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1. – Ha avuto luogo lo scorso martedì 8 novembre l’udienza pubblica delle sezioni unite della Corte di cassazione, alle quali, con ordinanza interlocutoria della prima sezione civile n. 1842 del 2022, è stato chiesto di valutare se, dopo la sentenza n. 33 del 2021 della Corte costituzionale, non debba ormai essere rimeditata la decisione delle stesse sezioni unite n. 12193 del 2019. Com’è noto, secondo quest’ultima decisione, il divieto di maternità surrogata, in quanto principio di ordine pubblico, impedirebbe in ogni caso la trascrizione di provvedimenti giudiziali o atti stranieri accertanti rapporti genitoriali puramente intenzionali, che potrebbero nondimeno essere formalizzati attraverso il ricorso all’adozione in casi particolari. E dunque non ab initio e in forza di un automatismo, ma solo ex post e all’esito di un concreto accertamento giudiziale di conformità all’interesse del minore.

Secondo la prima sezione civile della Suprema Corte, il superamento della decisione delle sezioni unite si imporrebbe in quanto, con la sentenza n. 33 del 2021, la Corte costituzionale, pur essendosi pronunciata per l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale della soluzione interpretativa fatta propria dalle sezioni unite del 2019, ha però ritenuto che il meccanismo dell’adozione in casi particolari non sia davvero adeguato a garantire il diritto fondamentale del nato alla formalizzazione del rapporto anche col committente privo di legame biologico. La tutela offerta da quel meccanismo non presenterebbe infatti quel carattere di “effettività”, che, per la Corte di Strasburgo, deve invece caratterizzare il rimedio che lo Stato proibizionista è tenuto ad apprestare in alternativa alla trascrizione del provvedimento straniero.

Più precisamente, secondo la Corte costituzionale, il rimedio dell’adozione in casi particolari non sarebbe “ancora del tutto adeguat[o] al metro dei principi costituzionali e sovranazionali” per due ragioni principali: perché non consentirebbe la costituzione di rapporti civili tra l’adottato e i parenti dell’adottante e perché l’adozione non potrebbe comunque perfezionarsi in mancanza di assenso da parte del genitore (biologico). Di qui il monito rivolto dal Giudice delle leggi al legislatore affinché ponga rimedio al più presto all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi dei bambini nati da surrogazione di maternità, sempre però operando un bilanciamento con “la legittima finalità di disincentivare il ricorso a questa pratica”.

Orbene, secondo la prima sezione civile della Suprema Corte, la sentenza della Corte costituzionale n. 33 del 2021, nel denunciare l’inadeguatezza del meccanismo dell’adozione in casi particolari, avrebbe prodotto un “vuoto normativo” nella tutela del diritto fondamentale del nato alla formalizzazione del rapporto genitoriale anche col committente privo di legame biologico: un “vuoto” che, nella perdurante inerzia del legislatore, dovrebbe essere colmato dal giudice, disattivando nel caso concreto l’eccezione di ordine pubblico – e disponendo quindi la trascrizione dell’atto o del provvedimento giudiziale straniero accertante una genitorialità puramente intenzionale – laddove un simile esito appaia compatibile con i valori tutelati dal divieto di surrogazione di maternità e con l’aspirazione dello Stato a scoraggiare il cd. turismo procreativo.

In particolare, secondo i giudici della prima sezione civile, l’indicata compatibilità si darebbe nelle ipotesi in cui il ricorso alla maternità surrogata sia rispettoso di alcune condizioni, e segnatamente: il carattere libero e consapevole della scelta della madre surrogata, la sua indipendenza da contropartite economiche, la sua revocabilità fino alla nascita del bambino, la possibilità per la coppia committente di accedere alle procedure di adozione nel rispetto delle prescrizioni di legge, la sussistenza di un contributo genetico alla procreazione da parte di almeno uno dei committenti.

