Leone XIV, Platone e Aristotele sul diritto naturale: un’analisi profonda fatta dal professor Mauro Ronco. Dalla legge eterna alle inclinazioni umane, la giustizia è universale.

PREMESSA

1. Il discorso del Santo Padre Leone XIV ai parlamentari in occasione del Giubileo dei Governanti (Aula della Benedizione, sabato 21 giugno 2025) contiene tre considerazioni di primario rilievo per la retta comprensione della politica e del diritto.

La prima concerne il compito dei Governanti di

“promuovere e tutelare, al di là di qualsiasi interesse particolare, il bene della comunità, il bene comune, specialmente in difesa dei più deboli ed emarginati. Ad esempio, si tratta di adoperarsi affinché sia superata l’inaccettabile sproporzione tra una ricchezza posseduta da pochi e una povertà estesa oltre misura”[1].

 La seconda attiene alla “libertà religiosa e il dialogo interreligioso”, sul rilievo che

“l’azione politica può fare tanto, promuovendo le condizioni affinché vi sia effettiva libertà religiosa e possa svilupparsi un rispettoso costruttivo incontro tra le diverse comunità religiose. Credere in Dio, con i valori positivi che ne derivano, è nella vita dei singoli e delle comunità una fonte immensa di bene e di verità”[2].

La terza riguarda il

“riferimento imprescindibile… alla legge naturale, non scritta da mani d’uomo, ma riconosciuta come valida universalmente e in ogni tempo, che trova nella stessa natura la sua forma più plausibile e convincente”[3].

2. In questo scritto desidero approfondire alcuni aspetti fondativi della legge naturale, di cui ha parlato autorevolmente il Pontefice.

La storia della legge naturale è affascinante, poiché mostra il convergere della ragione umana, in tempi diversissimi tra loro, in ordine alle verità permanenti che regolano la vita morale e giuridica dell’umanità.

Sorta in epoca precristiana nella Grecia classica alcuni secoli prima dell’incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo, transitata in prospettiva filosofica stoica nel diritto romano classico, fu approfondita dai Padri della Chiesa, soprattutto da Sant’Agostino d’Ippona (354-430) e portata a vero splendore da San Tommaso d’Aquino (1225/1226-1274) e dalla filosofia scolastica in epoca medievale. Ebbe un’ultima fase di meraviglioso sviluppo per opera della seconda scolastica ispanica grazie ad autori dello spessore culturale del Cardinale Cayetano (1469-1539), di Francisco de Vitoria OP (1480-1546) – autentico fondatore del diritto internazionale –, di Domingo de Soto OP (1494-1560) e, soprattutto, di Francisco Suarez SJ (1548-1617).

Conobbe una dolorosa eclissi, provocata dalla frattura religiosa del protestantesimo, da cui sorse il giusnaturalismo laico (1648-1800) e, come sua naturale conseguenza, il positivismo giuridico (1800-1940).

La riconsiderazione della legge naturale e del Diritto naturale avvenne nella fase più oscura del positivismo giuridico, verso la fine del XIX secolo, grazie alla Lettera enciclica Aeternis Patris di Sua Santità Leone XIII del 4 agosto 1879. Il Pontefice in un ampio e ricco documento ripropose all’intero Episcopato della Chiesa cattolica l’esigenza imprescindibile di rimettere al centro degli studi la filosofia cristiana, non certo per sostituirla alla proclamazione della fede tramite l’insegnamento degli Apostoli, quanto perché – essendo facile che “tramite la filosofia e la vana fallacia” (Col 2,18) “le menti dei fedeli siano tratte in inganno e che si corrompa in essi la purezza della fede”[4] – i Pastori supremi della Chiesa ritennero sempre loro dovere far progredire con tutti i mezzi anche la vera scienza, e nel tempo stesso provvedere con particolare vigilanza che secondo la norma della fede cattolica fossero dovunque segnate tutte le umane discipline, ma specialmente la filosofia, da cui dipende in gran parte la diretta ragione di tutte le altre scienze[5].

Se anche nel tempo presente – sottolineava il Papa – era da attendersi che il ritorno pieno alla fede avvenisse grazie all’aiuto di Dio, tuttavia non erano

“da disprezzare, né da trascurare gli aiuti naturali benignamente somministrati all’uomo dalla divina sapienza, la quale con efficacia e soavità, dispone di tutte le cose: fra tali aiuti è certamente principale il retto uso della filosofia. Infatti non inutilmente Iddio accese nella mente umana il lume della ragione; ed è così lungi dal vero che la luce della fede aggiunta alla ragione ne spenga la virtù o la affievolisca, ché anzi la perfeziona, accresciuta nella miglioria, la rende adatta a cose più alte”[6].

Richiamando l’Apostolo Paolo (Rm 1, 20; Rm 2, 14-15), Leone XIII ricordava che

“alcune verità, o divinamente rivelate o strettamente connesse con l’insegnamento della fede, furono conosciute, con la scorta della ragione naturale, anche dai filosofi pagani e dai medesimi con argomenti propri dimostrati e difesi”[7].

E soggiungeva che alla stessa

“comprensione un po’ più limpida, per quanto è possibile, degli stessi misteri della fede, che Agostino e gli altri Padri hanno lodata e si sono studiati di conseguire […] più facilmente giungono coloro che all’integrità della vita e all’amore ardente della fede congiungono una mente erudita nelle scienze filosofiche”[8].

