L’illecito disciplinare previsto dagli artt. 1 e 2, comma 1, lett. c) del D.lgs. n.109/06, precisamente nell’ambito degli illeciti compiuti nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, sanziona “la consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge”, senza distinguere tra magistrati requirenti e magistrato giudicanti.
Il riferimento ai “casi previsti dalla legge” impone all’interprete di individuare, in primis all’interno del codice di procedura penale, le norme di legge che impongono ai magistrati penali l’obbligo di astensione (per i giudici civili, ovviamente, il riferimento è al codice di procedura civile).
Con riguardo al giudice penale i casi in cui sussiste l’obbligo di astensione sono elencati tassativamente dall’art. 36 cod. proc. pen.; di questi va evidenziato l’obbligo previsto dalla lett. h), che ricorre “se esistono altre gravi ragioni di convenienza”.
Per quanto riguarda invece i pubblici ministeri l’astensione è disciplinata dall’art. 52 del codice di rito, che prevede non già un obbligo ma bensì “..la facoltà di astensione quando ricorrono gravi ragioni di convenienza”. Come è evidente la disciplina è assai diversa: per il giudice vi è l’obbligo di astensione se ricorrono gravi ragioni di convenienza, mentre per il pubblico ministero, nello stesso caso, ricorre solo la facoltà di astensione. È opportuno osservare che la ratio della previsione normativa avente ad oggetto la sola facoltà di astensione del pubblico ministero (e non anche l’obbligo) risiede nell’esigenza di scongiurare il rischio di paralisi dell’azione penale, con conseguente compromissione della previsione costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione stessa, laddove il pubblico ministero procedente, per avventura non sostituibile, fosse costretto ad intralciarne il corso a motivo di una causa di astensione (si veda Cass. Sez. Un. n. 24758/2009).
In termini generali quanto alla natura dell’illecito ed ai presupposti oggettivi e soggettivi per integrarlo, è sufficiente richiamare questa recente massima di una decisione delle Sezioni unite della Corte di Cassazione che enuclea tutti i punti: “ In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, l’illecito di cui all’art.2, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 109 del 2006 si caratterizza, sotto il profilo oggettivo, per essere un illecito di pura condotta, che viene integrato dalla sola condotta commissiva di partecipazione, da parte del magistrato, ad una attività d’ufficio rispetto alla quale sussisteva l’obbligo di astensione (senza necessità che da tale condotta derivi altresì uno sviamento di potere o un vantaggio per sé o per il terzo del cui interesse il magistrato si sia reso indebitamente portatore) e, sotto il profilo subiettivo, per la mancanza del dolo specifico, essendo al riguardo sufficiente la consapevolezza, nell’agente, della sussistenza di quelle situazioni di fatto in presenza delle quali l’ordinamento esige che egli si astenga dal compimento di un determinato atto (senza necessità di uno specifico intento finalizzato a favorire o danneggiare una delle parti); pertanto, ai fini della configurazione del predetto illecito ad opera del magistrato del pubblico ministero, rileva esclusivamente l’omessa astensione in presenza di un conflitto, anche solo potenziale, tra l’interesse pubblicistico al perseguimento dei fini istituzionali di giustizia ad esso affidati dall’ordinamento e l’interesse alieno a tali finalità (privato o personale) di cui egli sia portatore in proprio o per conto di terzi, non essendo altresì necessaria l’effettiva realizzazione di tale ultimo interesse”(Sez. un., n.1803 del 3 settembre 2020). In estrema sintesi si tratta quindi di un illecito di pura condotta, di mero pericolo non essendo necessaria l’effettiva distorsione dei provvedimenti giudiziari assunti, in cui è sufficiente un dolo generico, inteso come mera consapevolezza di versare in una situazione di conflitto di interesse (In tal senso anche Cass., Sez. un., n.10502/2016 in cui si è affermato che non vi è necessità di uno specifico intento trasgressivo, ma sia invece sufficiente che il magistrato abbia la consapevolezza di circostanze di fatto che lo avrebbero dovuto condurre all’astensione).
