cancelleria a chi scrive, il 1° luglio, è stato telefonato sul cellulare dieci minuti prima del collegamento su Teams, ed è stato indicato che l’udienza si sarebbe tenuta per la discussione in rito abbreviato in praesentia, essendo stata revocata la già disposta trattazione da remoto con finale rinvio al prossimo dicembre; il Presidente del Tribunale aveva ritenuto definitivamente assorbita la previsione ex art. 83 anche per i processi per i quali ne era già stata disposta applicazione!

La regola pare essere l’incontrollata scelta dei singoli capi degli uffici, tendente in genere a mantenere le restrizioni e i limiti di accesso alla giurisdizione, fino alla comunque prevista sospensione feriale agostana. Verso quali lidi viene traghettata la navicella della Giustizia, che somiglia sempre più alla barca di Caronte?

Renato Veneruso

Share