Nota alla sentenza Dobbs, State Health Officer of the Mississippi Department of Health, et al. v. Jackson Women’s Health Organization et. al. del 24 giugno 2022.
(Prima parte)
- Introduzione
Stabilire con precisione e dettaglio funzioni e scopi dei reperti di volta in volta rinvenuti è compito primario degli archeologi. Uno sguardo inesperto, non correttamente educato, non pienamente cosciente delle realtà dei luoghi e delle popolazioni, degli usi e della storia locale, può infatti facilmente confondere le fondamenta di un tempio, e magari di un battistero paleocristiano, con quelle di un semplicissimo pozzo d’acqua; oppure antiche monete con ornamenti, munizioni, o giochi per bambini. Allo stesso modo, solamente giuristi inesperti, non volendoli pensare maliziosi, possono definire “pro-life”—o altrimenti ideologica—la recente sentenza della Corte Suprema americana in tema di aborto. C’è magari chi lo spera, ma non è questa la realtà.
La decisione Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization[1] (in seguito “Dobbs”) non ha in alcun modo dichiarato l’aborto incostituzionale, crimine, o anche solo illecito. Mediante tale pronuncia, la Corte Suprema ha invece soltanto restituito agli stati membri il potere di decidere se, quando, e in che misura difendere la vita prenatale al loro interno. Lo scorso giugno, in altre parole, essa non ha posto fine a un “diritto”, ma soltanto eliminato un obbrobrio giuridico[2] e rimediato a un errore del passato, adempiendo al compito attribuitole dalla costituzione federale ed abbandonando un ambito estraneo alla sua giurisdizione.
Alla cecità o inesperienza che hanno portato i media nazionali a descrivere diversamente l’accaduto, cercheremo di seguito di porre rimedio, chiarendo anzitutto la radicale differenza che sussiste tra il testo costituzionale italiano (e con esso larga parte delle carte costituzionali europee) e quello federale statunitense; ci occuperemo poi di illustrare nel dettaglio gli argomenti che hanno condotto alla decisione, decisamente privi di riferimenti morali o moraleggianti. Auspichiamo così di rimediare alla superficiale se non anche qui maliziosa lettura della decisione del 24 giugno 2022 della Corte Suprema degli Stati Uniti, che in nessun modo ha proibito alle donne statunitensi di ottenere un aborto volontario, ma solamente rimediato a un abuso durato quasi quarant’anni.
Resterebbe da chiedersi se gli emendamenti della costituzione americana non invitino e forse non impongano già anche un ulteriore limite federale, ad oggi inesistente, all’aborto volontario.[3] Diversamente da quanto accade in Italia—e nel resto d’Europa—i singoli stati americani sono infatti ancora liberi di legiferare a favore dell’aborto senza alcun limite temporale, senza bisogno di dimostrare la necessità, medica o d’altro genere, dell’intervento, senza che i padri dei nascituri ne siano informati, senza che le minorenni necessitino del parere favorevole di un genitore… Libertà forse coerenti con l’originale natura della costituzione federale, ma forse altrettanto incompatibili con medicina e cultura attuali: chiare, la prima, nel definire vita umana l’embrione dal momento del concepimento; la seconda, nel condannare ogni ingiustificata discriminazione, soprattutto verso i più deboli. Eppure, non è questa la posizione della Corte Suprema, che lascia i singoli stati liberi di ritenere l’aborto un diritto della donna.
- Costituzione e Corte Suprema: Washington non è Roma.