Quanto in particolare alla posizione dei magistrati requirenti, appare consolidata la giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. un., n.8563 del 26 marzo 2021; n.5942 del 11 marzo 2013; n. 21853 del 5 dicembre 2012) che in più occasioni ha affermato il principio secondo cui: “il magistrato del pubblico ministero ha l’obbligo, disciplinarmente rilevante, di astenersi ogni qual volta la propria attività possa risultare infirmata da un interesse personale o familiare”. Più specificamente le Sezioni unite hanno sottolineato come l’art. 52 cod. proc. pen., che prevede la sola facoltà di astensione del P.M. per gravi ragioni di convenienza, vada interpretato alla luce dell’art. 323 cod. pen. (il quale prevede e punisce il delitto di abuso d’ufficio), in base al quale il riferimento all’ “interesse proprio o di un prossimo congiunto” è posto a fondamento del dovere generale di astensione; ciò in coerenza col principio d’imparzialità dei pubblici ufficiali ex art. 97 Cost. e con la necessità di equiparare il trattamento del pubblico ministero – il cui statuto costituzionale partecipa dell’indipendenza del giudice – con la disciplina prevista per giudice penale, obbligato ad astenersi per gravi ragioni di convenienza ai sensi dell’art. 36 cod. proc. pen.. L’art. 323 cod.pen., infatti, nel contemplare il detto obbligo di astensione, detta una norma di carattere generale, che va coordinata con quelle speciali che prevedono casi diversi, sicché il richiamo – esteso, secondo lo schema della norma penale in bianco, anche alle norme speciali di futura emanazione – delinea un sistema in cui l’ipotesi di carattere generale e quelle particolari risultano armonizzate grazie a un effetto parzialmente abrogante che esclude ogni possibile contrasto. Il risultato, per quanto riguarda l’art. 52 cod. proc. pen., consiste dunque nell’abrogazione della facoltà, sostituita dall’obbligo, di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, che rientra con ogni evidenza nelle “gravi ragioni di convenienza”. Va considerato a tale riguardo poi che il pubblico ministero ha senz’altro veste e ruolo di parte, ma di parte pubblica tenuta, proprio perché tale, ad agire esclusivamente in funzione del perseguimento dei fini istituzionali assegnati dall’ordinamento. Per conseguenza, dunque, è da escludere che il magistrato incaricato di svolgere le funzioni di pubblico ministero possa ispirare la propria condotta a fini diversi da quelli istituzionali propri dell’ufficio di appartenenza e perseguire, o anche soltanto dare l’impressione di voler perseguire, obiettivi e scopi personali, ingenerando così una situazione tale da indurre a sospetti di compiacenza nei confronti di taluna delle altre parti private del procedimento o di uno dei difensori di esse (in questi termini Cass., Sez.un., n.33537/2018).
Se da un lato si potrebbe obiettare che il principio di stretta legalità e tassatività degli illeciti disciplinari stride con un’interpretazione sostanzialmente analogica, volta a mettere sullo stesso piano giudici e pubblici ministeri, che invece il codice di rito distingue quanto all’obbligo di astensione, per altro verso si deve però sottolineare che per tutti i magistrati, indistintamente, incombe l’obbligo deontologico di essere e di apparire imparziali, trattandosi di connotati fondamentali ed imprescindibili per l’esercizio delle funzioni giudiziarie.
Quanto all’elemento oggettivo della fattispecie, non vi sono particolari dubbi sul fatto che l’ ”interesse proprio o di un prossimo congiunto” non debba necessariamente essere di natura patrimoniale, ma possa riguardare anche la sfera degli interessi affettivi, per cui, ad esempio, l’esistenza di una relazione sentimentale tra il magistrato ed una delle parti o alcuno dei difensori di esse, impone l’obbligo di astensione, perché la norma disciplinare tutela l’immagine di imparzialità che deve ispirare l’attività giudiziaria e l’esistenza di una relazione sentimentale può “ingenerare, sia pure ingiustificatamente, il sospetto egli possa rendere una decisione ispirata a fini diversi da quelli istituzionali” (così Cass., Sez. un., n.7497 del 8 marzo 2022; n.21947 del 22 novembre 2004).
Scendendo, invece, un gradino più in basso, passando quindi dalla relazione sentimentale al mero rapporto di amicizia e frequentazione, la questione può risultare meno scontata.
La Suprema Corte ha trattato qualche anno addietro un caso in cui il rapporto tra il pubblico ministero e il difensore di uno degli indagati era di semplice amicizia e frequentazione, quindi con esclusione di qualsivoglia legame sentimentale in corso; la cassazione respinse il ricorso del magistrato che non si era astenuto, così confermando così la condanna disciplinare (si veda Sez. un., n.33537 del 27 dicembre 2018). Di tale ultima decisione è importante riportare la massima ufficiale, che non appare, in verità, particolarmente chiara; si afferma che: “Il magistrato del pubblico ministero ha l’obbligo, disciplinarmente rilevante, di astenersi ove la sua attività risulti influenzata da un interesse personale o vi possa essere il sospetto di un conflitto d’interessi, dovendo l’art. 52 c.p.p. essere interpretato alla luce dell’art. 323 c.p.p. così da escludere l’esistenza di una mera facoltà di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un proprio congiunto. (Nella specie, la Corte ha respinto il ricorso di un magistrato del P.M. avverso la sanzione disciplinare inflittagli per non essersi astenuto, in un procedimento concernente un grave disastro ferroviario, benché fosse in un rapporto confidenziale e di amicizia, reso pubblico dalla stampa, con il difensore di uno degli indagati)”. Trattasi di una cosiddetta massima di specie, questo perché il principio di diritto affermato è inscindibilmente connesso al caso di specie esaminato dalla Corte, il quale presenta delle peculiarità che vengono riportate, a differenza di quanto di regola avviene nelle massime redatte dall’Ufficio del Massimario. Malgrado però la descrizione sintetica del fatto, non appare sufficientemente chiaro come possa un rapporto di amicizia e frequentazione con una persona, nel caso di specie un difensore, trasformarsi in un interesse proprio o di un prossimo congiunto del magistrato. In realtà la poca chiarezza della massima, deriva dalla motivazione della sentenza delle Sezioni unite, che hanno affrontato il ricorso in termini strettamente processuali, limitandosi ad affermare che la valutazione del possibile conflitto di interesse “rientra nell’apprezzamento del giudice di merito”, e che, nel caso di specie, l’accertamento della sussistenza di tale conflitto “non è stato sufficientemente aggredito con il motivo di ricorso in esame”, evitando di soffermarsi sulla valutazione della questione di merito, che appariva centrale nella decisione in esame, dato che i termini “amicizia” o “rapporto confidenziale” hanno portata molto ampia ed indefita.