Nel raccomandare con forza lo studio della filosofia, Leone XIII rivolgeva un accorato appello ai fratelli nell’Episcopato affinché rimettessero in onore lo studio, tra l’altro e soprattutto, della filosofia di San Tommaso d’Aquino e della scolastica, osservando che la messa in disparte di tali studi aveva favorito l’insorgere di “teorie diverse e fra sé contrastanti, anche intorno a quelle cose che sono fondamentali nelle condizioni umane”.

L’inizio della decadenza fu la separazione assoluta della fede dalla ragione, un modo di filosofare “senza il menomo riguardo alla fede, avendo chiesto [i Novatori del secolo XVI] ed essendosi data scambievolmente la facoltà di escogitare tutto ciò che piacesse e fosse gradito”[9].

Per impulso di Leone XIII iniziò un percorso di restaurazione anche della filosofia classica del diritto, in particolare della filosofia del diritto ispirata a San Tommaso.

Il movimento, che si è accresciuto e arricchito con il trascorrere del tempo e l’avanzamento degli studi, ha raggiunto vette di sapienza che hanno messo seriamente in crisi le dottrine del positivismo giuridico e del neo-costituzionalismo, costituente un’evoluzione caotica del giusnaturalismo laico.

La corrente del diritto naturale classico annovera moltissimi studiosi, alcuni dei quali vengono menzionati in questa sede allo scopo di favorire le letture e gli studi dei più giovani.

Precursore di questa rinnovazione fu forse il teologo e filosofo tedesco Viktor Cathrein SJ (1845-1931)[10]. Seguirono il giurista e teologo belga Arturo Vermeersch SJ (1858-1936)[11]; il filosofo lussemburghese Joseph Gredt OSB (1863-1940)[12], il filosofo canadese Louis Lachance OP (1899-1963)[13]; il teologo e filosofo tedesco Joseph Pieper (1904-1997)[14]; i filosofi del diritto italiani Francesco Olgiati (1886-1962)[15], Giuseppe Graneris (1886-1981)[16], Reginaldo Maria Pizzorni OP (1920-2014)[17], Dario Composta SdB (1917-2002)[18], Francesco Gentile (1936-2009)[19], Danilo Castellano[20] e Aldo Vendemiati[21];il teologo e filosofo ispanicoSantiago María Ramírez Ruíz de Dulanto, OP(1891-1967)[22]; il filosofo cileno Juan Antonio Widow (1935-2024)[23] il filosofo americano John Daniel Wild (1902-1972)[24]; il filosofo australiano John Finnis[25];il filosofo e storico francese Michel Villey (1914-1988)[26]; il filosofo e storico ispanico Francisco Elías de Tejada y Spinola (1917-1978)[27]; i filosofi del diritto argentini Felix Adolfo Lamas[28], Julio Lalanne[29], Daniel Alejandro Herrera[30] e Lucila Adriana Bossini[31]; il filosofo del diritto ispanico Miguel Ayuso[32] *[33].

TESTO

1. L’antichità classica: alcuni passi fondamentali di Platone. Iniziando la trattazione del tema, Platone osserva nel primo Libro delle Leggi che il legislatore detta le leggi avendo come fine la verità[34]; in quanto giuste rendono felici coloro che le osservano perché offrono tutti i beni[35]. Tra i beni ve ne sono alcuni di minor valore, come la salute, la bellezza e la ricchezza, e beni divini, come la prudenza, l’intelletto, la giustizia e il coraggio. Questi secondi beni sono “per natura” “prima degli altri, ed anche il legislatore deve seguire quest’ordine”[36]. Il legislatore deve persuadere i cittadini che le prescrizioni loro date “sono volte a questi beni, sì come i beni umani sono volti ai divini, e tutti i beni divini alla intelligenza, di tutto guida e signora”[37]. A custodia della legge il legislatore deve porre dei custodi affinché “l’intelletto collegando insieme tutte queste norme le mostri adeguate alla temperanza e alla giustizia, e non alla ricchezza ed all’ambizione”[38].

Questa descrizione enuncia il programma generale della legge naturale che Platone sintetizza nella formula: ragione – natura-Dio.

In analogia con la legge della città v’è una legge nell’anima umana, in forza della quale la parte superiore comanda, conformemente alla natura, la parte inferiore. La metafora è suggestiva. Gli esseri viventi, quali “un meraviglioso giocattolo fabbricato dagli dei”[39], sono tirati da opposte “cordicelle o fili”[40]. La ragione dice che dobbiamo obbedire sempre a uno solo di questi tiranti, quello d’oro della ragione, cooperando con la legge, la cui

“dolcezza è aliena da violenza, e la sua direzione ha bisogno di aiuti affinché in noi la razza d’oro vinca sulle altre razze…; e meglio si comprenderà come lo Stato e il privato cittadino debbano il privato afferrare il vero significato di questi fili ed in questa direzione regolare la propria vita, lo Stato, accogliendo da un dio o dal privato cittadino, che ne abbia conoscenza, tale significato, erigerlo a Legge, tanto nell’amministrazione interna, quanto nelle relazioni con gli altri Stati”[41].