2. – Nell’attesa di conoscere la decisione delle sezioni unite, appare istruttiva la lettura dell’ampia ed argomentata memoria con cui la Procura Generale della Corte Suprema di Cassazione ha concluso per l’esclusione del vuoto normativo prefigurato nell’ordinanza interlocutoria della prima sezione civile e per la riaffermazione di quanto già stabilito dalla sentenza delle sezioni unite n. 12193 del 2019. E ciò anche in considerazione delle modifiche frattanto intervenute nella disciplina dell’adozione in casi particolari a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 79 del 2022. Le argomentazioni svolte dalla Procura Generale sono anzitutto volte a confutare la lettura della sentenza n. 33 del 2021 offerta dall’ordinanza interlocutoria della prima sezione civile della Suprema Corte. Ma la Procura Generale non manca neppure di considerare criticamente la soluzione interpretativa alternativa sottoposta alle sezioni unite con la stessa ordinanza.

Quanto al primo punto, la Procura Generale non reputa condivisibile l’assunto della prima sezione secondo cui la sentenza n. 33 del 2021 della Corte costituzionale, denunciando gli indicati profili di inadeguatezza dell’adozione in casi particolari, avrebbe messo in discussione il bilanciamento operato dalle sezioni unite con la sentenza n. 12193 del 2019 e avrebbe così evidenziato, come già si è detto, un “vuoto normativo” nella tutela di un interesse fondamentale della persona.

In tal senso la Procura Generale osserva anzitutto che, in realtà, “nella decisione del Giudice delle leggi non è dato rinvenire alcun riferimento specifico dal quale poter dedurre l’incostituzionalità del sistema normativo vigente, e del diritto vivente che lo interpreta, rappresentato da ultimo dalla sentenza delle Sezioni unite n. 12193/2019”. La Procura Generale sottolinea infatti come la pronuncia in questione presenti un “dispositivo di inammissibilità della questione sollevata” e, pertanto, come essa “non [sia] certamente equiparabile ad una dichiarazione di incostituzionalità”. La Corte costituzionale, in altri termini, non ha accolto la prospettazione del giudice rimettente secondo cui, in caso di nascita all’estero da madre surrogata, il superiore interesse del minore imporrebbe il riconoscimento ab initio dei provvedimenti stranieri accertanti la genitorialità di entrambi i committenti. In nessun modo la Corte costituzionale ha dunque considerato illegittima la soluzione adottata dalle sezioni unite secondo cui l’eccezione di ordine pubblico impedirebbe in ogni caso il riconoscimento di certi provvedimenti.

D’altra parte, la Procura Generale rileva pure che “la Corte costituzionale ha ormai elaborato ed inserito nel processo costituzionale modalità decisionali che consentono, una volta accertata l’illegittimità costituzionale della norma censurata, il rinvio ad altra udienza e la sospensione del giudizio di costituzionalità, per dar modo al legislatore di esercitare la propria funzione discrezionale”. S’intende così “evitare che una norma che contrasta con la Costituzione resti in vigore a causa dell’inerzia del Parlamento”. Peraltro – osserva ancóra la Procura Generale – anche nei casi in cui la Corte si pronuncia per l’inammissibilità invitando il Parlamento ad intervenire, senza disporre il rinvio ad altra udienza, “l’illegittimità, se accertata, viene espressa a chiare lettere nella pronuncia della Corte”. La Procura Generale osserva allora come non si debba confondere questo genere di sentenze, “che accertano ma non dichiarano l’illegittimità”, con sentenze come la n. 33 del 2021, che riconoscono “l’esistenza di soluzioni normative ‘migliori’, in quanto più idonee a perseguire i fini costituzionalmente imposti”, ma comunque senza accertare l’incostituzionalità del diritto vigente.

E ciò perché – rileva la Procura Generale – “un’attuazione solo parziale, e quindi ‘non del tutto adeguata’ della disposizione costituzionale non costituisce una patologia del sistema ma appartiene alla fisiologia della realtà giuridica, nella quale l’accrescimento della tutela offerta a diritti e interessi non comporta l’illegittimità della disciplina oggetto di revisione migliorativa”. Di conseguenza – conclude sul punto la Procura Generale – “anche tali addizioni o modificazioni sono fuori dal campo d’azione della Corte, che sceglie quindi di dichiarare l’inammissibilità della questione, pur indicando al legislatore il percorso additivo per la migliore attuazione dei principi costituzionali”. Ed è questo quel che la Corte costituzionale ha fatto anche con la sentenza n. 33 del 2021.

