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Una scimmia con un impianto wireless inserito nel cranio interagisce con un videogame. “Non può vedere dove si trova l’impianto – ha detto Musk a 5 milioni di utenti Clubhouse – È una scimmia felice. Abbiamo le strutture per scimmie migliori del mondo. Vogliamo che giochino a mind-pong”. È il prodromo per un’applicazione simile all’uomo? Fino a che punto la scienza resterà al nostro servizio e non ci si rivolterà contro?


1. Neuralink[1] è un’azienda che si occupa di costruire una interfaccia che consenta al cervello e alla macchina di essere un tutt’uno: dopo aver sperimentato i suoi processori sul cervello dei maiali, ora ha individuato come cavie le scimmie, che hanno un cervello più simile al nostro.

La progressione nella sperimentazione è stata annunciata da Elon Musk, CEO e fondatore di Neuralink, durante un intervento sull’audio social ClubHouse. L’imprenditore sudafricano ha svelato che un chip di Neuralink è stato impiantato nel cervello di una scimmia, rendendola in grado di selezionare i comandi del videogioco“Pong” con il pensiero. Il microprocessore innestato dovrebbe avere le dimensioni di una moneta, ed è invisibile dall’esterno. È collegato tramite cavi dello spessore di un decimo di un capello a oltre 3000 elettrodi che controllano circa 1000 neuroni, permettendo all’animale di comandare il videogioco tramite gli impulsi impartiti dalla sua mente.

Musk ha precisato che la cavia da laboratorio sembra felice e che l’ispettore del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti non solo ha trovato tutto in ordine e coerente con le regole, ma ha definito il laboratorio come il più confortevole mai visitato, con buona pace delle associazioni animaliste: la ricerca continua a passare per la sperimentazione sugli animali. Gli studi di Neuralink hanno tra i loro obiettivi la cura delle persone con danni al cervello o alla spina dorsale. Per quanto non esistano scadenze ufficiali, il primario di neurochirurgia di Neuralink, il professor Matthew MacDougall, ha detto che i primi trial su un essere umano si concentreranno su pazienti affetti da paralisi o paraplegici.

A lungo termine, l’interfaccia cervello-computer punta a guarire patologie come Alzheimer, demenza, perdita di memoria, perdita dell’udito, depressione, insonnia: secondo Musk si potrebbe arrivare addirittura all’archiviazione dei propri ricordi in un altro essere umano o in un robot. Ma qui, oltre a problemi di bioetica, che sembrano talvolta troppo imponenti per la coscienza degli uomini del presente, spuntano problemi di privacy, sicurezza e controllo sociale.

2. Il XX secolo si era aperto con due celebri dichiarazioni di separazione tra scienza ed etica. Nel 1903 il filosofo inglese George Edward Moore, uno dei fondatori della filosofia analitica, scrisse nei suoi Principia ethica che la pretesa di definire il bene è una fallacia, un errore, la cosiddetta “fallacia naturalistica”, perché suppone che il bene sia un oggetto naturale, descrivibile come qualsiasi altro oggetto dalle scienze della natura. Secondo Moore, invece, il bene può soltanto essere intuito, non descritto, perché è una nozione semplice, come il colore giallo, che non può essere spiegato a chi non sia in grado di vederlo. Nel 1904 Max Weber, il fondatore della sociologia come scienza, nell’articolo L’oggettività della conoscenza socio-scientifica (pubblicato nell’Archiv für Sozialwissenschaft) scrisse che le scienze in generale, e le scienze sociali in particolare, devono essere Wertfrei, libere da valori, “avalutative”, capaci di descrivere lo stato delle cose mediante giudizi di fatto, evitando, per garantire l’oggettività della conoscenza, qualsiasi giudizio sulla bontà o la malvagità dello stato delle cose. In tal modo è sembrato che le scienze, sia quelle naturali che quelle sociali, dette anche “umane”, dovessero restare definitivamente separate dall’etica, lasciando quest’ultima alla competenza della religione, cioè di una fede, o della filosofia, ma di una filosofia privata di qualsiasi validità oggettiva, cioè scientifica[2].

