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A differenza di quanto sostenuto anche da media italiani, l’abrogazione del divieto di tale pubblicità, disposta a luglio dal Parlamento tedesco, non consiste né nella eliminazione di una disciplina nazista, poiché invece la norma incriminatrice risale alla metà degli anni 1970, quando governavano i socialdemocratici, né nel riconoscimento della possibilità di abortire, che invece in territorio tedesco esiste dalla medesima epoca, grosso modo in coincidenza all’approvazione in Italia della legge 194. 

1. È recente l’approvazione in Germania della legge che prevede, a partire da luglio 2022, l’abolizione del § 219a dello Strafgesetzbuch tedesco[i], recante il reato di “pubblicità per l’interruzione di gravidanza” (Werbung für den Abbruch der Schwangerschaft), ad opera della c.d. “coalizione-semaforo” – socialdemocratici, liberali e verdi – formatasi a seguito delle elezioni federali dello scorso autunno, la prima dal 2005 senza i cristiano-democratici e i cristiano-sociali bavaresi.

2. La norma era da tempo posta in discussione, essendo finita nel ciclone politico e mediatico almeno altre due volte. La prima era stata nel 1992[ii], subito dopo la Wiedervereinigung. La seconda volta nel 2018, a seguito della condanna di due ginecologhe[iii]. In particolare nella seconda occasione, in assenza della disponibilità del Governo federale – in particolare del ministro cristiano-democratico Spahn – e della maggioranza del Bundestag all’abolizione della norma, si era quindi saggiata anche la possibilità di sollevare questione di costituzionalità, provando a porre in contrasto il § 219a StGB con il diritto alla libertà professionale sancito dall’Art. 12 del Grundgesetz: ma la giurisprudenza e la (scarna) dottrina in materia si mostravano per lo come più contrari a un possibile accoglimento della stessa[iv].

Di avviso opposto sono stati, negli ultimi mesi, l’attuale Ministro federale per la giustizia, il liberaldemocratico Marco Buschmann, e il Ministro federale per la famiglia in carica, la verde Elisabeth Paus, che hanno parlato del progetto – realizzato con la legge 11 luglio 2022[v] – come di una svolta per la tutela dei medici e delle donne[vi]. La questione travalica ampiamente i confini della Bundesrepublik, avendo suscitato l’attenzione anche dalla stampa nostrana. Una buona parte di essa, già pronta a sorreggere le precedenti iniziative abolitrici, ha accolto con entusiasmo la notizia, leggendovi una grande conquista per la tutela dei diritti delle donne e l’abolizione di una norma “oscena”[vii] e di origine nazionalsocialista[viii]. Vi si potrebbe financo ravvisare una lettura in senso revanscista nei confronti della sentenza della USSC sul caso Dobbs Vs. Jackson, nella speranza che l’abolizione del §219a StGB nella principale potenza europea costituisca una sorta di replica alrovesciamento di Roe Vs. Wade.

3. Ma qual era il contenuto della norma? Quali le sue implicazioni? Conviene premettere considerazioni minime e sintetiche circa il suo contesto, prima di entrare nel merito della figura di reato testé abrogata.

Il § 219a StGB, come suggerisce il sottonumero “a”, non è parte dell’impianto originario dello Strafgesetzbuch[ix]. Esso è infatti frutto della quinta riforma organica del diritto penale (5. Strafrechtsreform) con legge 18 giugno 1974[x], che ha rinominato il reato di “aborto” (Abtreibung) in reato di “interruzione di gravidanza” (Schwangerschaftsabbruch), tuttora vigente, inserendo ampie clausole di non punibilità (lato sensu). Scorrendo il testo della legge di riforma sul Bundesgesetzblatt (equipollente della nostra Gazzetta Ufficiale) n. 63 del 21 giugno 1974, si rinviene la firma del cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt, in quel momento da poche settimane succeduto a Willy Brandt. Tanto smentisce immancabilmente la “tesi” del § 219a quale norma nazista, derubricabile a mera disinformazione.

La disposizione in esame si inserisce nel titolo della parte speciale della codificazione penalistica dedicato ai reati contro la vita (Straftaten gegen das Leben): vale a dire, il 16. Abschnitt, contenente i §§ da 211 a 222. Il § 219a faceva parte del microcosmo della disciplina penale dell’interruzione di gravidanza, tuttora prevista come reato dal § 218 StGB.