La Procura Generale non manca infine di rilevare come, a seguito della sentenza n. 79 del 2022 della Corte costituzionale, una lettura della sentenza n. 33 del 2021 come quella proposta nell’ordinanza interlocutoria della prima sezione civile non potrebbe comunque essere considerata attuale. La sentenza n. 79 del 2022, infatti, avendo dichiarato l’illegittimità delle norme che, nelle adozioni in casi particolari, impedivano l’instaurazione di rapporti civili tra l’adottato e i parenti dell’adottante, ha rimosso uno degli ostacoli indicati dallo stesso Giudice delle leggi all’“effettività” della tutela offerta ai nati da madre surrogata da quella peculiare forma di adozione. Quanto poi al problema dell’impossibilità dell’adozione in mancanza dell’assenso del genitore (biologico), la Procura Generale non manca di rilevare che, almeno secondo una parte della dottrina, dovrebbe ammettersi senz’altro “la possibilità che il giudice valuti comunque il miglior interesse del minore anche nel caso venga meno il consenso di uno dei componenti della coppia”.

Peraltro – è sempre la Procura Generale ad evidenziarlo – dalla lettura della sentenza n. 79 del 2022 emerge con chiarezza “la condivisione [da parte del Giudice delle leggi] del diritto vivente, e quindi della sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 12193/2019, che non appare in alcun modo ‘superata’ quanto alle valutazioni relative alla violazione dell’ordine pubblico in caso di richiesta di trascrizione della sentenza straniera di riconoscimento della genitorialità intenzionale derivante dall’utilizzo della tecnica della gestazione per altri realizzata all’estero (la Corte [costituzionale] conferma significativamente l’esclusione della riconoscibilità del provvedimento straniero che attribuisce la doppia paternità), e nell’indicazione dell’adozione in casi particolari come l’istituto preordinato alla miglior tutela del minore”.

3. – La Procura Generale passa quindi a considerare criticamente la “soluzione interpretativa” proposta dalla prima sezione civile della Suprema Corte in alternativa a quella, ritenuta ormai superata, contenuta nella sentenza delle sezioni unite del 2019. Si tratta, come già si è detto, dell’idea secondo cui, nella perdurante inerzia del legislatore, il giudice potrebbe senz’altro disattivare l’eccezione di ordine pubblico – e disporre quindi la trascrizione dell’atto estero accertante la genitorialità di entrambe i committenti – tutte le volte in cui, all’esito di una valutazione caso per caso, un simile risultato appaia compatibile con i valori sottesi al divieto di maternità surrogata, e segnatamente con la tutela della dignità della donna.

In senso critico la Procura Generale osserva anzitutto che in realtà una simile soluzione attribuisce il potere di bilanciare l’interesse del nato con i valori sottesi al divieto di maternità surrogata non tanto al giudice, ma anzitutto all’ufficiale di stato civile. In effetti, nella prospettiva indicata dall’ordinanza interlocutoria, “l’accesso al giudice sarebbe solo eventuale, dal momento che esso avverrebbe solo a seguito di impugnazione dell’atto di trascrizione da parte del pubblico ministero, o di chi ne avrebbe interesse”. Peraltro – e anche questo punto è opportunamente evidenziato dalla Procura Generale – un ufficiale di stato civile neppure disporrebbe dei poteri necessari a valutare in concreto se la dignità della donna sia stata davvero preservata, ad esempio perché – secondo quanto ritengono i giudici della prima sezione civile – non è stato previsto alcun corrispettivo per la sua prestazione o perché il consenso alla pratica è stato prestato in maniera libera e consapevole.