Come si diceva, il più grande motivo di errore nell’interpretazione della sentenza in oggetto sembra derivare non tanto da una superficiale lettura del testo vero e proprio, quanto dall’incomprensione del peculiare ruolo che la carta costituzionale americana e la Corte Suprema federale rivestono nell’ordinamento giuridico nordamericano. Ruolo radicalmente diverso da quello della costituzione italiana e della sua corte. Nel 1787, infatti, i cittadini americani non necessitavano di una dichiarazione che li rendesse ex novo titolari di diritti fondamentali, o di libertà di pensiero, parola, o religione. Tali diritti, esistenti “consuetudinariamente” all’interno dei singoli stati (e ricordiamo che l’America del XVIII secolo non era quella del 1940), non richiedevano formale ricognizione o attribuzione, posta anche la diversa concezione dello stato e del suo ruolo nei confronti del cittadino. Scopo della carta federale del 1797 era invece quello di costituire un nuovo governo centrale, dai poteri “limitati e numerati”, a servizio dei governi statali. In base al testo dell’Articolo 1, Section 1, il congresso federale americano, composto da camera e senato, fu dichiarato detentore di tutti e soltanto dei poteri ad esso attribuiti dalla stessa costituzione[4]. “Limited and enumerated powers”, amano dire gli statunitensi: con ciò sottolineando la primazia dei poteri statali in ogni materia non espressamente delegata[5]. Secondo il progetto originario, il governo con attuale sede a Washington D.C. avrebbe dovuto soltanto adempiere alle promesse contenute nello stesso preambolo al testo costituzionale: “formare una più perfetta unione, garantire la giustizia, assicurare la tranquillità interna, fornire comune difesa, promuovere il benessere generale e salvaguardare per noi stessi e per i posteri le benedizioni della libertà.”[6]
Oltre che dal testo, che questo fosse lo scopo originario della costituzione è ampiamente confermato dal fatto che nella sua forma primigenia, suggerita dai “federalisti”, ovvero proprio da coloro che credevano nel progetto dell’Unione, essa nemmeno includeva la scarna “Bill of Rights,” che fu adottata soltanto nel 1791. Come si legge ed apprende dall’interessantissimo dibattito tra i cosiddetti “federalisti” e “anti-federalisti”—contrari, quest’ultimi, all’esistenza stessa di un governo centrale![7]—ciò che condusse alla ratificazione degli originari primi dieci emendamenti (la cosiddetta Bill of Rights), e con ciò all’inclusione di una “carta dei diritti,” fu proprio il timore da parte anti-federale di un governo incapace di contenersi e limitarsi a quanto ad esso delegato. I federalisti, invece, promotori del nuovo governo limitato, ritenevano superflua se non anche controproducente tale aggiunta.[8] Tali “carte”, infatti, sono solitamente gentili concessioni di diritti da parte di un potere sovrano[9]. Secondo la coscienza americana, invece, e secondo il volere costituente, i diritti del singolo esistevano ed avrebbero continuato ad esistere a prescindere ed indipendentemente dal volere dallo stato centrale. I “federalisti”, inoltre, temevano che una lista esplicita di diritti del singolo vis-a-vis lo stato federale suggerisse che, in sua assenza, il potere del governo centrale fosse assoluto; e che non vi fosse garanzia alcuna per i diritti non inclusi nella lista. Il compromesso che portò alla adozione della Bill of Rights fu raggiunto solo grazie all’introduzione del nono e del decimo emendamento, voluti dai federalisti, e secondo i quali, rispettivamente: “La enumerazione all’interno della Costituzione di alcuni diritti non deve interpretarsi per negare o violarne altri che restano a capo dei cittadini”[10]; e, soprattutto, “I poteri non delegati agli Stati Uniti dalla Costituzione, né esclusi dalla sovranità degli stati, sono di pertinenza esclusiva, rispettivamente, degli stati membri e dei cittadini”[11].
Tali emendamenti, tuttavia, non furono sufficienti a limitare la progressiva espansione del potere centrale. In altre parole, i timori di entrambe le fazioni si rivelarono fondati. In particolare, benché in origine i diritti della Bill of Rights costituissero un limite soltanto per il governo dell’Unione, attraverso la clausola del “giusto processo” ed il riferimento a una non meglio definita “libertà” contenuti nel quattordicesimo emendamento, essi divennero nel tempo un limite ed una barriera anche per i governi degli stati membri e ciò secondo una intricata evoluzione interpretativa e giurisprudenziale che cercheremo di riassumere, a larghissimi tratti, nei paragrafi seguenti.
