Con l’articolo odierno si conclude il ciclo di interventi dedicato a illustrare i principali aspetti della riforma tributaria operata con la Legge 21 agosto 2022 n. 130. Come noto, accanto alle disposizioni con cui il legislatore è intervenuto sul processo tributario, la riforma ha a oggetto anche e soprattutto la giustizia tributaria intesa come organi deputati a conoscere delle controversie tributarie. Quella del giudice tributario era, d’altro canto, una riforma attesa da tempo, stante la manifesta condizione di inadeguatezza ai tempi, in cui versavano le dismesse commissioni tributarie. In questo contributo si effettua una prima analisi della riforma, indagando sino a che punto le aspettative degli operatori siano state soddisfatte e quali siano le questioni ancora aperte.
1. Il progressivo dilatarsi del debito pubblico nazionale e gli eventi socio-politici che al crepuscolo del ventesimo secolo portarono alla fine della “Prima Repubblica” sono solo alcuni dei fattori che hanno nell’ultimo ventennio contribuito a far sì che il tema del contrasto all’evasione divenisse centrale nel nostro paese, nella prospettiva di permettere all’Italia di allinearsi a (almeno in teoria) più virtuosi modelli provenienti dal Nord dell’Unione, che avrebbero dovuto permettere alla “Seconda Repubblica” di tenere sotto controllo il proprio debito, colpendo con il pugno di ferro i cattivi costumi degli italiani nel pubblico (la corruzione) e nel privato (l’evasione) e, dunque, in ultima istanza avrebbe dovuto permettere alla “Seconda Repubblica” di evitare di tradursi in una “seconda Prima Repubblica”.
Nel discorso tenuto durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario tributario del 26/27 febbraio 2018, l’allora Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione, Giovanni Mammone, aveva sottolineato la centralità della materia tributaria, non più materia di nicchia ma di «estrema importanza, in termini di risorse, per la collettività».
Nel 2018, d’altronde, era già chiaro a tutti quanto il sistema di giustizia tributaria – della cui “innaturale” longevità si è già scritto nel contributo introduttivo di questo ciclo[1] – fosse obsoleto e inadeguato a fornire risposte in quei termini di trasparenza e competenza sui quali convergono i contrapposti interessi di definitivo accertamento e riscossione delle imposte da parte dell’Amministrazione finanziaria e di garanzia dei diritti da parte dei contribuenti, che poi si traducono anche nella esigenza di programmazione e pianificazione da parte di imprese, chiamate a operare in un mercato globale sempre più aperto e concorrenziale.
Inefficienze che si affiancavano a quei «limiti strutturali derivanti dall’origine amministrativa della giurisdizione tributaria» che avevano reso «lungo e difficile l’avvicinamento dell’attuale impianto processuale tributario al modello del giusto processo, così come positivizzato all’art. 111, 1° e 2° comma, della Costituzione e come già prima sostenuto dal diritto europeo (che all’art. 6 della CEDU statuisce il diritto all’equo processo)»[2].
Nel corso di quasi trent’anni di vigenza dei decreti legislativi nn. 545 e 546 del 31 dicembre 1992, che avevano riformato l’assetto della giustizia tributaria agli inizi degli anni Novanta, si erano manifestate diverse criticità strutturali e applicative, tra le quali centrale era la questione della non assoluta terzietà e indipendenza del giudice tributario, o comunque della sua non assoluta percepibilità come tale da parte dei contribuente, posto che esso costituiva (e costituisce) istituzione giudiziaria incardinata sotto l’egida del Ministero dell’economia e delle finanze, ovverosia del soggetto titolare della maggior parte dei crediti della cui legittimità si discuteva innanzi le commissioni tributarie.
Il tempo, inoltre, aveva reso evidente la fragilità di una magistratura tributaria composta per lo più da giudici onorari, dunque reclutati su chiamata e non per pubblico concorso, e non a tempo pieno, dunque dediti anche ad altre attività giudiziarie, requirenti o professionali, i cui provvedimenti molto spesso non superavano la prova di resistenza del giudice di legittimità, contribuendo a sovraccaricare di lavoro la stessa sezione tributaria della Corte di Cassazione.
