Nel mese di gennaio, in occasione della peregrinatio delle reliquie del beato Rosario Livatino, abbiamo assistito a molteplici eventi, assai coinvolgenti, nella città di Roma, organizzati, nella settimana dal 14 al 21 gennaio, non solo nelle Chiese romane, ma anche nelle Università e nelle sedi istituzionali, accompagnati da preghiere, discorsi, messaggi delle massime cariche dello Stato, a partire dal Presidente della Repubblica. Se ne è dato ampiamente conto in questo sito.
La reliquia solennemente portata in devozione e esposta alla preghiera del popolo, su iniziativa dell’arciconfraternita di Santa Maria Odigitria dei Siciliani, è la camicia intrisa di sangue che il giudice Rosario Livatino indossava il giorno dell’attentato, il 21 settembre 1990, mentre si recava al Tribunale di Agrigento, a bordo della propria auto. Il 21 settembre è la festa di San Matteo, e le tragiche immagini del giudice Livatino nella scarpata di una campagna siciliana ricordano il martirio di San Matteo nello splendido dipinto del Caravaggio, nella chiesa di San Luigi dei Francesi, a Roma.
La camicia venerata è racchiusa in una teca di vetro, poggiata su un Codice penale e sul Vangelo e sulla sommità è incisa S.T.D. (Sub tutela Dei), espressione adoperata sovente dal magistrato e apposta sulle agende, lettere, documenti.
Livatino è stato proclamato beato il 9 maggio del 2022 e il 29 ottobre di ogni anno la Chiesa lo commemora. “Martire della fede”, che ha vissuto e praticato professionalmente e non solo la giustizia, sembrerebbe inviare ai governanti un messaggio di attenzione all’uomo, posto al centro: codice e Vangelo, l’uno condanna e l’altro salva, ma entrambi devono avere una funzione salvifica e quindi non possono essere tra loro contraddittori; vi deve essere armonia, ‘sinfonia’.La “sinfonia” di sacerdotium e imperium è teorizzata da Giustiniano nella praefatio della Novella VI, nel 535. [1] Sacerdotium et imperium (ierosune kai basileia) sono i massimi doni elargiti dalla clemenza di Dio agli uomini. L’uno il sacerdotium[2] riguarda le cose divine, l’altro l’imperium presiede le cose umane e di esse ha cura. Entrambi, poiché derivano da un unico medesimo principio, adornano (exornant) la vita umana.
Il cardinale Parolin, in occasione del convegno “L’attualità del beato Rosario Livatino” svoltosi il 18 gennaio 2023, nella Sala Capitolare del Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva, ha sottolineato come per Livatino la fede e l’impegno laicale erano «inscindibili nella teoria e nella prassi, nella consapevolezza che la fede può ben essere “anima” nel modo di amministrare la giustizia, comprovando così la correlazione tra eterno e tempo, fede e giustizia». E aggiunge, riguardo alla causa dell’uccisione perpetrata: «per contrastare l’affermazione di una giustizia intrisa di Vangelo e di fede cristiana».
Negli stessi giorni della peregrinatio della reliquia è stato catturato Matteo Messina Denaro, latitante da oltre trent’anni. Ha sottolineato Alberto Gambino, a tal proposito, che: “La storia è segnata dalla mano della Provvidenza e, per i credenti, il pellegrinaggio della reliquia del beato Livatino mentre viene catturato il più spietato dei boss stragisti, non può essere ascritto a mera casualità”.
Questa riflessione suscita ulteriori considerazioni.
La preghiera, forza motrice della storia come sottolineava spesso Giorgio La Pira, potrebbe addirittura cambiare il corso della storia; potrebbe essere uno strumento ‘utile’ per uscire fuori dalle strettoie nelle quali ci troviamo, e guardare al futuro con speranza. Non dimentichiamo che la speranza è una virtù anch’essa motrice, assieme alla fede e all’amore, quell’amore che addirittura, ci dice Dante, “muove il Sole e le altre stelle”. La speranza è, oltretutto, elevata ad emblema del prossimo giubileo del 2025, nel cui motto si legge: “Peregrinantes in Spem (Pellegrini di Speranza)”.
Secondo la Pira occorre pensare alla preghiera come un “problema politico”; il grande romanista amava citare il “gran mezzo della preghiera”, un celebre libro di sant’Alfonso Maria de’ Liguori[3] e ripetere: “Dobbiamo diventare responsabilmente profeti della pace escatologica, per questo occorre la fede”.[4] Per tale ragione trascorreva anche notti intere dinanzi al Santissimo Sacramento.[5]
L’espressione “la preghiera ‘problema politico’” è di Jean Daniélou e L’orazione, problema politico è il titolo di un libro del noto studioso.[6]
Ma perché l’orazione è fondamentale per la politica? Si tratta di un interrogativo complesso, specie nella nostra epoca. La risposta di Daniélou è immediata e universale: “Lo scopo fondamentale della politica è quello di assicurare il bene comune”. E aggiunge “la possibilità di realizzazione dell’uomo in tutti i suoi livelli è un elemento essenziale del bene comune. È chiaro che nell’uomo la possibilità di realizzazione del suo livello religioso è un elemento fondamentale. La comunità umana ne ha bisogno, in quanto riteniamo che non esista autentica comunità umana nella quale questa dimensione dell’uomo non sia rappresentata”. A tal proposito il noto studioso richiama proprio Giorgio La Pira: “In questo faccio riferimento a La Pira quando dice che la società umana comporta due elementi essenziali: le case per gli operai ed i monasteri, vale a dire il servizio e l’adorazione. Penso a Simone Weil quando protesta contro la totale secolarizzazione, nel mondo contemporaneo, della società e del cosmo, e ricorda che la relazione con il sacro tra società e universo è un elemento costitutivo dell’equilibrio delle civiltà”.