L’adozione del quattordicesimo emendamento[12] avvenne al termine della Guerra Civile. Ratificato nel 1868, esso aveva il nobilissimo scopo di dichiarare finalmente cittadini tutti i nati o naturalizzati in terra statunitense (a prescindere dal loro colore), rendendo invalida ogni legge statale che ne limitasse privilegi ed immunità. Tale emendamento rese altresì incostituzionali d’ora innanzi quelle leggi statali volte a privare qualsiasi persona (e non solo i cittadini americani) di vita, libertà o proprietà “senza giusto processo,” o a negare ad alcuno l’uguale protezione delle leggi.
Ebbene, a partire da una nota a piè di pagina alla decisione U.S. Carolene Products del 1938[13], la Corte Suprema indicò che il “giusto processo,” che implica garanzie non solo procedurali, ma anche sostanziali (cosiddetto “substantive due process”), comportava non solo il dovere della Corte di verificare la “ragionevolezza” delle leggi statali, ma anche quello di proteggere i cittadini dalla violazione, ad opera delle singole legislature, dei diritti inclusi e di quelli derivanti dai primi otto emendamenti, del diritto a partecipare al processo politico (attraverso il diritto di voto, di associazione, di libera espressione) e dei diritti delle minoranze. In particolare, qualsiasi legge limitatrice di tali tre categorie di diritti si sarebbe potuta ritenere valida solamente in base al criterio dello “strict scrutiny”: provandosi, cioè, che essa è giustificata da un “cogente interesse statale” e che la limitazione del diritto fondamentale che essa impone è strettamente limitata allo scopo perseguito dal legislatore. Ove tali diritti non siano coinvolti, invece, lo standard di costituzionalità adottato dalla Corte Suprema è il “rational basis test”: ovvero una verifica di ragionevolezza della legge (o ordinanza) soddisfatta ove la stessa persegua un legittimo interesse statale e sussista una logica relazione tra lo scopo perseguito e le misure adottate. Intuitiva diviene quindi la rilevanza di stabilire, entro tale sistema, se l’aborto costituisca “diritto fondamentale,” ovvero mera libertà (comportamento non punibile, scusabile, giustificato, etc.).
Parallelamente, la Corte Suprema stabilì, nel susseguirsi di diverse pronunce, che i diritti fondamentali, per questo soggetti a strict scrutiny, tutelati dal substantive due process del quattordicesimo emendamento dovevano identificarsi non soltanto in quelli sanciti dai primi otto emendamenti, ma in tutti quelli “profondamente radicati nella storia e nella tradizione degli Stati Uniti”[14]: diritti non necessariamente esplicitati nella Bill of Rights, ma contenuti anche solo nella “penombra” di altri emendamenti, impliciti al concetto di “ordered liberty” che il quattordicesimo emendamento tutelerebbe.
Fu dunque proprio attraverso la combinazione di tali meccanismi interpretativi, a dir poco elastici, che la Corte Suprema federale dichiarò la sussistenza di un “diritto alla privacy”, inteso non quale diritto alla riservatezza, ma all’utilizzo della contraccezione, nel 1965[15]; un diritto all’aborto, nel 1973[16]; il diritto al matrimonio tra persone di razze diverse, nel 1967[17], e un diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso nel 2015[18].
Chiaramente, è della “scoperta” di quel secondo diritto all’aborto—e della più recente affermazione della sua inesistenza da parte della stessa Corte Suprema—che dovremo di seguito occuparci. Speriamo, tuttavia, che questo breve excursus sulla costituzione americana possa già aver aiutato alcuni neofiti del diritto d’oltreoceano a riconoscere la radicale unicità della realtà giuridica e costituzionale americana, tanto “pre” quanto “post” Roe v. Wade e a scoraggiare tentativi di maldestra comparazione.