2. Per la verità, in passato il legislatore aveva provato a intervenire per sopperire – almeno in parte – a dette criticità, da ultimo attraverso la mini riforma operata con il decreto legislativo n. 156 del 24 settembre 2015, che aveva però interessato essenzialmente il processo tributario e, nella prospettiva di deflazionare il contenzioso, aveva esteso l’ambito di applicazione dell’istituto della mediazione tributaria a tutte le controversie di valore non superiore ad € 20.000,00 (ora € 50.000,00) e introdotto la possibilità di conciliare la lite anche successivamente al primo grado.
Istituti la cui efficacia ultima era pur sempre rimessa alla concreta predisposizione dell’Amministrazione finanziaria a porsi nella prospettiva – tracciata a suo tempo da Enrico Allorio – di organo “giustiziale”, che «in quanto prima destinataria della legge tributaria, deve farne applicazione tenendo ben presente che essa agisce non solo in qualità di “parte” del rapporto tributario, ma anche, in base ai principi costituzionali, quale organo di giustizia»[3].
In tema di ordinamento della giurisdizione tributaria, invece, si erano registrati alcuni tentativi di riforma, fra cui la proposta di legge del 23 novembre 2017, a firma del deputato Palese, ove era stata prospettata la possibilità di una magistratura tributaria come “quarta magistratura” (accanto all’ordinaria, la amministrativa e contabile), a tempo pieno e professionalmente competente, e la costituzione di un tribunale tributario monocratico cui attribuire le controversie di minore consistenza economica.
Il documento era risultato stimolante anche per la riflessione sul principio di proporzionalità del giudicato – che la relazione accompagnatoria alla proposta di legge in questione espressamente menzionava, laddove richiamava i principali istituti del sistema processuale tributario tedesco, e – che si concretizza in quel principio «atto a calibrare l’azione della giustizia tributaria alle effettive circostanze economiche e sostanziali in cui si è venuto a creare il contenzioso»[4]. Certo, avrebbe dovuto essere verificata la tenuta di una tale ipotesi di riforma, poiché «l’assetto “pluralistico” del potere giudiziario è attualmente predeterminato dalla Costituzione e il mutamento di tale assetto può aver luogo solo con legge costituzionale»[5].
3. Per quanto con dei limiti già in parte sottolineati[6], la Legge 21 agosto 2022 n. 130 interviene sul decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 545, con una riforma importante, che realizza finalmente il passaggio a una magistratura tributaria professionale composta da giudici a tempo pieno e professionali, assunti per concorso: «La nomina a magistrato tributario si consegue mediante un concorso per esami bandito in relazione ai posti vacanti e a quelli che si renderanno vacanti nel quadriennio successivo, per i quali può essere attivata la procedura di reclutamento» (così il nuovo art. 4 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 545, come modificato dall’art. 1, co. 1, lett. e, della Legge 21 agosto 2022 n. 130).
Il primo aspetto su cui porre l’attenzione è comunque la scelta del legislatore di mantenere in vita una autonoma giurisdizione speciale tributaria; questa non era, come noto, l’unica soluzione possibile, perché il medesimo scopo di realizzare una professionalizzazione del giudice tributario avrebbe potuto essere perseguito anche attraverso la devoluzione della materia tributaria alla cognizione del giudice ordinario, ivi strutturando una sezione specializzata tributaria. Maggiori difficoltà avrebbe, invece, presentato l’attribuzione della materia tributaria alla cognizione del giudice amministrativo[7] o di quello contabile, anche in considerazione del quadro costituzionale risultante dall’interpretazione della VI disposizione finale della Costituzione, che non recepisce espressamente la giurisdizione tributaria ma la tollera semplicemente[8].