Il migliore e più bel preludio di tutte le leggi è “che gli dei esistono, che sono buoni e che rispettano la giustizia molto più di quanto la rispettino gli uomini”[42]. Se non si credesse all’esistenza degli dei, ma si pensasse che questi sono un artificio degli uomini, che siano diversi da luogo a luogo, che siano frutto di leggi umane, e non della natura, che una cosa sia il bene per natura, altra cosa per legge, “che in natura il giusto non esista affatto”[43], allora prevarrebbe l’idea

“che la vittoria riportata con la violenza è la più alta forma di giustizia: ecco d’onde l’empietà dilaga fra gli uomini di oggi, ché più non si crede che gli dei siano quali la legge ordina si debbano concepire; di qui le rivolte, dovuto a questo voler vivere la vera vita secondo natura, che in verità consiste nel vivere dominando gli altri, senza obbedire ad alcuno come vorrebbe la legge”[44].

L’ordine dell’universo è curato da Dio “per la conservazione ed il bene dell’insieme, e che perfino ogni singola parte di esso, entro i limiti del possibile, subisce e fa ciò che deve subire e fare”[45]. V’è una provvidenza divina che si prende cura del bene del tutto, lasciando le cause della formazione del carattere “alla volontà di ciascuno di noi; quasi sempre, difatti ciascuno di noi, come desidera e secondo la disposizione della sua anima, così forma il proprio carattere”[46].

La strada della virtù o del vizio è scelta personale. Se gli esseri che hanno l’anima si macchiano di profonde ingiustizie, “cadono nell’abisso”[47]. Se l’anima

“si congiunge alla virtù divina sì da diventare essa stessa divina, viene trasportata in altro luogo migliore, in un supremo luogo totalmente santo; quando invece avviene il contrario, essa viene trasportata a vivere in opposti luoghi”[48].

Gli dei esistono e si interessano degli uomini. Rivolgendosi al suo interlocutore, l’Ateniese, che conduce il discorso, termina in questo modo il suo insegnamento:

“A tale giustizia degli dei, né tu né altro sventurato si vanterà mai d’essere sfuggito. Coloro che l’hanno stabilita la posero al di sopra di ogni altra giustizia, e bisogna temerla. Essa mai ti trascurerà: né per quanto piccolo tu sia, ti nasconderai nella profondità della terra, né, per quanto alto tu possa diventare, volerai fino al cielo, ma pagherai la giusta pena ch’essi hanno stabilito o rimanendo qui, o venendo trasportato nelle dimore dell’Ade, o in altro ancor più terribile luogo. Questo stesso discorso che io ti ho fatto è valido anche nei confronti di coloro che tu, avendoli veduti dal nulla divenire grandi dopo aver commesso opere empie o comunque ingiuste, hai creduto che, da povera gente che erano, fossero divenuti felici; hai quindi creduto d’aver visto in loro, riflessa come in uno specchio, la totale indifferenza degli dei, non immaginando neppure in che modo il contributo degli dei concorra a mantenere l’equilibrio del tutto. Ma come, o uomo temerario, puoi pensare che non si debba riconoscere loro questo contributo? Chi ignora tale verità non riuscirà mai a formarsi un’esatta idea della vita, né a mettere insieme un discorso sulla felicità o infelicità della vita stessa”[49].

Con Platone sorge la primigenia fondazione metafisica della legge naturale. Il suo asse risiede nell’associazione dell’uomo al governo divino del mondo e la sua origine è nella specifica natura spirituale dell’uomo[50]. La norma fondamentale statuisce che l’uomo deve agire Katá phýsin, in accordo con la natura; indi Katá lógon, in accordo con la ragione, principio operativo della natura umana, e, infine Katá theón, in accordo con l’Idea di Bene, dal quale procedono le idee o modelli eterni di tutte le cose, poiché Dio è misura di tutte le cose[51]. La condotta che piace a Dio è:

“Una sola, ed è contenuta in un antico proverbio, che il simile ama il suo simile, quando mantenga la giusta misura, mentre le cose che non hanno misura non si aman fra di loro, né sono amate dagli esseri che hanno misura […] in virtù di questo principio chi di noi è temperante piace a Dio, perché a lui simile; l’intemperante e l’ingiusto invece sono da lui dissimili ed ostili, e lo stesso principio vale per tutte le altre qualità”[52].

2. L’antichità classica: alcuni passi fondamentali di Aristotele. Aristotele arricchisce la formulazione platonica – Katá phýsin, Katá lógon, Katá theón – con importanti precisazioni: i) l’affermazione del carattere finalistico intrinseco alla natura umana; ii) la definizione dell’entelechia come attualizzazione della perfezione dell’ente[53]; iii) i primi princìpi quali espressione logica originaria della legge naturale; iv) il vincolo della legge naturale con il governo divino del mondo.

i) Il termine phýsis ricorre innumerevoli volte nel linguaggio aristotelico. Il significato principale si riferisce all’essenza del composto o sostanza concreta[54]. È connotata dal movimento o attività verso il fine (télos), il quale pone in atto l’ente[55]. Il fine è l’atto terminale e perfettivo dell’attività della natura. La phýsis non esprime soltanto l’essenza operativa di ciascun ente, poiché va intesa anche come totalità cosmica e ordine naturale, retta per un verso da una legalità razionale immanente e, per altro verso, ordinatrice delle specie in se stesse e tra loro. Secondo le parole di Felix Lamas in questo modo è espressa “la realtà di una razionalità costitutiva dell’ordine del mondo, che è partecipazione di un lógos ordinante divino che procede dal noûs che è atto e pensiero puro”[56].