In aggiunta, questa sintesi storica potrebbe aiutare a comprendere come mai il partito conservatore americano abbia da sempre e per quasi cinquant’anni negato la legittimità di Roe v. Wade, e con essa la sussistenza di un federale diritto all’aborto: non per motivi morali, si badi, quanto per pure ragioni di sovranità e legalità. Sovranità e legalità che sono alla base anche del recente ribaltamento di Roe v. Wade, in nessun modo giustificato da opinioni “pro-vita” o anti abortiste della corte o dei suoi giudici e che in nessuno modo hanno posto fine all’aborto in terra nordamericana.
- Cosa disse la sentenza Roe v. Wade e la situazione ante-Dobbs
La notorietà della sentenza Roe v. Wade del 1973 è senza dubbio meritata, posto che con essa una corte di nove giudici diede vita ad un radicale e nuovo diritto all’aborto, diritto mai esistito in Italia e raro ovunque nel mondo[19]. Diritto che ha per cinquant’anni influenzato le norme dell’occidente e del diritto internazionale. Attraverso Roe v. Wade e la “gemella” pronuncia Doe v. Bolton, infatti, gli Stati Uniti non si limitarono ad esentare da pena donne che abortissero in situazioni di particolare pericolo o fragilità, o che accettassero di rispettare una qualche procedura—quale quella prevista dalla legge n. 194 del 1978. Nel 1973, l’aborto non fu semplicemente depenalizzato e compreso, come avvenuto nella maggior parte degli stati occidentali.[20] A seguito di tale pronuncia, gli Stati Uniti divennero globalmente e per quasi cinquant’anni la nazione in cui l’aborto poteva ottenersi in qualunque momento e per qualsiasi ragione.[21] Quel che di seguito preme sottolineare è l’assai dubitabile fondamento giuridico di tale pronuncia.
Il particolare caso che diede vita alla sentenza Roe v. Wade riguardava (la gravidanza di Norma McCorvey e) l’asserita incostituzionalità della legge penale del Texas, secondo la quale l’aborto costituiva un crimine salvo fosse avvenuto in base ad una prescrizione medica volta alla salvaguardia della vita della madre. Si noti, tuttavia, che tale legge valeva solo in Texas e che al momento in cui il caso giungeva alla Corte molte legislature statali già si erano occupate di aborto, regolandolo in base alle decisioni e alla sensibilità dei propri cittadini. Alcuni di essi, tra i quali il Colorado, storicamente citato quale “pioniere” per i diritti all’aborto, avevano liberalizzato l’accesso. Ma nemmeno il Colorado aveva mai espresso l’idea che l’aborto fosse un diritto della donna, limitandosi invece a depenalizzarne la pratica ove la vita della madre fosse in pericolo, ove il nascituro potesse essere gravemente malato o deformato; ed infine in caso di stupro o incesto. Questo stato pioniere, invero, richiedeva anche che la decisione della donna fosse vagliata ed approvata da una commissione composta da tre medici prima di essere portata a termine. Al tempo in cui Roe giunse a decisione, inoltre, l’aborto procurato, anche in forma tentata, costituiva crimine in quasi tutti gli stati; ma già nel 1962 ciascuno di essi prevedeva eccezioni alla pena. In particolare, quarantadue stati già prevedevano eccezioni alla pena in caso di aborto volto a salvaguardia della vita della madre, tre per i casi di tutela della vita e della salute della donna, due per casi in cui l’aborto fosse volto ad evitare infermità grave o permanente alla madre.[22] Secondo il giudice Harry Blackmun, redattore dell’opinione della corte, tuttavia, queste libertà non erano sufficienti.
La corte del 1973, invero, decise che quello che gli stati avevano deciso al loro interno non era rilevante in tema di aborto: nessuno di essi poteva più proibire l’aborto se non nell’ultimo trimestre.