In un periodo storico come quello attuale, nel quale la tecnologia si fonde sempre più con la vita biologica, emerge l’atteggiamento ambiguo, se non contraddittorio, nei confronti delle risorse dell’umana ragione, che per un verso viene ritenuta non in grado di spiegare la realtà, ma per altro verso viene considerata la sola in grado di dar conto di ciò che esiste tramite gli strumenti della scienza. La diffusiva presenza degli strumenti tecnologici e degli algoritmi[3] solleva questioni fondamentali come la definizione dello spazio residuo alla dimensione morale della libertà[4], poiché il connotato tipico delle scienze positive è quello del determinismo, non già quello della libertà[5].

3. In questo quadro, la tecnologia di Musk che in ipotesi fosse applicata all’uomo fa interrogare sul rilievo etico e bio-giuridico di una simile applicazione: ci si trova dinnanzi all’alba di un controllo cibernetico degli esseri umani? Una tale tecnologia applicata agli esseri umani sarebbe facoltativa o obbligatoria, reversibile o irreversibile? Quale specifica finalità sarebbe chiamata a raggiungere? Potrebbe incidere su quella sfera morale bifasica composta da un lato dalla libertà e dall’altro lato dalla responsabilità? Si deve accettare come inevitabile questa evoluzione biotecnologica verso il post-umano? O si deve considerare la specie umana nota fin qui come un bene intangibile, e quindi opporsi a questa deriva? L’uomo sarebbe ancora uomo o diventerebbe una macchina? Il suo statuto giuridico e morale sarebbe ancora quello della persona o tramuterebbe in quello della res?[6]

Come tutte le grandi conquiste della tecnologia, anche quelle che preludono all’avvento del post-umano, dalla genomica alla robotica, dall’informatica alle nanotecnologie, suscitano entusiasmo o all’opposto preoccupazione: ciò conferma che la tecnologia non è neutra. Essa ha una valenza mitopoietica: le tecnologie più avanzate ci promettono (o ci illudono di) onniscienza, onnipotenza e perfino immortalità. Ma la tecnologia eredita da Prometeo, abile ingannatore delle facoltà divine e insieme artefice di quelle umane, un’ambivalenza di fondo. Essa sollecita un fervore illuministico per la prospettiva di farci superare i nostri limiti, ma insieme accende preoccupazioni per i nuovi vincoli che impone: offre grandi opportunità, ma nasconde insidie pericolose.

Il limite segna e protegge ciò che l’uomo non deve manipolare in quanto territorio del divino e del mistero insondabile: quel territorio dove – per parafrasare i versi di Alexander Pope citati da Gregory Bateson – “gli angeli esitano a posare il piede e dove gli stolti si precipitano”. Al tempo della tecnica onnipervasiva, quale statuto ha il limite? Osserva Sergio Givone che il limite, se da una parte circoscrive il territorio dell’inconoscibile e dell’impraticabile, dall’altra definisce il campo del possibile tecnico, e quindi si pone come semplice ostacolo da superare[7]. Ha dunque carattere temporaneo e provvisorio. In questo senso, il limite posto dalla religione e dall’etica non sarebbe un vero limite: la tecnica lo ignora e la sua avanzata causa una continua erosione del territorio del sacro e del proibito. La tecnica moderna si è trasformata in minaccia: una minaccia che non è solo fisica, ma riguarda l’integrità dell’uomo e la sua immagine, dunque una minaccia metafisica. Già Nikolaj Berdjaev aveva osservato che “la macchina storpia l’uomo e vuole plasmarlo a sua immagine e somiglianza[8].