Il fondamento metafisico della dottrina di Aristotele presuppone e si fa evidente nella teoria della legge naturale, che corrisponde a una concezione teologica della natura[57].

ii) La natura razionale dell’uomo si ripercuote sulla sua natura sociale. L’uomo è fatto per vivere la vita in società con gli altri uomini rispettando l’ordinamento sociale. L’esistenza della società è radicata nella stessa natura razionale dell’uomo. La sua finalità è contribuire a che gli uomini perfezionino le loro attitudini al fine di conseguire la loro entelechia. Lo Stato realizza questo compito assicurando le condizioni del bene comune.

Il punto di partenza è la natura sociale dell’uomo, che si radica nella sua razionalità. Famiglia, reti minori di comunione tra gli uomini e l’unione di tutte costituiscono la pólis, cui ciascuno aspira in virtù della natura, giacché essa consente lo sviluppo delle attitudini di ciascuno per il perseguimento della vita perfetta. Dall’interrelazione tra le finalità familiari, sociali e della pólis nasce la potesta regendi, che è il primato del bene comune, il quale nulla ha a che fare con la concezione moderna della sovranità, del superiore che non conosce limiti né sopra né sotto di sé.

La riflessione di Aristotele costituisce un avanzamento della dottrina platonica della legge naturale, in quanto focalizza una sua nuova fonte: la entelechia come realizzazione perfetta in atto della forma. Il télos dell’uomo è la norma fondamentale del diritto naturale[58].

Alfred Verdross ha sintetizzato nella seguente formula la teoria platonico-aristotelica del diritto naturale: a) gli esseri finiti sono dinamici; b) la  dinamica è determinata oggettivamente dal fine cui sono destinati per loro natura; c) la morale e il diritto sono determinati oggettivamente dalla natura stessa dell’uomo e dalla comunità che sulla natura si basa; d) non esiste una separazione totale tra l’essere e il dover essere, giacché il dover essere si trova radicato nell’essere dell’uomo[59].

iii) Il terzo aspetto fondamentale della dottrina aristotelica è il vincolo tra la legge naturale e i princìpi. Sotto questo profilo l’istanza metafisica si incardina in quella logica ed epistemologica. La verità dei princìpi è scoperta grazie all’esperienza umana che si incontra con la realtà[60]. Sta qui il fondamento realistico della legge naturale nella filosofia classica. I princìpi vengono scoperti per induzione grazie all’esperienza. Essi non sono innati nella natura umana come conoscenza in atto. Vero è invece che Dio ha posto nella natura umana e nel cuore dell’uomo la capacità di scoprirli e di conoscere la legge naturale in un contatto diretto e concreto con le emergenze della vita, le sue virtualità e le sue circostanze. Per questo possiede un contenuto materiale espresso in molteplici precetti “che corrispondono a qualcosa di obiettivo e determinato esistenzialmente, come sono le inclinazioni della natura e i suoi fini propri”[61]. Per questo la legge naturale viene prima del diritto positivo; per questo tutti gli uomini hanno l’obbligo di conoscerla e rispettarla[62].

iii bis) Sul piano conoscitivo, come detto, l’uomo perviene ai princìpi per induzione tramite l’esperienza. L’organo che, a partire dalla percezione originaria consente la conoscenza dei princìpi è il noûs (o intelletto), che specifica in modo proprio la parte spirituale dell’anima umana, la scintilla del divino, ciò che rende possibile la somiglianza dell’uomo con Dio[63].

Nell’Etica Nicomachea Aristotele tratta del vincolo trail noûs e i princìpi congiungendo nella funzione della ragion pratica i due estremi: la conoscenza universale dei beni e dei fini e l’esperienza dell’azionein cui essi si realizzano[64].

Con frase icastica Lucila Bossini ha scritto che nel noûs pratico si perviene all’intelligenza del bene relativo alla condotta umana.

iv) Va detto infine che la legge naturale è strettamente vincolata con il governo divino del mondo, a cui l’uomo è associato grazie alla sua spiritualità.

Aristotele nell’Etica Nicomachea afferma ripetutamente che Dio, governando tutti gli enti, governa anche le cose umane ricompensando le condotte che si sforzano di assomigliare a lui mediante la perfezione dell’intelletto[65].

3. La grande stagione dei Padri della Chiesa. L’immensa eredità del pensiero antico transitò al cristianesimo tramite l’opera dei Padri della Chiesa, greci e latini, e, soprattutto, di Sant’Agostino di Ippona, Dottore della Chiesa e Padre della cultura occidentale. Egli è stato anche, insieme con Sant’Isidoro di Siviglia (560 circa-636) la fonte primaria sulla legge naturale di San Tommaso d’Aquino e della scolastica.

In Sant’Agostino è presente anche l’eco del pensiero di Marco Tullio Cicerone (106 a.C. – 43 a. C.), soprattutto nelle tre opere giuridiche De re publica, De legibus e De officiis. In questa rapida sequenza non è inopportuno citare alcuni passi di tali opere. Si legge nel De legibus:

“Dobbiamo esporre in questa dissertazione il fondamento universale del diritto e delle leggi, in modo che il cosiddetto diritto civile si riduce in qualche modo a una parte di proposizioni molto piccole. Così dobbiamo spiegare la natura del diritto deducendola dalla natura dell’uomo”[66].

