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1. In caso di disaccordo fra i genitori sull’educazione religiosa da impartire ai figli, l’interesse del minore a una crescita sana ed equilibrata costituisce il criterio fondamentale da seguire per dirimere la controversia: è questa la conclusione, conforme con l’ormai consolidato orientamento della Cassazione, a cui è giunto lo scorso 9 luglio anche il Tribunale di Pesaro (con ordinanza n. 8519/2020), che ha revocato il divieto imposto ad una madre di portare con sé la figlia alle riunioni e alle adunanze dei Testimoni di Geova.

La questione affrontata dal Tribunale marchigiano trae origine da una controversia insorta fra genitori separati con riferimento all’educazione religiosa della figlia, in considerazione della diversa appartenenza confessionale dei due: cattolico il padre, testimone di Geova la madre. Il giudice ‒ muovendo dalla centralità dell’interesse del minore ad un equilibrato sviluppo della sua personalità e dall’esame concreto della vicenda ‒ ha ritenuto non giustificabili le limitazioni imposte alla madre, dal momento che non erano emersi nel corso del giudizio elementi dai quali desumere possibili rischi per la salute e per la crescita psico-fisica della minore, derivanti dalla frequentazione delle cerimonie dei Testimoni di Geova.

2. Il Tribunale ha pertanto confermato quanto già sostenuto dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ. n. 2196/2019): “in caso di conflitto genitoriale sull’educazione religiosa del minore, possono essere adottati anche provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà religiosa dei genitori purché intervengano all’esito di un accertamento in concreto, basato sull’osservazione e sull’ascolto del minore, dell’effettiva possibilità che l’esercizio di tali diritti possa compromettere la salute psico-fisica o lo sviluppo dei figli minori”.

Tale orientamento si basa sul principio, condiviso in ambito internazionale, per cui va ritenuto illegittimo qualsiasi provvedimento riguardante l’affidamento dei minori basato su considerazioni relative alla mera appartenenza religiosa dei genitori, dovendosi valutare caso per caso se e in che misura l’appartenenza in concreto pregiudichi la crescita sana e armoniosa del minore coinvolto (cfr. Corte Europea dei diritti dell’uomo, sentenza Hoffman c. Austria del 23 giugno 1993, n. 12875/1987).

Ne segue che astrattamente entrambi i genitori hanno il diritto di trasmettere il proprio credo ai figli, tuttavia il loro diritto può essere limitato da provvedimenti restrittivi laddove, in concreto, sia ravvisabile un pregiudizio per il minore. Per questo in casi analoghi a quello esaminato dal Tribunale di Pesaro, sono state individuate soluzioni differenti, con limitazioni imposte a uno o a entrambi i genitori circa l’educazione religiosa dei figli. Sul punto, la Cassazione ha sottolineato l’importanza di considerare l’età dei minori coinvolti e gli insegnamenti già impartiti, ritenendo legittimo il limite imposto a uno dei genitori, finalizzato a evitare “uno stravolgimento di credo religioso” in tutti i casi in cui i figli non abbiano ancora raggiunto la necessaria maturità pe fare una scelta confessionale veramente autonoma (cfr. Cass. n. 24683/2013).

3. Sulla base delle considerazioni sin qui svolte, il Tribunale di Pesaro ha ritenuto opportuno, nell’interesse della minore, che entrambi i genitori continuino a educare la figlia secondo i dettami della propria confessione religiosa, con l’obbligo di rispettare ciascuno il credo dell’altro, senza limitare la partecipazione della minore alle diverse attività direttamente o indirettamente legate alla religione di ciascun genitore.

In questo caso, dunque, non è stato imposto ai genitori nessun limite nell’educazione religiosa della figlia, se non quello del reciproco rispetto. Una scelta operata in base alla valutazione concreta di ciò che per quella minore è più adeguato a un sano ed equilibrato sviluppo della sua personalità.

Sul punto, in giurisprudenza ‒ pur nella generale condivisione dell’orientamento ormai prevalente per cui anche con riferimento alle scelte educative di tipo religioso l’interesse del minore è prioritario rispetto alle esigenze dei genitori – sono emerse due posizioni: quella che, in caso di contrasto fra i genitori, valorizza l’arricchimento culturale insito nell’insegnamento religioso, anche se non condiviso, come ha fatto il Tribunale di Pesaro (cfr. anche Corte d’appello di Napoli n. 3969/2018); e quella che invece attribuisce rilevanza ad un’educazione neutra e non condizionante, fino a arrivare persino al divieto per entrambi i genitori di impartire un’educazione religiosa ai figli (cfr. Trib. Avellino, sent. n.1137/2017; Trib. Agrigento, sent. del 24 maggio 2017).

Le due posizioni sono soltanto apparentemente contrastanti ed entrambe, a ben vedere, dipendono non già da astratte considerazioni, bensì dalla concreta valutazione della maturità del singolo minore, della sua capacità di discernimento e dai possibili rischi e/o benefici per lo stesso nel ricevere un certo tipo di formazione religiosa (aperta o meno ai diversi orientamenti religiosi dei genitori), o di non ricevere alcuna educazione spirituale. A tal ultimo proposito, ad esempio, laddove vi sia un’alta conflittualità dei genitori ‒ tale che gli stessi non siano in grado di rendere compatibile il diverso apporto educativo derivante dall’adesione a un diverso credo religioso ‒ e al contempo non vi siano però ragioni per ritenere legittime restrizioni solo per uno dei genitori, vi è un orientamento che ritiene preferibile nell’interesse del minore evitare che lo stesso riceva un’educazione religiosa in tenera età, nella prospettiva che egli stesso manifesti successivamente, in età adolescenziale, le proprie preferenze (cfr. Trib. Agrigento sent. del 24 maggio 2017).