Tanto sottolinea quanto il legislatore tedesco del 1974, come d’altronde quello italiano del 1978, fosse ben lungi dal voler riconoscere un diritto all’aborto. La ratio della depenalizzazione per mezzo di clausole di esclusione dal fatto tipico, scriminanti, scusanti, esimenti era piuttosto basata sull’idea che l’aborto, quale fenomeno socialmente problematico, fosse meglio gestibile facendolo emergere dall’illegalità, prevedendo una procedura obbligatoria di consulenza e ponendo sia quest’ultima che l’eventuale operazione abortiva in carico al sistema sanitario, sia pubblico che – a differenza di quanto previsto dalla legge 194 – privato. La tutela della procedura e della regolarità di un’operazione affidata anche a cliniche e studi ginecologici privati, com’è invero piuttosto frequente, ha richiesto l’istituzione di nuove fattispecie di reato improntante ad accessorietà amministrativa o volte ad evitare il formarsi di pratiche commerciali “consumeristiche” intorno alle operazioni abortive.

La consulenza pre-abortiva è disciplinata, in generale, dalla discorsiva disposizione del § 219 StGB. La regolazione di dettaglio è affidata ad una legge del 1992 dedicata alla “prevenzione e al superamento dei conflitti concernenti la gravidanza”. Limitandoci allo StGB, ne emerge che la consulenza dovrebbe servire, innanzitutto, alla tutela della vita nascente: la gestante dovrebbe essere edotta degli strumenti sociali e finanziari volti a favorire la prosecuzione della gravidanza. Il comma 2 impone che la consulenza sia operata da un consultorio (Beratungsstelle) riconosciuto, escludendo il medico che prenderà in carico l’operazione abortiva.

4. Entrando nel merito dell’abolito § 219a StGB, “Pubblicità per l’interruzione della gravidanza” (Werbung für den Abbruch der Schwangerschaft), la disposizione recitava così[xi] (traduzione a nostra cura):

(1) Chiunque, in un’assemblea pubblica o mediante la diffusione di un contenuto, al fine di conseguire un profitto per sé o con modalità particolarmente scabrose offra, annunci, apologizzi

1. propri o altrui servizi per la presa in carico e l’effettuazione di un’interruzione di gravidanza, ovvero

2. mezzi, oggetti o procedure appropriati all’interruzione della gravidanza, ponendo in evidenza tale idoneità

o comunque fornisca chiarimenti sul predetto contenuto, è punito con la reclusione fino a due anni o con la pena pecuniaria.

(2) Il n. 1 del comma 1 non si applica quando i medici o i consultori riconosciuti sulla base della legge siano istruiti ad indicare quali medici, ospedali o strutture sanitarie siano disponibili a prendere in carico un’interruzione di gravidanza, in base ai presupposti di cui al § 218, commi da 1 a 3.

(3) Il n. 2 del comma 1 non si applica quando il fatto venga compiuto nei confronti di medici o di persone abilitate al commercio degli strumenti o degli oggetti idonei all’interruzione di gravidanza, o quando sia effettuato nel contesto di pubblicazioni specialistiche mediche o farmaceutiche.

(4) Il comma 1 non si applica, qualora medici, ospedali o strutture sanitarie

1. facciano riferimento alla circostanza di fatto che essi prendano in carico interruzioni di gravidanza ai sensi del §218a, commi da 1 a 3, ovvero

2. facciano riferimento a informazioni sull’interruzione di gravidanza provenienti dagli organi federali o regionali competenti a tal fine, da un consultorio autorizzato ai sensi della legge sul conflitto con la gravidanza o da un ordine territoriale dei medici.

Emerge con chiarezza un dato: non qualsiasi informazione messa in circolo su medici o strutture disponibili all’interruzione di gravidanza era oggetto dell’incriminazione. Al di là di possibili applicazioni giurisprudenziali rigoriste, la descrizione della condotta e financo dell’elemento soggettivo erano sufficientemente caratterizzate da rendere chiaro che il giudizio di disvalore ricadeva sulle pubblicizzazioni animate da intenti di lucrativa commercializzazione di un’operazione particolarmente problematica[xii], o dal ricorso a modalità descrittive del tutto prive di quella delicatezza che argomenti come la gravidanza e la relativa interruzione – in base a considerazioni di elementare umanità – richiederebbero.

Tanto si pone in una relazione perfettamente coerente con una liceizzazione dell’aborto che, quantunque improntata ad una politica più libertaria rispetto alla legge 194, mantiene comunque un giudizio generale di problematicità dell’operazione abortiva e dei relativi strumenti, intorno ai quali non possono essere accettabili forme di reclamizzazione. Sembrerebbe quindi quasi banale ricordare che tale norma non influisce in alcun modo sulla rilevanza penale o meno delle operazioni stesse, o sulla relativa informazione generale e divulgativa: si tratta di una limitazione del tutto periferica a certe forme di comunicazione sul tema[xiii].