Un soluzione – quella adottata dal legislatore – che appare ragionevole e che consente anche di realizzare una più armonica migrazione da una giurisdizione integralmente affidata a giudici onorari, come è quella attuale, a una che invece dovrà essere di quasi esclusiva competenza di magistrati “togati”. Questa migrazione è operata dal legislatore mediante il nuovo art. 1-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 545, secondo cui «la giurisdizione tributaria è esercitata dai magistrati tributari e dai giudici tributari nominati presso le corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, presenti nel ruolo unico nazionale di cui all’ articolo 4, comma 39-bis, della legge 12 novembre 2011, n. 183, alla data del 1° gennaio 2022»; il che significa che questi ultimi giudici «attualmente in organico eserciteranno pertanto le proprie attribuzioni sino al completamento della loro carriera, accompagnando la giurisdizione tributaria verso l’esercizio esclusivo da parte di magistrati tributari professionali a tempo pieno, assunti tramite concorso pubblico, le cui modalità di svolgimento sono disciplinate dagli artt. da 4 a 4-quater del d. lgs. n. 545 del 1992, come disposti dalle lettere c) e d) del comma in esame»[9].
4. Il documento di sintesi sulla riforma tributaria, reperibile sul sito della Camera dei deputati, spiega che «per conseguire l’obiettivo previsto dal PNRR, i Ministri della giustizia e dell’economia hanno dapprima insediato una commissione di studio chiamata a proporre al Governo un disegno di riforma della giustizia tributaria (c.d. Commissione Della Cananea), che ha presentato le proprie proposte, e successivamente, il 1° giugno 2022, hanno presentato in Senato il disegno di legge A.S. 2636, Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari. Dopo le modifiche apportate dal Senato, il provvedimento (A.C. 3703) è stato approvato definitivamente dalla Camera.
La legge n. 130 del 2022, anzitutto persegue la razionalizzazione del sistema della giustizia tributaria attraverso la professionalizzazione del giudice di merito, con la previsione della figura del magistrato tributario professionale, e apporta le conseguenti, modifiche alle norme che disciplinano il reclutamento, la nomina alle funzioni direttive e le progressioni in carriera dei componenti delle commissioni tributarie. La legge, intervenendo sul decreto legislativo n. 545 del 1992, modifica inoltre la denominazione delle commissioni tributarie in corti di giustizia tributaria (di primo e secondo grado) e stabilisce che la giurisdizione tributaria è esercitata dai nuovi magistrati tributari a tempo pieno, reclutati mediante procedure concorsuali appositamente disciplinate». La suddetta professionalizzazione del giudice tributario di merito viene, dunque, realizzata attraverso il reclutamento per concorso.
Al di là di alcune osservazioni critiche sulle materie previste nelle prove selettive disciplinate dal nuovo art. 4 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 545 e sui requisiti per l’ammissione al concorso di cui al successivo art. 4-bis, in buona parte comunque superate nella stesura definitiva dei predetti articoli[10], va detto che il passaggio da una magistratura onoraria a una magistratura professionale non poteva prescindere dall’introduzione di una procedura selettiva di stampo concorsuale, articolata in prove volte a verificare competenze e capacità dei candidati, in quanto non v’è dubbio che «la nomina a seguito di concorso è individuata come elemento socialmente legittimante per garantire ai cittadini la competenza del giudice (art. 106 Cost.)»[11].
Il vero punctum dolens della riforma è rappresentato dal fatto che il concorso viene affidato al Ministero dell’economia e delle finanze, sotto la cui egida resta sostanzialmente incardinata la nuova magistratura tributaria, con toni anzi addirittura accentuati rispetto all’assetto precedente.
A chi da tempo provocatoriamente sostiene che è più facile«che un cammello passi per la cruna di un ago che il ministero delle Finanze rinunci al dominio che ha sulla vita delle Commissioni tributarie»[12], si sono affiancate autorevoli voci di dottrina che hanno evidenziato il rischio che le nuove corti di giustizia tributaria nascano “dimidiate”, in quanto non dotate della necessaria indipendenza, con buona pace per quanto previsto dall’art. 108 della Costituzione.