Libertà religiosa del minore e responsabilità dei genitori

4. I genitori sono i primi soggetti chiamati ad occuparsi dell’educazione e istruzione dei figli, e la loro autonomia educativa, riconosciuta dall’art. 30 Cost., si estende alla dimensione spirituale. Ai genitori è pertanto riconosciuto di fornire alla prole una formazione basata sulla trasmissione del patrimonio di cultura e tradizioni loro proprio, unitamente alle personali convinzioni di fede, comprensive delle convinzioni agnostiche, areligiose o ateistiche. Le scelte pedagogiche inerenti alla dimensione spirituale dei figli sono in altri termini riservate alla libera opzione dei genitori. Non a caso l’art. 2 del Protocollo addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia delle libertà fondamentali prevede esplicitamente che “lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche”.

In caso di disaccordo dei genitori, come si è visto, il giudice è chiamato a dirimere la controversia, sulla base dell’esame dei diversi elementi della singola vicenda, e sempre nel rispetto del preminente interesse del minore al sano ed equilibrato sviluppo psico-fisico, da valutare in concreto e non in astratto, anche attraverso l’ascolto del minore, se possibile (cfr. l’art. 12 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza).

5. Ma cosa succede se invece il contrasto circa l’educazione religiosa impartita in famiglia riguarda i genitori da una parte e i figli dall’altra? Fino a che punto i genitori possono far valere le proprie convinzioni religiose sui figli?

Per rispondere a questi interrogativi occorre considerare che il fondamentale diritto di libertà religiosa spetta a tutti, senza distinzioni, neppure di età. Essere minori non significa infatti avere meno diritti o diritti affievoliti, bensì essere soggetti in formazione, bisognosi di cure e di attenzioni, modulate a seconda dell’età e della maturità raggiunta.

L’art. 14 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989 afferma al co. 1 che “Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione”. Non vi è dubbio quindi che pure al minore siano riconosciuti i diritti fondamentali, i quali tuttavia, a protezione degli stessi minori, sono esercitati nel modo migliore grazie al sostegno educativo dei genitori. Il co. 2 del citato art. 14 precisa che: “Gli Stati parti rispettano il diritto ed il dovere dei genitori oppure, se del caso, dei rappresentanti legali del bambino, di guidare quest’ultimo nell’ esercizio del summenzionato diritto in maniera che corrisponda allo sviluppo delle sue capacità”.

6. Si torna quindi, anche in questo caso, come in quello del contrasto fra genitori, al principio del preminente interesse del minore a una crescita sana ed equilibrata, qui volto ad armonizzare il contrasto fra discrezionalità pedagogica dei genitori ed esigenze di autodeterminazione dei figli. Il diritto-dovere dei genitori deve sempre tenere conto delle inclinazioni naturali e delle capacità dei figli, e non può prescindere né dal loro grado di maturità né dalla loro capacità di critica e di formazione di un pensiero autonomo.

La trasmissione dei valori o degli insegnamenti religiosi deve quindi essere sempre rispettosa della libertà del minore e dei suoi diritti fondamentali e deve essere modulata a seconda della sua età: nella prima infanzia i genitori possono avere una maggiore incidenza, in considerazione del fatto che in quella fase i bambini non sono ancora in grado di porsi in maniera consapevole il problema della fede (cfr. Cass., n. 24683/2013); a partire dall’età dell’adolescenza, invece, i genitori devono lasciare progressivamente maggiore spazio ai figli, consentendo loro, in base al singolo grado di maturità, di fare autonome scelte di fede, persino in contrasto con quelle proposte in famiglia. In tema di autodeterminazione degli adolescenti ‒ seppur non con specifico riferimento alla libertà religiosa dei minori ‒ è interessante quanto affermato dal Tribunale per i minorenni di Caltanissetta con provvedimento del 26/06/2018, laddove è stata messa in rilievo l’importanza di tutelare la libertà del minore “nelle proprie scelte di vita, sempre che le stesse siano lecite e non pregiudizievoli”.

7. I genitori nell’assolvimento del munus educandi a loro riconosciuto, devono accompagnare i figli nel percorso di formazione, garantendo loro gli strumenti di cui hanno bisogno per una sana crescita psico-fisica, sempre nel rispetto delle loro esigenze e convinzioni, anche spirituali. Come efficacemente chiarito dalla Cassazione, il contributo che i genitori sono chiamati a fornire all’educazione e all’istruzione dei figli anche in campo religioso non deve tradursi nella sottoposizione dei figli “ad indebite pressioni o condizionamenti” finalizzati ad imporre l’accettazione del proprio credo “in contrasto con la libertà dei minori di seguire, nell’ambito del processo di maturazione complessiva della loro personalità, un proprio particolare percorso anche nel predetto settore”  (Cass. n. 14728/2016).

                                                                                                  Daniela Bianchini

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