Tutto questo avviene nel contesto di un sistema molto più “libertario” di quello disegnato dalla legge n. 194 del 1978, al di là della formale preservazione dell’interruzione di gravidanza come figura di reato. L’operazione è infatti consentita anche presso strutture private, financo in studi medici: siamo ben lontani dalla limitazione a strutture ospedaliere tuttora vigente in Italia. Ne consegue che il pericolo della commercializzazione della pratica, con un portato di pubblicità banalizzante e “psicologicamente palliativa”, quando non apertamente istigatrice ed aggressiva verso il nascituro o – termine troppo spesso omesso nella discussione sull’aborto – la nascitura, è tutt’altro che ipotetico e frutto di speculazione accademica.

5. Rimane un certo rammarico per la caduta di una norma di civiltà e di profonda umanità in uno dei principali ordinamenti giuridici europei, frutto di un governo democratico e non di quello nazionalsocialista (il Bundesgesetzblatt n. 63 del 1974 è lì a disposizione di chiunque voglia informarsi correttamente[xiv]), la cui abolizione continua ad apparire tutt’altro che necessaria nell’ottica della legalizzazione – o si potrebbe dire liberalizzazione? – dell’aborto. Ora, la vita in una società plurale può richiedere – pur mantenendo ferme le proprie posizioni favorevoli alla tutela dei nascituri e delle nasciture[xv] – di confrontarsi con chi, in chiave problematica e riconoscendo la sussistenza di contro-argomenti, antepone la libertà sessuale e riproduttiva alla tutela della vita nascente.

Ritenere però un essenziale portato di questa forma di pensiero la commercializzazione dell’aborto, con tanto di reclamizzazione delle relative pratiche cliniche, si pone ben oltre tale spazio di discussione, e prelude a una estremizzazione delle posizioni abortiste e alla pericolosa china della de-umanizzazione di esseri umani che (non) rispondono a determinati requisiti[xvi].

Francesco Camplani


[i] Cfr. F. Albrecht, Bundestag schafft Werbeverbot für Schwangerschaftsabbrüche ab, su ZeitOnline (www.zeit.de), 24 giugno 2022, https://www.zeit.de/politik/deutschland/2022-06/219a-bundestag-schafft-werbeverbot-fuer-schwangerschaftsabbrueche-ab. In lingua italiana, quale informazione rivolta al Servizio Studi della Corte costituzionale, si v. M. T. Roerig, Il Bundestag tedesco approva la legalizzazione della “pubblicità” da parte dei medici che praticano l’aborto, su www.cortecostituzionale.it, area Segnalazioni correnti- Studi di diritto comparato, 27 giugno 2022, https://www.cortecostituzionale.it/documenti/segnalazioni_corrente/Segnalazioni_1656330722327.pdf.

[ii] Cfr., a fini informativi, l’articolo di F. Barbieri, L’aborto in Germania, su Repubblica, 27 giugno 1992, https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/06/27/aborto-in-germania.html.

[iii] Per attingere ad una fonte di informazione in lingua italiana, dichiaratamente favorevole all’abolizione: T. Mastrobuoni, Due ginecologhe costringono la Germania a parlare di aborto, in Repubblica, 3 aprile 2018 (commento nostro: in Germania si è sempre parlato di aborto con notevole libertà, senza necessità di episodi che “costringessero” alcunché, al punto che sono rinvenibili dibattiti in tema anche in programmi in prima serata), su Repubblica.it;

[iv] Cfr. il rapporto dei “servizi scientifici” del Bundestag: Wissenschaftliche Dienste, Zur Verfassungsmäßigkeit von § 219a StGB (Werbung für den Abbruch der Schwangerschaft), Sachstand WD 3 – 3000 – 252/17, reperibile alla URL https://www.bundestag.de/resource/blob/546646/c859048b1b56bebb8a9bd0eca275b119/wd-3-252-17-pdf-data.pdf.

[v] Cfr. Bundesgesetzblatt, Teil I, 18 luglio 2022, Nr. 25, pp. 1082-1083. La fonte cui si fa riferimento, il cui nome significa letteralmente “foglio delle leggi federali”, è l’equivalente della nostra Gazzetta Ufficiale. Segue link diretto: https://www.bgbl.de/xaver/bgbl/start.xav#__bgbl__%2F%2F*%5B%40attr_id%3D%27bgbl122s1082.pdf%27%5D__1658960611077

[vi] Queste le dichiarazioni sul sito ufficiale del Governo federale: https://www.bundesregierung.de/breg-de/suche/paragraph-219a-2010222#:~:text=Werbeverbot%20f%C3%BCr%20Abtreibungen%20aufgehoben%20Bundestag,welcher%20Methode%20sie%20Abtreibungen%20durchf%C3%BChren.