L’argomento è stato peraltro di recente valorizzato da Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, Sez. I, ordinanza 31 ottobre 2022 n. 408, che ha trasmesso gli atti alla Corte costituzionale, prospettando la questione nei termini che seguono: «3.1) L’effetto di accentuazione del rapporto di dipendenza dei giudici tributari dal Ministero Economia e Finanze, titolare sostanziale dell’interesse oggetto delle controversie tributarie, determinato dall’entrata in vigore della Legge novellatrice n. 130 del 2022, in ingravescente contrasto con i principi costituzionalmente garantiti dell’indipendenza e dell’imparzialità dei giudici rispetto all’assetto normativo preesistente, che già appariva idoneo a pregiudicare la garanzia dei ridetti fondamentali principi in materia di giurisdizione.
Si tratta, in specie dei principi dettati non solo dagli artt. 101; 104, 105 e 110 della Carta (“I giudici sono soggetti soltanto alla legge”; “La magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere”; “Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”; “….spettano al Ministro della giustizia l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”), in combinato disposto con l’art.108 della Carta (“La legge assicura l’ indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali”), ma anche dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848 così come interpretato ed applicato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) in tema di “equo processo”, norma -quest’ultima- che funge da disciplina interposta ai fini della valutazione della conformità a Costituzione della legge ordinaria nazionale, per effetto del rinvio contenuto nell’art.117 Cost. (in termini Corte Cost. 24.10.2007 n.348 e Corte Cost. 11.3.2011 n.80).
In quest’ultima ottica, non può non menzionarsi Corte CEDU 10.1.2012, Pohoskal v. Poland, secondo la quale l’indipendenza del giudicante va valutata da una prospettiva “obiettiva”, alla luce della disciplina che ne prevede le modalità di selezione e che stabilisce le regole di protezione contro le pressioni esterne; nel mentre l’imparzialità del giudicante medesimo va verificata in prospettiva “soggettiva” – quasi come espressione della psicologia individuale del giudicante – onde acclarare se (indipendentemente da una concreta sussistenza di pregiudizio) sia garantita al giudicante la consapevolezza dell’assenza di condizionamenti esterni.
Il coacervo di queste disposizioni di rango costituzionale ha consentito al Giudice delle leggi di esprimere (sentenza n.284 del 1986) quel principio generalmente applicabile a tutti i giudici latamente intesi (della cui violazione qui appunto si dubita) secondo il quale “L’indipendenza del giudice consiste nell’autonoma potestà decisionale, non condizionata da interferenze dirette, ovvero indirette provenienti dall’autorità di governo o da qualsiasi altro soggetto; essa concerne non solo l’ordine giudiziario nel suo complesso (art. 104 Cost.) ma anche i singoli organi, ordinari (art. 107) e speciali (art. 108), al fine di assicurare che l’attività giurisdizionale, nelle varie articolazioni, come la sua intrinseca essenza esige, sia esercitata senza inammissibili influenze esterne. Anche se concettualmente distinta, l’indipendenza ha ricorrenti e stretti legami con l’imparzialità …..“».
In buona sostanza, secondo la Corte di giustizia di Venezia «l’inquadramento della organizzazione giudiziaria tributaria all’interno di un apparato che della medesima organizzazione giudiziaria – in concreto – si serve per la realizzazione di fini suoi propri appare a questa Corte giudicante istituzionalmente in conflitto con i principi di autonomia e indipendenza che devono permeare non solo la sostanza della funzione giurisdizionale ma anche la sua apparenza nei confronti dei consociati, i quali hanno il diritto di non dover temere che il giudice innanzi al quale si presentano sia pregiudizialmente schierato a favore di una delle parti del processo».