Al giudice Blackmun, peraltro, non bastò dichiarare la legge del Texas incostituzionale in virtu’ di un “bilanciamento di interessi”, come accadde in Italia nel 1975[23], e come similmente avvenne in altri paesi europei: riconoscendo cioè al contempo il valore intrinseco della vita nascente[24]. Ancora più sorprendente è che egli nemmeno volle accontentarsi di suggerire alle legislature competenti l’adozione un modello di legislazione, magari simile o improntato a quello predisposto dall’American Legal Institute e pubblicato nel Model Penal Code del 1962[25]. Al contrario, egli decise, assieme agli altri sei giudici che concorsero al giudizio, di redigere una disciplina—secondo lo schema dei trimestri—che aveva tutto l’aspetto di una legge e che, come tale, difficilmente rientrava tra le competenze della corte.
Come si diceva, peraltro, la corte non si accontentò di suggerire quel modello di legislazione, che per sua stessa ammissione quattordici stati americani già avevano adottato e che chi scrive trova quantomeno rispettoso della teoria del diritto e della dottrina penalistica. In base allo schema proposto dall’American Legal Institute, in particolare, l’aborto volontario non diveniva “diritto,” ma si rendeva “giustificato” in presenza di requisiti ben definiti: ovvero di un parere medico che confermasse: a) il pericolo per la salute, anche solo mentale, della madre, b) gravi difetti fisici o mentali del nascituro, c) che il concepimento fosse avvenuto in contesto incestuoso, di stupro, di altro rapporto illecito, oppure si trattasse di ragazza minore degli anni sedici (rapporto ritenuto sempre illecito). Secondo tale schema, inoltre, gli aborti si sarebbero dovuti praticare all’interno di ospedali in possesso di regolare licenza medica (come è caso quasi scontato in Italia, o almeno lo è stato a lungo[26]): non in ambulatori quali quelli gestiti da Planned Parenthood, non necessariamente attrezzati per emergenze[27], e dove le donne corrono rischi a proprie spese. Benché “diritto”, infatti, l’aborto negli stati Uniti non è gratuito; ed i profitti sono tutti privati.
Tuttavia, secondo il giudice Harry Blackmun, redattore di una decisione adottata da una maggioranza e da una corte composte da soli uomini (con buona pace delle quote contemporanee), ogni donna possedeva il diritto di porre fine alla propria gravidanza entro il primo trimestre. Si trattava di un diritto fondamentale, per tanto soggetto a “strict scrutiny” ove limitato ad opera di leggi statali. Dirittoche entro tale finestra temporale era assoluto. Tale diritto continuava poi a sussistere per tutto il corso della gravidanza: nel secondo trimestre gli stati avrebbero potuto (non dovuto, si badi) regolare tale diritto, ma solo al fine di salvaguardare la salute della madre; tra il sesto e il nono mese, avrebbero potuto (ancora, non dovuto, ma potuto) limitare ed anche vietare l’aborto; ciò ancora una volta salvo necessità di salvaguardia della vita della madre.[28] Si noti, in particolare, che diversamente da quanto accadde in Italia (o in Germania), la Corte Suprema non menzionò alcun interesse, aspettativa, o diritto alla vita del nascituro. A limitare il diritto della donna vi poteva solamente essere un interesse statale alla protezione della vita definita “potenziale”: non un obbligo, lo ripetiamo, ma un interesse soltanto.
In base a quanto stabilito dalla gemella sentenza Doe v. Bolton, tuttavia, anche gli apparentemente leciti limiti statali all’aborto divennero difficili da giustificare e ciò sino al termine ultimo della gravidanza.[29] In tale seconda pronuncia, infatti, la stessa Corte Suprema stabilì che il diritto all’aborto non può mai essere limitato da leggi statali ove il pericolo riguardi la salute della madre; e definì tale salute in termini includenti “ogni fattore—fisico, emotivo, psicologico, familiare, e l’età della donna—rilevante ai fini del benessere della paziente.”[30]
Inoltre, ove le basi sociologiche della pronuncia lasciavano a desiderare, invocando soltanto i numerosi “detrimenti”[31] che vite non volute potevano provocare, senza menzione alcuna del valore della vita umana e del suo apporto alla società, quelle giuridiche non erano meno controverse.