Ma soprattutto la Procura Generale ribadisce che la Corte costituzionale non ha riconosciuto il potere di operare il bilanciamento tra l’interesse del minore e i valori sottesi al divieto di surrogazione di maternità né all’ufficiale di stato civile né al giudice. Quel potere è stato piuttosto riconosciuto al legislatore, insistendo in particolare, anche sulla scorta dell’insegnamento della Corte di Strasburgo, sull’ampia discrezionalità che gli compete nel compimento di una simile valutazione.

La Procura Generale evidenzia inoltre la mancanza di base normativa dell’idea secondo cui il giudice potrebbe ritenere l’insussistenza in concreto di una violazione della dignità della donna nonostante il ricorso alla maternità surrogata. La Procura Generale sostiene infatti di non riuscire a individuare la norma che consentirebbe al giudice una valutazione della surrogazione di maternità opposta rispetto a quella del legislatore, che la sanziona penalmente senza operare “alcuna distinzione determinata dall’esistenza o meno di un corrispettivo economico, dal grado di soggezione della donna e dalle modalità secondo le quali accede alla maternità surrogata… ovvero dalla sua libertà e consapevolezza della scelta”. Certo, a differenza di quel che si afferma nell’ordinanza interlocutoria, non si può far riferimento alla legislazione dello Stato (non proibizionista) in cui la gestazione per altri è avvenuta. E ciò neppure laddove si tratti di uno Stato appartenente alla “tradizione costituzionale occidentale”. In realtà – osserva ancora la Procura Generale – “l’unico riferimento per ritenere consentito il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero in questione resta la compatibilità con l’ordine pubblico ai sensi della legge n. 218 del 1985, nell’interpretazione affermata… dalla sentenza delle Sezioni unite n. 12193/2019”: un’interpretazione che non è stata affatto smentita dalla Corte costituzionale.

La Procura Generale sottolinea infine come la Corte costituzionale non abbia affatto recepito l’idea – riproposta invece nell’ordinanza interlocutoria – secondo cui il riconoscimento ab initio di un rapporto genitoriale puramente intenzionale già accertato all’estero non si porrebbe in contraddizione col divieto di surrogazione di maternità. In effetti, nella sentenza n. 33 del 2021 è ben chiaro lo stretto legame intercorrente tra le due questioni. È ben chiaro cioè come ogni automatismo nel riconoscimento del rapporto genitoriale col committente privo di legame biologico finisce per contraddire la valutazione gravemente negativa dell’ordinamento nei confronti del ricorso alla pratica della surrogazione di maternità. È in considerazione di ciò, del resto, che la Corte costituzionale ha affermato che “gli interessi del minore [devono] essere… bilanciati, alla luce del criterio di proporzionalità, con lo scopo legittimo perseguito dall’ordinamento di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità penalmente sanzionato dal legislatore”.

4. – È possibile a questo punto formulare qualche breve osservazione conclusiva.

Come si è visto, la Procura Generale ha in primo luogo evidenziato con chiarezza la parzialità della lettura della sentenza n. 33 del 2021 della Corte costituzionale operata nell’ordinanza interlocutoria della prima sezione civile della Suprema Corte n. 1842 del 2022. In secondo luogo, la Procura Generale ha chiarito che la soluzione proposta nella stessa ordinanza, in alternativa a quella adottata dalle sezioni unite nel 2019, va in realtà ben al di là dei confini propri dell’interpretazione giudiziale. Sembra allora ragionevole attendersi che le sezioni unite confermino la soluzione adottata nel 2019: una soluzione che, nel rispetto delle prerogative del legislatore e del Giudice delle leggi, ha inteso assicurare ogni tutela al nato da madre surrogata senza però contraddire la scelta del legislatore di proibire – e di sanzionare penalmente – una pratica procreativa degradante.

Ciò posto non sembra inopportuno chiedersi se la verosimile conferma di tale soluzione non debba ormai far escludere la necessità dell’intervento del legislatore reclamato dal Giudice delle leggi nella sentenza n. 33 del 2021. In effetti, come si è già evidenziato, una tale conferma interverrebbe in un contesto in cui la Corte costituzionale ha ormai chiarito che anche l’adozione in casi particolari fa sorgere rapporti civili tra l’adottato e i partenti dell’adottante e in cui una parte della dottrina ha evidenziato come anche il problema del mancato assenso del genitore all’adozione del nato da madre surrogata da parte dell’altro committente possa essere risolto agevolmente in via interpretativa. In realtà, un intervento del legislatore potrebbe comunque giustificarsi per diverse ragioni.