Il tema è e resta attuale, per quanto secondo alcuni sia argomento più di forma che di sostanza, in quanto la riforma ha comunque previsto che «ai magistrati tributari reclutati per concorso, secondo le modalità di cui all’articolo 4, si applicano le disposizioni in materia di trattamento economico previsto per i magistrati ordinari, in quanto compatibili» (nuovo art. 13-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 545); l’equiparazione dei magistrati tributari a quelli ordinari sotto il profilo retributivo viene ritenuto infatti un fondamentale passo avanti verso l’effettiva indipendenza del giudice tributario[13].
5. Rispetto al tema dell’indipendenza va considerato poi anche il ruolo del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. Dice Antonio Leone, che lo presiede: «convintamente evidenzio la necessità di prevedere nella riforma della giustizia tributaria ora in discussione un rafforzamento del ruolo del Cpgt a tutela dell’autonomia e indipendenza dei giudici tributari. L’indipendenza del giudice nell’esercizio delle sue funzioni deve essere assicurata dalla legge anche ai giudici speciali come indicato dall’articolo 108, secondo comma della Costituzione. Nel dibattito sulla riforma della giustizia tributaria molti hanno sostenuto la necessità di una netta separazione tra le commissioni tributarie ed il Mef. Questa separazione non sarà necessaria se il Cpgt verrà messo nelle condizioni di svolgere la fondamentale sua funzione di assicurare l’autonomia e l’indipendenza dei giudici tributari, anche solo apparente. In buona sostanza l’organo di autogoverno deve fungere da schermo – barriera invalicabile – tra i giudici ed il Mef.
Per raggiungere questo scopo si dovrà istituire una sezione disciplinare e un ufficio ispettivo che possa periodicamente verificare l’andamento delle Commissioni tributarie dislocate sul territorio»[14].
Chi ritiene marginale la questione del MEF nel quadro complessivo della riforma, valuta positivamente il fatto che il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria esca indubbiamente rafforzato dall’intervento legislativo in commento, in quanto – tra l’altro – delibera il numero dei posti di volta in volta messi a concorso (art. 4-ter) e la Commissione di concorso (art. 4-quater). Insomma, secondo costoro «non corrispondono al vero quindi le affermazioni secondo le quali i nuovi magistrati saranno reclutati sotto il controllo del Ministero dell’Economia. Al MEF, ma non potrebbe essere diversamente, è devoluta esclusivamente la gestione organizzativa delle procedure di selezione (affitto locali, PC, front office per l’accesso dei candidati, pagamento dei compensi dei commissari d’esame), il tutto secondo un modello che è identico a quello previsto per il reclutamento dei magistrati ordinari (in cui il CSM delibera sui posti da mettere a concorso e il Ministero della Giustizia ratifica con decreto quanto stabilito dall’organo di autogoverno)»[15].
La questione è certamente aperta, ma in attesa della pronuncia della Corte costituzionale, si possono prospettare alcune prime considerazioni conclusive.
La riforma segna senza dubbio un significativo passo avanti, riconoscendo sin d’ora al giudice tributario una autonomia e indipendenza quantomeno sostanziali, «nella prospettiva – inevitabile nel lungo periodo, almeno a Costituzione vigente – di assorbimento nella giurisdizione ordinaria, segnatamente nelle forme dell’istituzione ai sensi dell’art. 102 Cost. di una sezione specializzata apposita per la materia tributaria»[16]. L’assetto ordinamentale tratteggiato dalla riforma non necessariamente deve essere ritenuto definitivo (come peraltro non lo è quello delineato da nessuna legge) e può senz’altro essere migliorato con un’opera di labor limae che tenga conto delle pertinenti osservazioni mosse da quella parte di dottrina e dalla giurisprudenza secondo cui l’indipendenza del giudice, oltre che esistere, deve anche apparire ed essere percepita come tale di fronte al corpo sociale e che, a ragione, individua un vulnus nel ruolo che la Legge 21 agosto 2022 n. 130 ha tuttora riservato al Ministero dell’economia e delle finanze. Un primo passo comunque andava fatto e, al netto delle critiche, anche importanti, di cui occorrerà farsi carico, il saldo provvisorio di questo aspetto della riforma può considerarsi positivo.