Ci riferiamo, in particolare, a come la corte del 1973 ritenne che il diritto di ogni madre a terminare la vita del nascituro fosse radicato in un altro diritto non menzionato dalla carta, il diritto alla “privacy.” Tale ultimo diritto poteva alternativamente fondarsi—con ciò forse a suggerire che nemmeno Blackmun fosse poi così sicuro della solidità del proprio argomento: sulla libertà individuale protetta dal quattordicesimo emendamento; sul nono emendamento, che evocava il valore dei diritti “non menzionati”; oppure ancora sul primo, quarto, o quinto emendamento, rispettivamente dedicati alla libertà di espressione e religione, alla libertà da perquisizioni e ispezioni non motivate, ed al diritto al silenzio. Ironicamente, proprio il nono emendamento, nato per limitare il potere federale diventò meccanismo per imporre agli stati diritti e libertà che essi non potevano limitare, incluso quello all’aborto, e per negare al loro interno il non menzionato diritto alla vita del nascituro. Si aggiunse, inoltre, drammaticamente, che il feto non è “persona” e che non godrebbe di un diritto alla vita (tantomeno di tutela attenuata—come sembra essere vero in Italia) proprio perché tale diritto non era “sancito” dalla carta costituzionale.[32] I federalisti avevano forse avuto qualche buona ragione nel temere la Bill of Rights.
Ebbene, in virtu’ di quanto sopra descritto in relazione alla natura della costituzione americana nonché ai poteri “limitati e numerati” della Corte Suprema e del governo federali, il fondamento giuridico non solo di un federale “diritto” all’aborto, ma dell’autorità di nove giudici di legiferare, e non soltanto pronunciarsi,a proposito di un tema tanto delicato, sembrano difficili da difendere. In termini di stretto diritto, l’overreach della pronuncia è stato infatti ritenuto evidente, per quasi cinquant’anni, da un gran numero di avvocati e giuristi di diverse fedi e partito, nonché da una moltitudine di elettori che, oltre a ritenere di fondamentale importanza il tema della vita nelle proprie scelte elettorali[33], ha continuato a domandare una corte animata da “judicial restrain”: fedele al testo ed allo spirito costituzionali. Di qui il grande successo dell’“originalismo”, dottrina interpretativa che da più di trent’anni riscuote grande successo in terra nordamericana e secondo la quale i giudici debbono rispettare testo e intenzioni “originali” dei costituenti[34].
La sentenza del giugno 2022 ha quindi ufficializzato l’“erroneità” di Roe v. Wade al più alto livello istituzionale, restituendo agli stati il potere di decidere come, quando, e se regolare l’aborto. Prima di guardare nel dettaglio a quest’ultima pronuncia, si rende tuttavia necessario menzionare ancora quel contraddittorio tentativo della stessa corte di rimediare, nel 1992, ai propri errori: non già eliminando il fantomatico diritto all’aborto, ma giustificandone in diverso modo l’esistenza.
In particolare, fu nel contesto del caso Planned Parenthood of Southeastern Pa. v. Casey,[35] che alla Corte Suprema fu data la più grande possibilità di correggere quello che anche larga parte liberale aveva definito freddo (“e spaventoso”) esercizio di potere giudiziario.[36] Al contrario, una strana maggioranza ‘alternata’ all’interno della corte (il cui esatto significato provocò il mal di testa in generazioni di studenti di legge) decise in tale occasione di preservare il diritto sancito dalla corte nel 1973; e ciò sulla base di un “rispetto del precedente”—il principio dello “stare decisis”—che non consentiva, secondo i giudici, di por fine a uno status quo al quale gli americani si erano abituati. Allo stesso tempo però, e secondo una logica non facilissima da giustificare, la corte decise anche che il precedente stesso andava modificato. Il diritto all’aborto, infatti, non poteva più fondarsi sul diritto alla privacy; esso doveva invece derivarsi, leggersi all’interno di quel concetto di “libertà” tutelata dal quattordicesimo emendamento.
