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Si tratta di far tornare un centinaio di giudici a fare il loro mestiere, e di mettere governo e parlamento nelle condizioni di rispondere al mandato degli elettori.

Di Alfredo Mantovano, da Tempi mensile, ottobre 2022

È uno dei non pochi settori per il quale le riforme sono indilazionabili: sia di quadro, fino a toccare taluni articoli della Costituzione, sia di dettaglio, per porre rimedio a disposizioni improvvide introdotte dagli ultimi due ministri. Lasciando da parte le questioni di dettaglio, il quadro generale è che, nonostante le divergenze esistenti fra lo schieramento politico che ha vinto le elezioni e quelli risultati perdenti, su come affrontarle in teoria dovrebbe esservi un consenso ben più ampio di quello conseguito dalla nuova maggioranza.   

È da almeno un quarto di secolo, cioè dalla Commissione bicamerale presieduta dall’on D’Alema, che quasi tutte le forze politiche convergono su:

  • una vera e formale separazione delle carriere, a 33 anni dal vigore di un codice di procedura penale che ha trasformato il pubblico ministero in una parte, se pure pubblica, certamente non assimilabile al giudice. La riforma Cartabia ha compiuto un passo ulteriore rispetto alla riforma Castelli del 2006, consentendo un solo cambiamento dalla funzione requirente a quella giudicante; e però nel C.S.M. i P.M. continuano a essere eletti dai giudici, e viceversa, e ciascuno continua a occuparsi delle carriere degli altri. Quindi serve completare l’opera;
  • l’estrapolazione del giudizio disciplinare dal C.S.M., per affidarlo a un giudice non eletto con criteri correntizi, anzi non eletto per nulla, bensì nominato con criteri oggettivi, per sottrarre l’applicazione delle sanzioni ai condizionamenti dei gruppi di appartenenza. È una proposta condivisa da giuristi di area progressista, e addirittura ripresa nella trascorsa Legislatura da iniziative legislative del PD;
  • l’adeguamento quantitativo degli organici dei magistrati e del personale di cancelleria, oggi mediamente pari alla metà degli organici degli altri Paesi UE. Non è chiaro perché sul punto non valgano i richiami all’Europa, soprattutto nell’attuale condizione di emergenza, per es. favorendo il transito nei ruoli a tempo indeterminato di almeno una parte dei 5.000 magistrati onorari: cioè di coloro che, pur smaltendo non pochi procedimenti penali e civili, lavorano ancora a cottimo e a tempo determinato;
  • la più precisa definizione di criteri di efficienza per la nomina dei capi degli uffici.

Un magistrato, mica un battaglione

Perché allora, nonostante la larga condivisione, il sistema è rimasto bloccato, e nessuna delle misure appena sintetizzate finora è andata in porto? Per varie ragioni, non ultima quella della presenza massiccia di magistrati all’interno del ministero della Giustizia: in questo momento essi sono 120, e per gran parte di loro è censibile l’appartenenza a questa o a quell’altra corrente. A chi sostiene che è necessario un contributo tecnico per la funzionalità del dicastero è agevole replicare che in quell’esteso schieramento di giudici vi è chi, per far un esempio fra i anti, si occupa stabilmente di edilizia giudiziaria – area per la quale è arduo asserire che servano le competenze specifiche di un togato -, e che suona un tantino offensivo nutrire di fatto per il personale amministrativo una sorta di pregiudiziale di inidoneità a condurre un dipartimento o una direzione. Il contributo tecnico può esservi da parte di qualche singolo magistrato, non di un battaglione, e andrebbe spiegato poi perché non possa venire con eguale efficacia da un avvocato o da un docente di materie giuridiche.

Riequilibrio dei poteri

Questa anomala occupazione di appartenenti a un corpo dello Stato – il giudiziario – in una delle più importanti articolazioni dell’Esecutivo rappresenta un oggettivo condizionamento per le scelte di quest’ultimo. O pensiamo che di fronte all’ipotesi di separare per davvero le carriere i numerosi magistrati dell’ufficio legislativo del ministero non producano fior di appunti pieni di riserve e di clausole riduzionistiche, in coerenza col loro status professionale e con la vicinanza all’ANM, ottenendo – come è accaduto finora – di frenarne l’approvazione?

Se la legislatura che si apre intende veramente dare corso a riforme tanto condivise quanto ineludibili, non può non riequilibrare i poteri dello Stato in un dicastero così importante. Tutto sommato, si tratta di far tornare un centinaio di giudici a fare il loro mestiere, quello per il quale hanno sostenuto il concorso, e di mettere Governo e Parlamento nelle condizioni di rispondere al mandato degli elettori e di dare corso a priorità individuate come tali da almeno 25 anni.

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