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  1. Lo Stato finanzia sé stesso attraverso l’emissione di titoli (di fatto obbligazioni) che, a scadenza futura, vengono da esso ripagati, a chi li abbia sottoscritti, con una maggiorazione percentuale – il tasso di rendimento – tanto maggiore quanto più rischioso ne sia il pagamento (il c.d. rischio di insolvenza). Quanto più credibile è la finanza pubblica dell’emittente, minore è l’appeal che lo Stato conferisce ai propri titoli di debito perché questi siano sottoscritti dagli investitori; tanto più, al contrario, periclitanti appaiono le finanze pubbliche dell’emittente, tanto maggiore è il tasso di rendimento riconosciuto agli investitori perché questi siano invogliati ad acquistare i titoli.
    Nel mercato dei titoli sovrani europei, e soprattutto dei Paesi dell’Unione Europea, lo Stato ritenuto finanziariamente più sicuro è la Germania, i cui Bund sono assunti a parametro di riferimento rispetto ai titoli di debito sovrano degli altri Stati dell’area euro: in particolare, lo spread, cioè la differenza fra il loro tasso di rendimento e quello praticato dagli altri Stati, è rilevato avendo come riferimento il tasso dei Bund tedeschi. Quando, però, tale spread diventa troppo ampio, lo Stato emittente potrebbe trovarsi nella pratica impossibilità di restituire il prestito ricevuto dal sottoscrittore del titolo, e il rendimento che ne costituisce il corrispettivo, ed essere posto in una condizione di default, cioè tecnicamente di bancarotta (come accaduto, ad esempio, più volte per l’Argentina). È, dunque, legittimo interesse degli organi di governo della UE di intervenire in prima persona sul mercato dei titoli di Stato per comprare quelli degli Stati in maggiore difficoltà finanziaria, e così dare loro maggiore credibilità, oltre che liquidità monetaria.
    È quanto ha fatto la Banca Centrale Europea fin dal 2015 con lo strumento adottato sotto la guida dell’allora Presidente Mario Draghi denominato quantitative easing: con esso la banca che emette moneta per tutti i Paesi dell’area euro che, per scelta consapevole, nel proprio atto costitutivo si è imposta il divieto di prestiti diretti agli Stati nazionali, ha deciso di sottoscrivere in grande quantità titoli dei Paesi in maggiore difficoltà finanziaria, whatever it takes, allo scopo di stabilizzare il mercato del debito sovrano e impedire l’implosione del sistema monetario dell’euro, a causa del default del singolo Stato aderente. La prospettiva è non solo di aiutare quest’ultimo ed a prescindere dalla meritevolezza o meno dell’aiuto, ma del superiore interesse di tutti gli Stati appartenenti alla moneta comune.

 

  1. In giorni di polemica sul Meccanismo Europeo di Stabilità, a condizionalità più o meno light, piuttosto che di coronabond, questo minimale richiamo alle suddette regole di economia politica è utile per ricordare che già gli OMT (outright monetary transactions), il cd. scudo antispread annunciato da Draghi nel 2013 ma di fatto mai utilizzato, aveva prodotto contrasti profondi nel dibattito politico interno alla Germania, allorché alcuni esponenti dell’ala più rigorista della CDU, il partito Cristiano Democratico guidato dalla cancelliera Angela Merkel, avevano suscitato l’intervento della Corte Costituzionale di Karlsruhe per accertare: se la BCE stesse travalicando le sue funzioni di garanzia della stabilità dei prezzi, e se il meccanismo OMT fosse un modo fraudolento per aggirare il divieto di finanziamento degli Stati membri. Mentre quella parte della CDU ne lamentava la incostituzionalità rispetto ai rigidi parametri di bilancio della Grundgesetz, la Corte nel 2016 aveva escluso qualsiasi violazione della Costituzione tedesca, dopo avere acquisito la sentenza dell’Alta Corte di Giustizia europea di Lussemburgo, sulla base della limitazione che la BCE si era imposta nella sottoscrizione dei titoli, in virtù del cd. capital key: il sistema cioè che prevedeva la possibilità di sottoscrizione per il solo 33% del valore di loro emissione, o comunque in proporzione alla quota detenuta nell’azionariato della stessa Bce da parte dello Stato emittente.

 

  1. L’attuale Presidente della BCE, Christine Lagarde, a fronte delle necessità finanziarie imposte dall’emergenza economica per il CoVid-19, ha eliminato tale limitazione, adottando in deroga, il 18 marzo scorso, il PEPP -Pandemic Emergency Purchase Programme (Programma di Acquisto per l’Emergenza della Pandemia), che prevede incondizionatamente la possibilità di intervenire con il QE sul mercato dei titoli sovrani fino alla concorrenza della somma di € 750 mld.
    La preoccupazione è che, in conseguenza del – peraltro anteriore – ricorso alla Corte Costituzionale tedesca da parte di 35 deputati della CDU, interpreti del rigore di bilancio germanico, che hanno riproposto le medesime questioni di illegittimità costituzionale, questa volta del QE, e nonostante il via libera a tale strumento da parte della Corte del Lussemburgo, la nuova pronuncia da parte degli otto giudici (quattro di nomina della CDU, quattro della SPD, di nuova e recente composizione) del secondo senato della Alta Corte, attesa il prossimo 5 maggio (dopo il rinvio della discussione già prevista lo scorso 24 marzo), potrebbe essere diversa dalla precedente, proprio a causa del PEPP, e quindi della eliminazione dei vincoli su cui era stata basata la prima decisione negativa.
    Ciò determinerebbe, quale effetto indotto, la necessità per la Bundesbank, la Banca Centrale tedesca, di ritirare il proprio apporto alla sottoscrizione dei titoli da parte della BCE in esercizio del PEPP, con l’ulteriore inevitabile conseguenza, da un lato, di non consentirle la correlata sottoscrizione dei Bund; dall’altro, di delegittimarne la titolarità della politica monetaria della UE e, da ultimo, creare i presupposti per l’implosione della stessa moneta unica. In altre parole, l’eventuale pronuncia di incostituzionalità del QE rispetto alla legge fondamentale della Germania federale la renderebbe non più tenuta a rispettare tale politica europea, ma a seguire il dettato della Costituzione federale, il quale è considerato dai tedeschi, se non prevalente, quantomeno concorrente con i trattati europei.

 

  1. È allora così inverosimile la seguente ipotesi: che il pressing della Cancelliera Merkel sul premier italiano Conte sia perché l’Italia, con le buone o con le cattive, accetti la versione a bassa condizionalità del MES, perché ella la possa spendere in ambito interno per rassicurare i propri stessi compagni di partito sulla limitazione – di fatto – all’impegno, quello sì incondizionato, della BCE in termini di QE, e così calmierare la tensione mediatica sulla Corte Costituzionale tedesca e favorirne una decisione non dirompente? Se fossero questi i termini della partita che si sta giocando finanziariamente in Europa, è l’Italia che dovrebbe rimproverarsi se pensa di fare da sé, in una prospettiva che qualcuno vorrebbe addirittura di Italexit, o non è piuttosto la Germania, in ossequio alla mai sopita volontà di egemonia in Europa e ai dogmi dell’ordoliberismo e dell’austerità, che potrebbe trovarsi, esattamente 75 anni dopo la sconfitta nazionalsocialista, a dover pensare a un autarchico neue Deutsche Mark?

 

Avv. Renato Veneruso 

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