[vii] Così C. Sciuto, Aborto, in Germania abolito il divieto di “pubblicità”, su MicroMega, 26 giugno 2022, sezione (eloquentemente) Laicità o barbarie. Lascio la ricerca dello scritto alla buona volontà del lettore. Della commentatrice in questione si segnala la drammatica incompetenza in materia giuridica: ella parla di “articolo” 219 “comma a”. La mia precedente menzione della disposizione e la semplice lettura della stessa, specie se dando uno sguardo al resto del contesto, suggerirebbero che lo Strafgesetzbuch sia organizzato per paragrafi (§§), e che la lettera “a” sia un sottonumero, esattamente come -bis, -ter, -quater nella nostra tradizione di redazione legislativa. Cfr. inoltre infra, nota n. 9.

[viii] Così N. Caragnano, Germania: via la legge nazista che vietava ai medici di parlarne, su repubblica.it (sic!), 24 giugno 2022; M. Gobbetto, Germania, abolita legge nazista contro l’aborto, su berlinomagazine.com, 25 giugno 2022. Già prima dell’abolizione della norma, in tal senso, un articolo non firmato dal titolo In Germania sarà abolito il divieto di dare informazioni sull’aborto, in ilpost.it, 26 gennaio 2022. Anche in questi casi lascio la ricerca degli scritti alla buona volontà del lettore.

[ix] Per completezza d’informazione, ricordiamo che l’impianto originario della codificazione penale sostanziale tedesca risale al Reichsstrafgesetzbuch del 1871. Nell’ultimo secolo, si sarebbero alternate due “riforme organiche” a modificarne una rilevante parte dei contenuti normativi, pur mantenendo l’impianto complessivo della codificazione (tecnica legislativa cui, nei Paesi a “codificazione francese”, non siamo abituati): una nel 1935, dall’impronta marcatamente nazionalsocialista, che nel dopoguerra sarebbe stata comunque riveduta e corretta in molte sue parti; una nel 1975, di segno opposto. Un riferimento utile e sintetico nella dottrina in lingua italiana è rinvenibile in F. Palazzo-M. Papa, Lezioni di diritto penale comparato, Torino, 2013, pp. 70 ss.

[x] Cfr. il Bundesgesetzblatt, Teil I, 21 giugno 1974, Nr. 63, pp. 1297-1300. Segue link diretto alla legge: https://www.bgbl.de/xaver/bgbl/start.xav?start=//*%5B@attr_id=%27bgbl174s1297.pdf%27%5D#__bgbl__%2F%2F*%5B%40attr_id%3D%27bgbl174s1297.pdf%27%5D__1658864217065.

[xi] Fonte: https://lexetius.com/StGB/219a,2 .

[xii] Cfr. S. Zimmermann, Paragraph 219a: Lebensschutz oder Informationsdefizit?, su katholisch.de, 28 giugno 2022, https://www.katholisch.de/artikel/18047-paragraph-219a-informationsdefizit-oder-lebensschutz.

[xiii] Cfr. E. M. Hoven, Stellungnahme zur Öffentlichen Anhörung des Ausschusses für Recht und Verbraucherschutz des Deutschen Bundestages zum Entwurf eines Gesetzes zur Änderung des Strafgesetzbuches, su bundestag.de (pagina ufficiale della Dieta federale), pagina Aufhebung des Verbots der Werbung für Schwangerschaftsabbruch, sezione Anhörung, pp. 3-4 del parere, disponibile all’indirizzo https://www.bundestag.de/resource/blob/895918/32674a63102753f56dff39613f2f3bb9/Stellungnahme-Hoven-data.pdf. La stessa Autrice si pone in modo favorevole alla riforma, ma non all’abolizione della norma.

[xiv] Si ripete il link: https://www.bgbl.de/xaver/bgbl/start.xav?start=//*%5B@attr_id=%27bgbl174s1297.pdf%27%5D#__bgbl__%2F%2F*%5B%40attr_id%3D%27bgbl174s1297.pdf%27%5D__1658864217065.

[xv] Ben espresse da P. Dubolino, I cattolici e l’aborto: non può conciliarsi l’inconciliabile, su www.centrostudilivatino.it, 5 luglio 2022, https://www.centrostudilivatino.it/i-cattolici-e-laborto-non-puo-conciliarsi-linconciliabile/.

[xvi] Cfr. gli accorti avvertimenti di W. Naucke, Ein fortwirkender juristischer Einbruch in das Tötungsverbot: „Binding/Hoche. Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens. Ihr Maß und ihre Form“, 1920, Baden-Baden, 2006, pp. 71-86., trad. it. a cura dello scrivente F. Camplani, Un’irruzione giuridica permanente nel divieto di omicidio. Binding, Hoche, Liberalizzare l’annientamento delle vite prive di valore. Misura e forma, 1920, in Diritto Penale XXI Secolo, 2019, n. 2, pp. 339-359.

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