Con Daniélou possiamo evidenziare che oggi “l’assenza di elementi religiosi nella formazione della civiltà costituisce un problema”: siamo in una società che ha perso punti di riferimento e mette in discussione tutto, anzi tratta anche sui principi eterni e universali. La presunzione e onnipotenza dell’uomo e dei governanti dei tempi moderni, in particolare del XX secolo, ma anche di questi primi decenni del XXI, ci porta a tenere nascosto questo bisogno proprio dell’uomo e del popolo, addirittura, talvolta, decidendo di relegarlo al privato.
Anche gli Imperatori romani invitavano il popolo a pregare, anzi niente stava loro più a cuore (studiosum erit) quanto l’onestà dei sacerdoti, poiché essi pregano continuamente Dio anche per loro (Nov. VI).
Di fronte a queste tendenze può essere invece utile richiamare l’esempio dell’antica Roma. Cicerone riteneva che, rispetto ad altri popoli, quello romano fosse pari o anche inferiore, ad eccezione della religione (religione, id est cultu deorum), nella quale primeggiarono (multo superiores).
È il popolo che – nei millenni – ha professato e professa la religione, è il popolo con i suoi bisogni materiali e spirituali che prega, che deve ‘alzare le braccia’ o inginocchiarsi, o pubblicamente o nel chiuso di una stanza, e ‘chiedere’ un miracolo, la guarigione del corpo e del cuore. La storia è piena di Re, Imperatori, Dogi che invocano Dio e la Madonna per la salute del popolo. È noto che anche alcuni tra i padri fondatori dell’integrazione europea fossero uomini di preghiera e che, in particolare, Adenauer e Schuman, prima di attivare il processo fondativo delle Comunità, si fossero trovati insieme a pregare.
Oltretutto, per gli studiosi, a partire dagli economisti, la preghiera non sottostà alle regole del mercato; infatti diceva Sant’Alfonso, la grazia non è limitata, ma, anzi, è infinita, come la Misericordia!
Nella nostra debolezza e fragilità ci saranno di grande conforto e incoraggiamento le parole rassicuranti del Signore: “Tutto quello che domanderete nella preghiera, vi sarà accordato”.
Maria Pia Baccari Vari
Docente di Diritto Romano
[1] Sulla Novella VI rinvio a M. P. Baccari, Cittadini, popoli e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI, Torino (1996), 2012, p. 8; più ampiamente “Imperium e sacerdotium: a proposito di universalismo e diritto romano”, cit., pp. 258 ss.; “All’origine della sinfonia di Sacerdotium e Imperium: da Costantino a Giustiniano”, in La laicità nella costruzione dell’Europa. Dualità del potere e neutralità religiosa, in Diritto @ Storia, X, 2012; Dal tribuno Canuleio a Giustiniano: all’origine della sinfonia di Sacerdotium e Imperium, in Armata sapientia. Scritti in onore di Francesco Paolo Casavola in occasione dei suoi novant’anni a cura di Lorenzo Franchini editoriale Scientifica Napoli 2021, pp. 21 ss.
[2] Per approfondimenti anche dal punto dell’etimologia di sacerdos e sacerdotium e per un quadro generale degli usi dei termini nelle Novelle (ἱερωσύνη/ἱερατεία) vedi M. T. Capozza, Sacerdotium nelle Novelle di Giustiniano ‘Consonantia’ (συμφωνία) e ‘amplificatio’ della ‘res publica’, Torino, 2018, p. 73, nt. 8; pp. 76 ss. (ivi bibliografia).
[3] A. de’ Liguori, Del gran mezzo della preghiera”, SEI, Torino 1939.
[4] G. La Pira, Unità disarmo e pace, Firenze 1971, passim.
[5] M. P. Baccari, “I quattro pilastri della pace secondo i Pontefici romani e alcuni principi del diritto romano”, in L’archetipo dell’amore fra gli uomini. Deus caritas est: riflessione a più voci sull’Enciclica di Benedetto XVI (a cura di G. Dalla Torre), Roma 2007, pp. 137 ss.; P. Catalano, “La Pira ‘personalità monolitica’: le note nel Digesto”, in Il Veltro, XLI, 1997, pp. 45 ss.; cfr. R.e Figueiredo Marcos, “O rosário e o valor do silêncio”, in Giovanni Paolo II. Le vie della giustizia, (in occasione del XXV anno di Pontificato), Roma 2003, pp. 1080 ss., a proposito del valore della preghiera per la pace.
[6] J. Daniélou, L’orazione problema politico, Roma 1993, pp. 30 s. (tr. it. di L. Marinese).