Dieci anni dopo la legge n. 38/2010 sulle cure palliative e sulla terapia del dolore
L’Italia sta affrontando un momento doloroso e tragico, che ha chiamato in causa tutta la competenza e la forza dell’arte medica per tentare di contrastare la pandemia in atto e di curare il numero crescente di ammalati, ma che ha anche risvegliato nella collettività un profondo spirito di solidarietà a sostegno dei più fragili, che sembrava sopito. Salute e solidarietà: due pilastri del nostro ordinamento costituzionale personalistico, fino a ieri in secondo piano rispetto a quelle che sembravano essere le priorità.
Pochi giorni fa cadeva il decennale di una legge italiana che ha segnato un punto di svolta in tema di cura attiva e totale della persona affetta da una malattia ad andamento cronico ed evolutivo, per la quale non esiste o risulta inadeguata la terapia, o da una patologia dolorosa cronica: la legge 15 marzo 2010 n. 38, recante Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. Le varie iniziative che erano in programma sul tema sono state sospese a causa dell’emergenza sanitaria, anche nel rispetto delle misure governative per il contenimento del contagio. Ma non può essere rimandata una riflessione nel contesto della dalla difficile situazione che stiamo vivendo.
Con la legge n. 38/2010 l’Italia ha adottato una normativa fra le più avanzate in materia – come riconosciuto anche dall’OMS – che ha come obiettivo la presa in carico totale del malato e della sua famiglia, attraverso un programma di cura individuale, nel rispetto della dignità e dell’autonomia della persona, dell’adeguata risposta al bisogno di salute e dell’equità nell’accesso alle cure.
Le cure palliative e la terapia del dolore tendono a lenire il dolore fisico e psichico del paziente attraverso la cura fisica, psicologica, sociale e spirituale del malato: lo scopo della legge era quello di tracciare una via per rendere “umana” la cura nelle situazioni di estrema fragilità, fornendo allo stesso tempo un sostegno socio-assistenziale al malato e a chi si prende cura di lui.
Soltanto pochi mesi fa anche la Corte costituzionale, chiamata a giudicare sulla legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., in tema di aiuto al suicidio, ha ricordato l’importanza della legge n. 38/2010, stabilendo che le cure palliative rappresentano il pre-requisito per esprimere qualsiasi altra volontà in tema di fine vita (Corte cost. sentenza n. 242 del 2019).
La Consulta ha anche richiamato il parere del Comitato nazionale di bioetica sul suicidio medicalmente assistito del 18 luglio 2019. Il CNB nel documento citato ha auspicato “che il SSN sia sempre in grado di offrire, realmente, senza diseguaglianze in termini di entità e qualità di servizi, su tutto il territorio nazionale, cure palliative e terapia del dolore, nei termini stabiliti dalla L. 38/2010, a ogni persona che ne abbia necessità. Dovrebbe essere questa una priorità assoluta per le politiche della sanità”.
Già l’art. 3 della legge n. 38 definiva le cure palliative e la terapia del dolore come “obiettivi prioritari per il Piano sanitario nazionale”. Nonostante ciò, trascorsi dieci anni, la normativa non ha trovato attuazione: mancano finanziamenti concreti, manca la formazione universitaria specifica per gli operatori sanitari nei diversi corsi di Laurea (in medicina, in scienze infermieristiche, in psicologia), manca l’uniformità dei livelli di cura e di assistenza nelle diverse regioni, mancano gli hospice e le cure palliative, anche per i pazienti pediatrici, mancano campagne informative sul tema.
In altre parole, l’offerta di cure palliative e di terapia del dolore non è sufficientemente garantita sul territorio nazionale, come chiaramente emerge dall’ultimo Rapporto, del 31 gennaio 2019, del Ministero della salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n. 38/2010 e dal Documento conclusivo, approvato nella seduta del 10 aprile 2019, dell’indagine conoscitiva effettuata dalla Commissione Affari sociali della Camera sull’attuazione della legge.
L’auspicio, che scaturisce anche dalla drammatica situazione che stiamo vivendo, è che la riscoperta del valore della vita, della salute e della solidarietà non sia momentanea, legata alle contingenze del momento, ma che veramente possa divenire obiettivo prioritario assoluto la cura attiva e totale di chi si trova nella malattia e nel dolore.
Il malato troppo spesso non ha assistenza ed è lasciato solo, così come abbandonata è la famiglia nel compito di sostegno: la solidarietà, uno dei valori fondanti l’ordinamento giuridico – base della convivenza sociale (Corte cost. sent. n. 75 del 1992) – viene negata; il ruolo del medico svilito; la relazione di cura stravolta; la vita nel dolore fisico e psichico diventa per il paziente un peso e la possibilità di scelta limitata; la richiesta di salute si stravolge nella richiesta al medico di morire.
In questa situazione di solitudine e di sofferenza anche gli sviluppi della scienza medica e della tecnologica – per es. i ventilatori artificiali, oggi così preziosi – sono visti come un ostacolo, poiché “capaci di strappare alla morte pazienti in condizioni estremamente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali” (cfr. Corte cost. sent. n. 242 del 2019).
L’attenzione al diritto alla salute è così limitata al diritto di rifiutare il trattamento sanitario, sancito dall’art. 32 co. 2 Cost., quasi trascurando i problemi legati all’effettiva attuazione del comma 1, che definisce la salute come un diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività. Così si dimentica – non essendo attuata, conosciuta e finanziata (nonostante i proclami sulla sua priorità rispetto alle politiche sanitarie) – la via tracciata dalla legge n. 38 per umanizzare la cura e lenire le diverse dimensioni del dolore e della sofferenza del malato: la tanto proclamata possibilità di scelta del paziente, soprattutto nella patologia inguaribile, non è neanche immaginabile.
La speranza è che l’attenzione al tema della salute e della “cura” non termini una volta superata l’emergenza attuale, ma che nel dibattito pubblico, così come nell’azione politica, possa essere data effettivamente priorità alla salute come diritto fondamentale del malato e come cura totale della vita nella malattia, nella fragilità e nell’indigenza: anche rispetto alle esigenze della finanza pubblica non può essere compresso “il nucleo irriducibile del diritto alla salute” protetto dall’art. 32 Cost. “come ambito inviolabile della dignità umana” (Corte cost., sent. n. 309 del 1999).
Così come si auspica non vada perduta la solidarietà appena ritrovata: uno spirito solidaristico che non lascia solo, nella sofferenza e nelle scelte più tragiche, il malato. Solo pochi mesi fa la Consulta ricordava che “l’art. 2 Cost. collega (…) i diritti inviolabili al valore della persona e al principio di solidarietà. I diritti di libertà sono riconosciuti, cioè, dalla Costituzione in relazione alla tutela e allo sviluppo del valore della persona e tale valore fa riferimento non all’individuo isolato, ma a una persona titolare di diritti e doveri e, come tale, inserita in relazioni sociali” (Corte cost. sent. n. 141 del 2019).
Francesca Piergentili
Avvocato, Dottore di ricerca in Categorie giuridiche e tecnologia, Università Europea di Roma, Docente a contratto di Diritto costituzionale progredito: corpo umano, bioetica e nuove tecnologie, UPRA