Sempre nel De legibus così egli definisce la legge:

Lex est ratio summa, insita in natura, quae iubet ea, quae facienda sunt, prohibetque contraria[67].

Nel De re publica scrive:

“Esiste una legge vera (est quidem vera lex); è la retta ragione (recta ratio) congruente con la natura (naturae congruens), diffusa tra tutti (diffusa in omnes), costante, eterna (constans, sempiterna). Ci chiama a compiere i doveri, ci proibisce l’inganno e lo scaccia. Non ordina né proibisce invano ai buoni, anche se non esercita influenza sui cattivi. Nessun principio può alterarla. Nessuno ha diritto a derogarla in alcuna delle sue parti. Nessuno può abrogarla in alcun modo. Né il Senato né il populus hanno il potere di esimerci dal suo rispetto. Non richiede l’esposizione né l’interpretazione di un Sexto Aelio. Non è una in Roma e altra in Atene, una oggi e altra in futuro: è una Legge unica, eterna, valida per tutte le nazioni e tutti i tempi. Vi è un solo Dio che è come il magister e l’imperator di tutti gli uomini (unusque erit communis quasi magister et imperator ómnium deus): egli è il suo autore (inventor), il suo esecutore (disceptator) e il suo promulgatore (lator)”[68]

Per quanto nell’opera complessiva di Cicerone vi sia una curvatura immanentistica, dovuta alla sua formazione nelle scuole dello stoicismo medio e la legge naturale non sia perfettamente distinta dalla legge eterna, le sue opere di filosofia giuridica mettono chiaramente in luce la libertà dell’uomo, la sua responsabilità verso la legge, il primato comunque di un Dio provvidente che si occupa del bene dell’umanità.

Con Sant’Agostino, in un contesto storico e filosofico completamente estraneo al panteismo stoico, fiorisce la prima nozione integralmente cristiana della legge naturale, che è l’incisione della Legge eterna nella coscienza degli uomini. Essa è distinta dalla Legge eterna come la figura incisa nella cera con un sigillo a sua volta inciso è distinta dal sigillo medesimo.

Nel De Trinitate Sant’Agostino scrive:

“La legge giusta si trova iscritta e come impressa nel cuore dell’uomo operatore di giustizia da cui non si può allontanare, giacché è una specie di intro-impressione, come dall’anello passa l’immagine alla cera senza abbandonare l’anello”[69].

Il Santo Dottore di Ippona conferisce importanza, soprattutto negli scritti antimanichei, al fatto che se l’uomo è capace, a causa delle cattive passioni, di oscurare l’incisione della legge nel suo cuore, tuttavia non potrà cancellarla completamente. Con ciò egli rifiuta l’idea, che sarebbe ritornata con l’eresia luterana, della corruzione totale della natura umana in conseguenza del peccato originale, tenendosi ben stretto all’insegnamento di San Paolo ai Romani:

“Infatti tutte le volte che i pagani, che non hanno la legge, praticano le azioni prescritte dalla legge, seguendo il dettame della natura, essi, pur non avendo la legge, sono legge per se stessi. Essi mostrano che l’opera voluta dalla legge è scritta nei loro cuori, dato che la loro coscienza rende loro testimonianza e i loro ragionamenti si accusano o si difendono tra di loro …”[70].

Quanto alla vigenza della legge di natura, che antepone le cose migliori a quelle inferiori grazie a un amore ordinato, egli scrive: “[…] è illecito ciò che proibisce la legge tramite la quale si rispetta l’ordine naturale” [71] ed, enfatizzando il libero arbitrio che rende capace l’uomo di agire conformemente alla natura, conclude:

“[…] proprio grande è la creatura umana […] è grande, nonché degno di lode il Signore che la creò. Egli creò anche nature inferiori che non possono peccare perché nulla possono contro la Legge eterna a cui sono talmente sottomesse in quanto non possono partecipare di essa”[72].

La superiorità dell’uomo su il creato e su tutte le creature è nell’elemento che specifica la sua natura, cioè la ragione:

“In questa vita pertanto la santità di ciascuno consiste nello stare sottomesso a Dio con docilità; il corpo sia sottomesso all’anima e le inclinazioni viziose alla ragione […]; consiste inoltre nel chiedere a Dio la grazia per compiere azioni meritorie, per chiedere il perdono dei peccati, così come nel ringraziarlo per i beni ricevuti”[73].

4. La legge naturale in San Tommaso d’Aquino e nella scolastica. In San Tommaso d’Aquino la dottrina della legge naturale assume la forma definitiva, in quanto Egli riassume in una sintesi perfetta le fonti dell’antichità classica e cristiana.

La legge naturale va vista secondo tre considerazioni: i) anzitutto come principio; ii) poi, come espressione razionale delle inclinazioni naturali degli uomini e iii) infine, come partecipazione della legge eterna nella creatura razionale.

i) In premessa va detto che per San Tommaso i precetti della legge naturale umana stanno alla ragione pratica come i primi princìpi stanno alla ragione speculativa: poiché gli uni e gli altri sono princìpi di per sé evidenti[74]. Egli estende all’ambito della conoscenza pratica la dottrina aristotelica del noûs che designa con il termine sindéresis: “la sinderesi è la legge del nostro intelletto perché è un abito che abbraccia i precetti della legge naturale che sono i princìpi primi dell’agire umano”[75]: con ciò identifica i primi princìpi in materia morale con le norme più universali della legge morale.

