fbpx

Il fine vita non può diventare terreno di sperimentazione di soluzioni giurisprudenziali creative. La Corte Costituzionale ha posto dei paletti: i giudici sono tenuti a rispettarli ed il legislatore non deve farsi condizionare da fughe in avanti che lasciano indietro solo la dignità dei più deboli.

L’offensiva giudiziaria alla dignità della vita sofferente sembra essersi spostata più a sud, da Milano a Bologna. Nulla di nuovo, però, sul fronte giudiziario. Non sono mancate, infatti, nel recente passato altre “forzature” in altre aule giudiziarie, così come c’è stato, per vero, anche chi ha richiamato al rispetto della legge vigente e della pronuncia della Corte Costituzionale. Ma, si sa, mentre questi ultimi, non essendo allineati al mainstream dei sostenitori della morte veloce, sono destinati all’oblio, solo chi si erge -senza averne alcuna legittimazione- a indiscusso sensore sociale, assurge al rango di coraggioso forzatore della norma, cioè di etico facitore della nuova legge.

Sia ben chiaro: qui non si tratta dell’interpretazione suggerita ed in qualche modo imposta dalla ratio di una legge, dalla sua ragione ispiratrice, che necessariamente va calata nelle mutate circostanze storiche. Un conto è interpretare uno spartito musicale, un altro è crearlo. Assai bene diceva Rosario Livatino quando ammoniva i giudici a non farsi protagonisti aperti o occulti di mutamenti normativi e a non travalicare i confini posti dal legislatore.E tuttavia, la tentazione creatrice è sempre attuale, foss’anche per timore di passare per retrogradi. 

Ed allora, ribadiamo l’ovvio.

Se il giudice ritiene una disposizione normativa in contrasto con la Costituzione, ha una strada ben precisa da percorrere ed è la questione di legittimità costituzionale, da sollevare innanzi alla Corte Costituzionale. 

Se, poi, rimane insoddisfatto, può solo operare da giurista e sul piano culturale, partecipando al confronto delle idee, per fare in modo che si giunga, attraverso i canali previsti per la formazione delle leggi, ad un mutamento delle norme. 

Quel che non gli è lecito è utilizzare la propria toga per legiferare.

Orbene, è evidente che nella questione del fine vita la Consulta si è giàpronunciata e per ben due volte! Sia con riferimento alla disposizione del codice penale che punisce l’aiuto al suicidio sia sulla proposta referendaria di abolire la norma del medesimo codice che sanziona l’omicidio del consenziente.Dunque, non vi era spazio per sollevare ulteriori questioni di costituzionalità.

Del pari è del tutto evidente che l’attuale cornice normativa non è il frutto di formalismi di giuristi insensibili alle condizioni delle vite sofferenti. Tutt’altro.

La Corte ha ben chiarito che, proprio in ragione della condizione di debolezza psicologica in cui versa chi si trova a dover fronteggiare particolari patologie, bisogna essere particolarmente rigorosi e cauti nell’accedere a richieste di dismissione di supporti vitali; per evitare di far venir meno quella cintura protettiva che opportunamente l’ordinamento ha eretto a difeso delle vite deboli.

E’, perciò, altrettanto evidente che quei paletti posti dalla Corte -si condividano o meno- non sono dilatabili o rimuovibili a piacimento, perché solo il puntuale rispetto degli stessi impedisce il far west della morte sbrigativa, aprendola ad ogni condizione di sofferenza, fisica o psicologica, ad ogni età, ad ogni vera o presunta libera decisione.

E’ verosimile che ci saranno altre forzature: ci auguriamo di no e soprattutto che vengano respinte come tali e non vengano salutate come precedenti, proprio perché del tutto esotiche rispetto ai limiti ed alle finalità della giurisdizione.

Quel che è ancor più auspicabile è che non si cada nel solito tranello e cioè di piegarsi dinanzi a tali forzature per giustificare la necessità di un intervento normativo.

In primo luogo, va detto con chiarezza che vi è una parte della pronuncia della Corte Costituzionale che attende di essere pienamente attuata e che condiziona ogni ulteriore valutazione in tema di fine vita: le cure palliative.

Esse rappresentano, anche nella pronuncia della Consulta, la vera alternativa all’eutanasia, tanto da stabilire che solo il previo effettivo esperimento di tale percorso può aprire ad ulteriori valutazioni circa la non punibilità di determinate condotte che, astrattamente, continuano ad essere criminose.

Prima, dunque, di piegarsi al ricatto delle forzature, va perseguita la strada della piena attuazione della normativa vigente in tema di strutture e risorse destinate all’accompagnamento nel morire (e non morire!), che è l’unico modo per tutelare la dignità del morente, e non il suo rapido trapasso.

In secondo luogo, è buona regola -sperimentata troppo spesso nel passato nel nostro Paese- non fare leggi sulla base della pressione di provvedimenti giudiziari, a loro volta sollecitati da campagne ben orchestrate.

Sia perché se è stata forzata la pronuncia della Corte Costituzionale non si vede per quale ragione non si possa forzare, allo stesso modo, pure una legge, soprattutto se ancor più generica nei presupposti ed evanescente nelle condizioni, ancor più aumentando il far west delle morti veloci. Come l’esperienza di altri Paesi insegna.

Sia perché il tema del fine vita, per la sua intima connessione con la dignità dell’uomo -che non può, pena il suo subdolo svuotamento, assumere una connotazione del tutto soggettiva-, mal si concilia con commi e codicilli, fatti apposta per lasciare spazio all’”interprete” di turno, medico o giudice che sia.

Resta, infine, da osservare come certe forzature vengano curiosamente realizzate e amplificate al cospetto di uno scenario politico mutato, per il quale non sembra prioritario un intervento legislativo sul fine vita; sicché accedere ad una tale pressione ha quasi il sapore di una resa neppure imposta dalle circostanze storiche.

Si lascino, dunque, le forzature a chi è chiamato a valutarle nell’ambito giudiziario.

Si continui, invece, a lavorare per dare concreta attuazione alla pronuncia della Corte Costituzionale sulle cure palliative come alternativa all’eutanasia.

Non si subisca, infine, il condizionamento di una cultura di retroguardia, che non ha nulla a che vedere con la tutela della vita e della autentica dignità di ogni uomo.  

Domenico Airoma

Share