Anzitutto proprio in vista della finalità di assicurare al nato una tutela piena. In effetti, finché si continui a far riferimento a una soluzione di tipo adottivo, al nato non è comunque riconosciuto un diritto alla costituzione dello status nei confronti dei committenti. Se però, come ha chiarito la Corte di Strasburgo, la garanzia del diritto del nato da madre surrogata al rispetto della vita privata richiede la formalizzazione dei rapporti in atto con i committenti, allora questa formalizzazione non può che essere oggetto di un suo diritto. La soluzione dell’adozione in casi particolari, d’altra parte, non appare davvero adeguata anche se ci si pone nella prospettiva di non contraddire la scelta proibizionista dell’ordinamento. E ciò perché la legittimazione ad attivare quel meccanismo di tutela dell’interesse del minore è comunque riconosciuta agli stessi adulti che hanno inteso realizzare il proprio desiderio di genitorialità attraverso il ricorso a una pratica disapprovata dall’ordinamento.

C’è poi il problema del diverso trattamento dei due componenti della coppia committente. Il meccanismo dell’adozione in casi particolari riguarderebbe infatti solo il committente privo di legame biologico col nato. E ciò perché si ritiene per lo più che la genitorialità del committente di sesso maschile che abbia messo a disposizione il proprio seme per la formazione dell’embrione possa senz’altro essere riconosciuta. È prevalsa infatti l’idea che un simile risultato potrebbe comunque essere raggiunto in base alle norme del codice civile sull’accertamento della filiazione. Ora, già in più occasioni anche la Suprema Corte ha evidenziato l’irragionevolezza di una simile soluzione. In effetti, entrambi i committenti hanno concorso nel fare ricorso all’estero ad una pratica penalmente sanzionata. Il legislatore dovrebbe allora farsi carico dell’esigenza di riservare ai due committenti uno stesso trattamento a prescindere dall’esistenza o meno di un legame di sangue col nato: un risultato, questo, che potrebbe realizzarsi subordinando la formalizzazione dei rapporti di cura genitoriale in atto con entrambi ad un accertamento giudiziale in concreto di conformità all’interesse del minore.

Un’altra contraddizione che meriterebbe di essere risolta dal legislatore si dà poi nel caso di ricorso alla fecondazione eterologa da parte di coppie di donne. È noto, infatti, che mentre in caso di nascita all’estero la giurisprudenza di legittimità ritiene ormai che l’atto di nascita estero che accerti una doppia maternità non contrasta con l’ordine pubblico e può pertanto essere trascritto, in caso di nascita in Italia, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 221 del 2019, si è invece imposta la soluzione secondo cui gli ufficiali di stato civile non possono formare atti di nascita recanti l’indicazione di due madri. In quest’ultimo caso il rapporto del nato con la donna che non ha partorito può comunque essere formalizzato attraverso il ricorso all’adozione in casi particolari. E ciò anche laddove quella donna abbia fornito l’ovocita per la formazione dell’embrione. Una simile disparità di trattamento a seconda del luogo di nascita – in Italia o all’estero – non sembra ragionevole. E anche tale irragionevolezza comincia ad essere rilevata da una parte della giurisprudenza. L’argomento potrebbe essere utilizzato per invocare una cancellazione del divieto di accesso alla tecnica eterologa per le coppie di donne. Tanto più che la Corte costituzionale è dell’avviso che un simile divieto sia ragionevole, ma non costituzionale necessario. Il legislatore dovrebbe allora regolare allo stesso modo le due ipotesi, in particolare prevedendo che la formalizzazione del rapporto di cura in atto con la donna che non abbia partorito debba essere subordinata in ogni caso ad un accertamento giudiziale in concreto della sua conformità all’interesse del minore.

Emanuele Bilotti, professore ordinario di diritto privato nell’Università Europea di Roma


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