Ora, allo stesso modo in cui

“l’ente è la cosa assolutamente prima nella conoscenza, così il bene è la prima della conoscenza della ragione pratica, che è ordinata all’operazione: poiché ogni agente agisce per un fine, il quale ha sempre ragione di bene. Perciò il primo principio della ragione pratica si fonda sulla nozione di bene, essendo il bene ciò che tutte le cose desiderano. Si ha così il primo precetto della legge: Bisogna fare e cercare il bene e bisogna evitare il male. E su di esso sono fondati tutti gli altri precetti della legge naturale: per cui tutte le altre cose da fare o da evitare appartengono ai precetti della legge di natura in quanto la ragione pratica le conosce praticamente come beni umani”[76].

Questi princìpi, immediatamente evidenti, esprimono i fini primari della natura umana a cui essa è ordinata e inclinata naturalmente. Grazie all’esperienza morale ricaviamo in modo ovvio e naturale tali princìpi dalle inclinazioni primarie della nostra natura, i beni fondamentali e la felicità, in definitiva il fine ultimo.

Precisa al riguardo San Tommaso che:

“Come nulla è stabilito con fermezza secondo la ragione speculativa se non mediante la sua risoluzione nei primi princìpi indimostrabili, così nulla è stabilito con fermezza secondo la ragione pratica se non mediante l’ordinamento al fine ultimo, che è il bene comune. Ora, ciò che la ragione stabilisce in questo modo ha natura di legge”[77].

ii) Tra i due estremi dei primi princìpi e dei dati naturali dell’esistenza v’è uno stretto parallelismo. L’esperienza permette di conoscere i vari livelli delle inclinazioni naturali che sono insite nella profondità della natura umana: a) la tendenza, comune a ogni sostanza, a conservare il proprio essere, cui  corrispondono i precetti della legge morale naturale dettati dalla ragione pratica, che prescrivono di conservare la vita e la propria esistenza impedendo ogni cosa che attenti ad essa; b) l’inclinazione alla conservazione della specie, come l’unione del maschio con la femmina, la cura dei piccoli e la loro educazione, cui corrispondono i doveri familiari e, soprattutto, quelli assistenziali, formativi ed educativi; c) l’inclinazione a conoscere la verità in ordine a Dio e al dovere di vivere in società, cui corrispondono i doveri sociali, in primis di evitare l’ignoranza e la negligenza verso gli altri e di astenersi da ogni offesa alle altre persone e ai loro beni (“Et secundum hoc, ad legem naturalem pertinent ea quae ad huiusmodi inclinationem spectant, utpote quod homo ignorantiam vitet, quod alios non offendat cum quibus debet conversari, etcetera huiusmodi quae ad hoc spectant”)[78].

iii) La legge naturale considerata nel suo fondamento ultimo è la “partecipazione della legge eterna nella creatura razionale”[79]. Infatti l’essere umano, in quanto creatura razionale, è soggetta alla provvidenza in una maniera più eccellente, poiché vi partecipa con la libera volontà di provvedere a se stessa e agli altri:

“Per cui anche in essa si ha una partecipazione della ragione eterna, da cui deriva una inclinazione naturale verso l’atto e il fine dovuto. E questa partecipazione della legge eterna nella creatura razionale prende il nome di legge naturale”[80].

Citando il salmista [Ps. 4,6], San Tommaso ricorda che la risposta al quesito di chi cerca le opere della giustizia, multi dicunt, quis ostendit nobis bona? suona così: signatum est super nos lumen vultus tui, sì da significare:

“che la luce della ragione naturale, che ci permette di discernere quale sia il bene e il male, non è altro che un’impronta della luce divina in noi. Per cui è evidente che la legge naturale non è altro che la partecipazione della legge eterna nella creatura razionale”[81].

Le tre prospettive tommasiane della legge naturale hanno come base il principio intellettuale evidente (noûs o intellectus) dell’ordine razionale della “condotta diretta ai fini dell’uomo che sono partecipazione della Sapienza Ordinatrice di Dio, principio trascendente e fine di tutto ciò che esiste”[82].

Mauro Ronco


[1] Leone XIII (1878-1903), Lett. enc. Rerum novarum, 15 maggio 1891, 1.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] Ibidem.

[7] Ibidem.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

[10] V. Cathrein SJ, Philosophia moralis: in usum scholarum, Friburgo, 1905; Id., Die Grundbegriffe des Strafrechts. Eine rechtsphilosophische Studie, Friburgo,1905; Id., Filosofía del Derecho. El Derecho Natural y El Positivo, Madrid, 1926.

[11] A. Vermeersch SJ, Theologiae moralis. Theologia fundamentalis, Roma, 1947.

[12] J. Gredt OSB, Elementa philosophiae Aristotelico-Thomisticae, Volume I, Logica, Philosophia Naturalis, in Rivista di filosofia neo-scolastica, 1909, 4.

[13] L. Lachance OP, Le concept de droit selon Aristote et Saint Thomas, Montréal, 1948; Id., Le Droit et les droits de l’homme, Parigi,1959; Id., L’humanisme politique de Saint Thomas d’Aquin, Parigi,1939.

[14] J. Pieper, Über die Gerechtigkeit, Monaco, 1950.