Angelo Salvi
[1] V., in proposito, A. Contrino e F. Farri, Una riforma da completare, reperibile al seguente link: https://www.centrostudilivatino.it/giustizia-tributaria-una-riforma-da-completare-1/.
[2] M. Villani, La Giustizia Tributaria tra esigenze pratiche e vincoli di diritto interno ed europeo del «giusto processo», in Diritto e Pratica Tributaria, 3/2016, p. 1005.
[3] M. Logozzo, L’Amministrazione Finanziaria come organo di giustizia nel pensiero di Enrico Allorio, in Diritto e Pratica Tributaria, 6/2015, p. 831.
[4] Documento reperibile al seguente link: https://www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=17&codice=17PDL0057560&back_to=https://www.camera.it/leg17/126?tab=2-e-leg=17-e-idDocumento=4755-e-sede=-e-tipo=
[5] C. Glendi, Nuovi fermenti legislativi sulla giurisdizione tributaria, in Ipsoa Quotidiano, 7 maggio 2016.
[6] V., in proposito, A. Contrino e F. Farri, Un riforma da completare, cit.
[7] Anche in considerazione del fatto che – come noto – le sentenze del Consiglio di Stato, giudice amministrativo di secondo grado, sono ricorribili in Cassazione solo per motivi concernenti la giurisdizione, contrariamente a quanto è sinora avvenuto con riguardo alle sentenze delle commissioni tributarie regionali, rispetto alle quale non vi era alcun limite di impugnazione, se non quello di sviluppare una critica “vincolata” nell’ambito di quanto previsto dall’art. 360 cod. proc. civ..
[8] Il tema è ben sviluppato in F. Farri, Giurisprudenza delle imposte, 1/2022, alla cui lettura rimando. Segnalo, peraltro, che non tutti in dottrina danno per scontato che la riforma superi il vaglio di costituzionalità in relazione a quanto in discorso; scrive, infatti, C. Glendi, La novissima stagione della giustizia tributaria riformata, in Diritto e pratica tributaria, 4/2022, pp. 1141-1142 «Nel complesso, una disciplina ragionata, che, inevitabilmente, accontenterà qualcuno e scontenterà invece altri, ma, che, in sostanza, sembra poter essere in grado di consentire un funzionale avvio di questa nuova stagione riformata. Pur non potendosi, in apicibus, aprioristicamente, accantonare il non manifestamente infondato dubbio, in specie, che quelle che ora si sono volute considerare quali “Corti di giustizia tributaria” di primo e di secondo grado, abbandonando così la vecchia denominazione di “Commissioni tributarie”, senza peraltro accedere alle più comuni accezioni di “Tribunali” o “Corti d’appello”, possano eccedere dal pur allentato perimetro di cui alla sesta disposizione transitoria e finale della nostra Costituzione finendo così per incorrere nel divieto di cui all’art. 102, 2° comma, Cost. Non potendosi dare per scontato la riportabilità della disciplina che ne occupa al perimetro della “revisione”, anziché a quella di una reale “novità” rispetto ai preesistenti organi speciali della giurisdizione tributaria».
[9] R. Succio, La riforma del processo tributario: i nuovi giudici tributari, in Il Quotidiano Giuridico del 6 settembre 2022.
[10] V., in proposito, A. Giovanardi, La riforma della giustizia tributaria nel disegno di legge di iniziativa governativa AS/2636: decisivo passo in avanti o disastrosa iattura?, in Rivista Telematica di diritto tributario dell’8 luglio 2022.
[11] F. Farri, Giurisprudenza delle imposte, 1/2022, p. 46.
[12] E. De Mita, Processo Tributario, una riforma con troppe voci, in Il Sole 24 Ore del 22 aprile 2016.
[13] V., in proposito, A. Giovanardi, op. cit..
[14] A. Leone, Relazione del Presidente alla Cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario Tributario 2022 del 5 aprile 2022.
[15] Così A. Giovanardi, op. cit..
[16] F. Farri, Giurisprudenza delle imposte, 1/2022, p. 42.