4. Non soccorre nessuna delle risposte culturali tradizionali. In un’età in cui il potere dell’uomo ha dimensioni planetarie ed effetti durevoli, non si può fare appello a norme che erano valide quando le conseguenze dell’agire riguardavano un ambito spazio-temporale ristrettissimo. La potenza della tecnica moderna e il cieco automatismo che essa sempre più manifesta fanno presagire uno stravolgimento radicale della dimensione antropologica fin qui storicamente considerata. Di fronte al pericolo estremo rappresentato dalla riuscita dell’impresa faustiana dell’homo faber, di fronte al carattere totalizzante della tecnica moderna, all’irresistibilità dei suoi imperativi, all’imprevedibilità dei suoi esiti su scala mondiale, spesso destabilizzanti nonostante le buone intenzioni, Jonas non esita a dichiarare che “nell’uomo la natura ha distrutto sé stessa” e che il programma baconiano, alleatosi con la miopia umana, conduce alla catastrofe, denunciando il paradosso del potere determinato dal sapere, che ci ha dato il dominio sulla natura ma ci ha sottomesso a sé: la “ribellione della tecnica”, di cui parlava Walter Benjamin[9].

Vista l’enormità della posta in gioco, nientemeno l’esistenza o l’essenza dell’uomo, nessuna scommessa sull’avvenire può essere legittima. Il bene supremo che deriverebbe dalla riuscita di una qualunque impresa utopica che volesse creare le premesse per una felicità universale e illimitata non può autorizzare il perseguimento dell’utopia, perché il suo fallimento significherebbe il male supremo: la fine dell’umanità così come essa è, e la fine delle condizioni perché essa continui ad esistere così com’è. L’appello non è soltanto alla ragione, ma al tempo stesso – e in modo paradossale – all’irrazionalità della paura, perché forse solo l’orrore può far recuperare il rispetto perduto per l’umanità.

Daniele Onori e Aldo Rocco Vitale


[1] Neuralink è stata fondata negli USA da Elon Musk e da altri imprenditori nel 2016. L’obbiettivo principale di Neuralink è sviluppare e impiantare interfacce neurali. Il secondo obiettivo dell’azienda è la simbiosi uomo–IA. Neuralink è anche attiva nei campi delle neuroprotesi, della comunicazione, nello studio dellemalattie neurocognitive e nella ricerca di chip neurali in grado di migliorare condizioni patologiche o addirittura di sostituire i pathwayneurali tradizionali con upgraded pathway, permettendo cosi un miglioramento dei sensi umani associati all’utilizzo delle tecnologie più moderne.

[2] Enrico Berti, La riscoperta dell’etica nella cultura contemporanea, Università degli Studi di Cagliari, Anno Accademico, 2015.

[3] Ed Finn, Che cosa vogliono gli algoritmi, Einaudi, Torino, 2018.

[4] “Ogni nostro comportamento può essere messo in relazione con processi biologici dei quali non abbiamo una conoscenza consapevole: questa caratteristica ha sempre portato a concludere che il libero arbitrio è un’illusione”: Sam Harris, Il paesaggio morale. Come la scienza determina i valori umani, Einaudi, Torino 2012, pp. 131.

[5]Gli algoritmi non fanno che estendere le funzioni rituali di controllo e di ripartizione dei numeri in modi che possono diventare inaccessibili, autoritari e categorici: uno strumento utile alla società, ma anche un rischio di sbilanciamento nel delicato rapporto fra categoricità e spontaneità, fra l’estrema imperiosità del meccanismo e la libertà di coscienza”: Paolo Zellini, La dittatura del calcolo, Adelphi Milano 2018, pag. 16.

[6] Mark O’Connell, To be a machine. Adventures among cyborgs, utopians, hackers and the futurist solving the modest problem of death, Granta, London, 2018.

[7] Sergio Givone, Il senso delle parole. Il sacro, in Aut aut, 1992, n. 251.

[8] Nikolaj Berdjaev, L’uomo e la tecnica, Il Ramo, Rapallo, 2005, pag. 35.

[9] Giuseppe Longo, Post-umano, Etica e Responsabilità, in Riflessioni Sistemiche n. 10/2014.

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