[15] F. Olgiati, Il concetto di giuridicità in s. Tommaso d’Aquino, Milano, 1943; Id., La riduzione del concetto filosofico del diritto al concetto di giustizia, Milano, 1932, Id., Il concetto di giuridicità nella scienza moderna del diritto, Milano, 1943.

[16] G. Graneris, La filosofia del diritto nella sua storia e nei suoi problemi, Torino, 1943; Id., Contributi tomistici alla Filosofia del Diritto, Torino, 1949.

[17] R.M. Pizzorni OP, Diritto Naturale e Diritto Positivo in S. Tommaso d’Aquino, Bologna, 1999; Id., Il diritto naturale dalle origini a s. Tommaso d’Aquino, Bologna, 2000; Id., Diritto, etica e religione. Il fondamento metafisico del diritto secondo Tommaso d’Aquino, Bologna, 2006.

[18] D. Composta SdB, Filosofia del diritto. Prolegomeni, epistemologia, metodologia, protologia, Roma, 1991; Id., Filosofia del diritto. I fondamenti ontologici del diritto, Vol. 2, Roma, 1994. Sulla vastissima opera di Composta v. Dario Composta: Le coordinate del pensiero filosofico-giuridico: natura, morale, diritto, Biblioteca della rivista Studium, Matteo Negro e altri (a cura di), Roma, 2020.

[19] F. Gentile, Per trovare una nuova via al diritto naturale, in AA.VV., Diritto, diritto naturale, ordinamento giuridico, Danilo Castellano (a cura di), Padova, 2002, 173-199;

[20] D. Castellano, Ordine etico e diritto, Napoli, 2011.

[21] A. Vendemiati, San Tommaso e la legge naturale, Roma, 2011.

[22] S.M. Ramírez Ruíz de Dulanto, OP, De ipsa philosophia in universum secundum doctrinam aristotelico-thomisticam. Madrid, 1922-1924; Id., Doctrina política de Santo Tomás. Madrid, 1951; Id., El Derecho de Gentes. Madrid, 1955.

[23] J. A. Widow, El hombre, animal político. Orden Social, Principios e Ideologias, Santiago de Chile, 1984.

[24] J. D. Wild, Plato’s modern enemies and the theory of natural law, Chicago, 1953.

[25] J. Finnis, Natural Law And Natural Rights, Oxford, 2011.

[26] M. Villey, La formation de la pensée juridique moderne, Parigi, 1975; Id., Compendio de filosofia del derecho. Definiciones y fines del derecho, Pamplona, 1979; Id., Il diritto e i diritti dell’uomo, Siena, 2011.

[27] F. E. de Tejada y Spinola, Historia de la filosofía del Derecho y del Estado, I, Madrid, 1946; Id., Historia de la filosofía del Derecho y del Estado, II, Madrid, 1946; Id., Necesidad de sustituir los principios generales del derecho por el derecho natural hispánico, Madrid, 1962; Id., La vigencia del Derecho natural. En Derecho natural hispánico, Madrid, 1973; Id., El saber filosófico en la aplicación del Derecho, Madrid, 1973-1974; Id., Programa de un curso de Filosofía del Derecho, Murcia, 1941; Id., Programa de Derecho natural, Sevilla, 1973; Id., El Derecho natural en 1972, Madrid, 1972; Id., Tratado de Filosofia del Derecho, Sevilla, 1974; Id., El Derecho natural, fundamento de la civilización, Santiago de Chile, 1975.

[28] F. A. Lamas, Ensayo sobre el orden social, Buenos Aires, 1985; Id., La experiencia juridica, Buenos Aires, 1991; Id., Tradición y doctrina clásica de la Ley Natural, in Derecho natural y iusnaturalismos,VIII Jornadas Internacionales de Derecho NaturalIII de Filosofía del Derecho, Universidad Catolica San Paolo, Arequipa, Lima, 24-26 ottobre 2012; Id., El Hombre y su Conducta, con prologo di Mauro Ronco, Buenos Aires, 2013; Id., Dialéctica y concreción del derecho, Buenos Aires, 2022

[29]J. Lalanne, Si Dios no existe, ¿todo está permitido?, Santiago de Chile, 2016.

[30] D. A. Herrera, En defensa de los principios de derecho natural, in Prudentia Iuris, ed. 40 anniversario della rivista, 47.

[31] L. A. Bossini, La verdad del Derecho. Justicia, orden y bien comun, Buenos Aires, 2020; Id., La ley natural según Santo Tomás de Aquino, Buenos Aires, 2022.

[32] M. Ayuso, ¿Dos derechos? El imprescindible derecho natural, in Utrumque ius, Madrid, 2014, 263-272.