Quale è la singolarità della suddetta decisione ? Si può facilmente rilevare che l’obbligo di astensione non è stato più incastonato nella ricorrenza di un interesse proprio del pubblico ministero che procede o di un suo prossimo congiunto, ma è connesso al profilo della possibile perdita di imparzialità del P.M., anche in termini di mero sospetto, conseguenti ad una rapporto di amicizia e di confidenzialità, nel caso di specie con il difensore di uno degli indagati. E’ evidente che l’ambito di applicabilità dell’illecito disciplinare in tal modo si amplia in misura significativa. Se l’esistenza di una relazione sentimentale intercorrente tra il magistrato ed un soggetto che è parte del procedimento trattato appare oggettivamente, in base a comune massime di esperienza, un ostacolo all’esercizio imparziale della funzione, quantomeno sotto il profilo dell’apparenza, non si può dire analoga cosa nel caso in cui il rapporto tra i due soggetti si caratterizza dalla semplice amicizia e frequentazione, dato che in questi casi è necessario valutare, di volta in volta, l’intensità dell’amicizia e l’assiduità della frequentazione, circostanze che possono variare significativamente, anche in funzione della diversa sensibilità di chi deve giudicare in sede disciplinare. Certamente in ipotesi del genere vi sarebbero molto spesso “gravi ragioni di convenienza” che dovrebbero indurre il magistrato ad astenersi. Ma tali considerazioni, riportano la questione al dato di partenza: la legge, per quanto riguarda i pubblici ministeri, prevede nel caso di “gravi ragioni di convenienza” la mera facoltà di astensione e non un preciso obbligo di agire in tal senso.
Di recente la Sezione disciplinare ha confermato questo orientamento restrittivo (in particolare con la sentenza n. 154 del 2022, R.G. n. 100/2019), in un caso del tutto analogo, in cui era stato contestato al pubblico ministero l’omessa astensione, malgrado la frequentazione in quel momento con una soggetto indagato/persona offesa e con il suo difensore; si è affermato perciò che integra l’illecito disciplinare della consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge, la condotta del P.M. che ometteva di astenersi dalla trattazione di un procedimento penale riguardante un soggetto, che in alcuni procedimenti era indagato ed in altri persona offesa, con cui aveva un rapporto di frequentazione, anche con il suo difensore, giacché tali rapporti “senza dubbio, integrano le gravi ragioni di convenienza, idonee a far sorgere l’obbligo di astensione, in quanto suscettibili di generare quantomeno il sospetto di un conflitto di interessi dell’organo inquirente rispetto alla conduzione dell’indagine, gettando così un’ombra sull’immagine di imparzialità ed indipendenza di cui il magistrato deve godere nell’esercizio delle funzioni attribuite dall’ordinamento”. La decisione sposta quindi l’attenzione “dall’interesse proprio o di un prossimo congiunto” ricavato dall’art. 323 cod. pen., al profilo del pregiudizio all’immagine di imparzialità ed indipendenza del magistrato, che certamente verrebbe inficiata dalla inopportuna frequentazione con un proprio indagato e con il suo difensore.
La sentenza è stata impugnata e, quindi, si è in attesa della decisione del Supremo collegio, sperando che le Sezioni unite affrontino funditus la questione dell’insorge dell’obbligo di astensione del pubblico ministero anche nel caso di rapporti di mera amicizia e frequentazione, come, in verità, è stato fatto egregiamente in relazione alla posizione di un giudice penale, condannato in sede disciplinare per l’illecito de quo, in un caso in cui la relazione di frequentazione con il difensore della parte del processo era caratterizzata “da uno stretto e risalente legame suscettibile di intaccare, per il modo e l’intensità che lo connota, la serenità e capacità del magistrato di essere imparziale…”(si veda Sez. un., n.2301 del 28 gennaio 2019). In altre parole l’omessa astensione, nel caso di rapporti di amicizia e frequentazione con una parte processuale o un difensore, ha rilevanza disciplinare, a condizione che l’amicizia sia solida e la frequentazione sia non occasionale, elementi che effettivamente possono incidere sulla serenità di giudizio del magistrato. Sempre che pubblici ministeri e giudici continuino ad essere accumunati dallo stesso criterio interpretativo dell’obbligo di astensione di cui all’art. 2, lett.c), D.lgs. n.109/2006.
Giuseppe Marra
magistrato