*[33] Questo scritto non costituisce un’opera originale, ma è la semplice rielaborazione riassuntiva della dottrina della legge naturale magistralmente dettata dal grande filosofo del diritto argentino Adolfo Félix Lamas, che ho avuto il dono di avere maestro negli studi di filosofia del diritto, nonché della sua discepola Lucila Adriana Bossini. Come detto in Premessa l’Enciclica Aeterni Patris ha dato impulso alla riscoperta della dottrina tomistica della legge naturale e del Diritto naturale. Molte opere di grande spessore culturale, alcune delle quali ho citato nella nota precedente, hanno rimesso al centro dell’intera comunità scientifica internazionale la dottrina della legge naturale, dimostrandone la radicale differenza dal cosiddetto giusnaturalismo, che ha dominato la cultura occidentale per quasi due secoli, fino all’avvento del positivismo giuridico. Per comprendere l’odierna condizione dei saperi giuridici non ho trovato maestro migliore di Felix Lamas, che ha saputo inserire il pensiero di San Tommaso d’Aquino sulla legge naturale all’interno delle fonti classiche, la fonte platonica e, soprattutto quelle aristotelica e agostiniana. Per questi motivi, invece di cercare qualcosa di nuovo, mi sono fatto carico di un compito divulgativo verso le persone giuridicamente colte per le quali però la dottrina della legge naturale è spesso evocata, talora anche apprezzata, ma quasi mai effettivamente studiata nelle sue fonti, nei suoi fondamenti e nei suoi contenuti. Ho perseguito lo scopo divulgativo non soltanto con la citazione di alcune opere, ma anche con riferimento agli appunti delle lezioni che negli anni  2019 e 2020 Felix Lamas ha dettato nel Seminario de Metafisica del Centro de Estudios Italo-Argentinos de Dialectica, Metodologia y Filosofia del Derecho y del Doctorado en Ciencias Juridicas de la Pontificia Universidad Católica Argentina: anno 2019 sul tema Dios fuente de toda razón y justicia¿ (Pero, puede esto demostrarse racionalmente?); anno 2020 sul tema: La experiencia en la génesis de la ciencias; nonché sul tema della crisi della dottrina classica della legge naturale.

[34] Platone, Le leggi, Libro I, 630e-631a, in Platone, Dialoghi politici. Lettere di Platone, Francesco Adorno (a cura di), Torino, 1988.

[35] Ibidem, 631b.

[36] Ibidem, 631d.

[37] Ibidem.

[38] Ibidem, 632c.

[39] Ibidem, 644d.

[40] Ibidem, 644e.

[41] Ibidem, 645ab.

[42] Ibidem, Libro X, 887bc.

[43] Ibidem, 889e.

[44] Ibidem, 890a.

[45] Ibidem, 903b.

[46] Ibidem, 904c.

[47] Ibidem.

[48] Ibidem, 904de.

[49] Ibidem, 904e-905c.

[50] L.A. Bossini, La ley natural, cit., 74, che sviluppa il tema trattato da Felix Lamas Dios fuente de toda razón y justicia¿ (Pero, puede esto demostrarse racionalmente?), cit.

[51] Platone, Le leggi, cit., Libro IV, 716c.

[52] Ibidem, 716cd.

[53] Per la definizione cfr. L. A. Bossini, La ley natural, cit., 84: “L’entelechia è la perfezione immanente dell’ente che non è altro che l’attualizzazione perfetta della forma sostanziale”.

[54] L. A. Bossini, La ley natural, cit., 79.

[55] Aristotele, Fisica, II, 192b 20-23, nonché 194a 29.

[56] F. Lamas, Tradición y doctrina clásica de la Ley Natural, cit., 40.

[57] L. A. Bossini, La ley natural, cit., 81.

[58] L. A. Bossini, La ley natural, cit., 85.

[59] A. Verdross, La filosofía del derecho del mundo occidental. Visión panorámica de sus fundamentos y principales problemas, trad. de Mario de la Cueva, Centro de Estudios Filosóficos de la Universidad Nacional Autónoma de México, México, 1962, 70-71.

[60] Cfr. l’opera fondamentale di F. A. Lamas, La experiencia juridica, cit.

[61] L. A. Bossini, La ley natural, cit., 91.

[62] Cfr. San Paolo, Lett. ai Romani, 1, 19-21.

[63] La dottrina del noûs è esposta nei Secondi analitici di Aristotele, testo capitale della induzione dei princìpi. Si rinvia al testo di L. A. Bossini, La ley natural, cit., 94-98 e alle lezioni di Felix Lamas dell’anno 2020 sul tema: La experiencia en la génesis de la ciencias.  

[64] Aristotele, Etica Nicomachea, 1141a 5-11, in Le tre etiche, a cura di A. Fermani, Milano, 2008.

[65] Ibidem, L. X, 1178b 21-33, 1179a 25-33, 1179b 22 (diá tinas theías aitías).

[66] M.T. Cicerone, De legibus, L. I, 17.

[67] Ibidem, L. I, 18.

[68] M.T. Cicerone, De re pública, L. III, 22.

[69] Sant’Agostino, De Trinitate, L. XIV, C. 15.

[70] San Paolo, Rom 2, 14-15.

[71] Sant’Agostino, Contra Fausto, L. XXII, 28.

[72] Ibidem.

[73] Sant’Agostino, La città di Dio, L. XIX, 27.

[74] San Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, I-II, in La Somma Teologica, I-IV, tr. it. a cura dei Frati Domenicani, introduzione di G. Barzaghi, Bologna, 2014, q 94 a 2 Resp. prima parte.

[75] Ibidem,I-II, q 94 a 1, ad 2.

[76] Ibidem,I-II, q 94 a 2, Resp. ultima proposizione della prima parte.

[77] Ibidem,I-II, q 90 a 2, Resp. ad 3.

[78] Ibidem,I-II, q 94 a 2, Resp. seconda parte.

[79] Ibidem,I-II, q 91 a 2, Resp.

[80] Ibidem.

[81] Ibidem.

[82] Cfr. F. Lamas, Tradición y doctrina clásica de la Ley Natural, cit., 55.

Share