Non solo: conscia della ingiustificabilità scientifica, giuridica, o morale del modello trimestrale stabilito da Roe, la corte (dichiaratamente, ma forse non sostanzialmente) “rispettosa del precedente” decise di abbandonarlo, sostituendolo con il limite unico della “viabilità”. D’ora innanzi, l’aborto non poteva essere proibito dai singoli stati se non dopo tale termine: di dubbia collocazione temporale, posto il continuo evolversi della scienza medica; e di dubbia giustificazione filosofica, posta l’assenza di salti qualitativi nella vita ed esistenza del concepito.
I governi statali, precisò Casey, potevano ora anche limitare o regolare l’aborto prima di tale termine e non soltanto per la tutela della madre. Tali limitazioni, tuttavia, potevano sussistere e ritenersi costituzionali soltanto ove le singole prescrizioni non costituissero onere eccessivo (“undue burden”) per la donna. Ebbene, la vaghezza di tale parametro—già per questo di dubbia legalità—rese gli stati semplicemente incapaci di legiferare in tema di aborto e fu ripetutamente motivo di questioni costituzionali[37], impegnando la corte e l’opinione pubblica per i successivi trent’anni.
La sentenza del 1992, infine, conteneva un’affermazione che ormai decine di filosofi e teorici della politica hanno citato nei propri scritti quale epitomo della cultura relativista del ventunesimo secolo: il cosiddetto “mystery passage,” che nulla ha a che vedere con ordinamenti giuridici nei quali vigono il principio di legalità e di certezza del diritto. Nelle parole del giudice Kennedy, in particolare, si disse che:
“Al cuore della libertà sta il diritto di ognuno di definire il proprio concetto di esistenza, di significato, di universo, del mistero della vita umana.”169.
Fu quindi proprio un’interpretazione giudiziale del quattordicesimo emendamento, introdotto per porre fine alle discriminazioni razziali difendendo “il diritto comune di tutta l’umanità,”[38] a giustificare per i successivi trent’anni l’eliminazione di soggetti certamente bisognosi di tutele. Nel giugno di quest’anno, dopo un’attesa durata quasi cinquant’anni, la Corte Suprema ha rimediato a tale incongruenza.
Marianna Orlandi, Ph.D.*
* Executive Director e Director of Academic Programs, Austin Institute for the Study of Family and Culture.
[1] Sentenza pronunciata il 24 giugno 2022 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, di seguito citata secondo il sistema statunitense: 597 U.S. (2022)
[2] Come scrisse, tra gli altri, J. H. Ely nel 1973–citato direttamente all’interno della sentenza in esame—Roe non fu esercizio di diritto costituzionale e la corte nemmeno sembrò mostrare la sensazione d’essere obbligata in tal senso. The Wages of Crying Wolf: A Comment on Roe v. Wade, 82, Yale L.J., 920, 926, 947 (1973). Infra, nota 36.
[3] In tal senso, e sulla costituzionalità di un divieto federale di aborto, vedi R. P. George, J. Craddock, A National Abortion Ban Is Constitutional, Wall Street Journal, 16.09.2022. In termini minori, ci si consenta anche il riferimento a M. Orlandi, Italian–American Narratives of Abortion: Crimes and Rights, Their Differences and Why they Matter, in Revista RYD República y Derecho, ISSN-L 2525–1937, Vol. VII (2022), in part. pp. 78,79.
[4] “All legislative powers herein granted shall be vested in a Congress of the United States, which shall consist of a Senate and House of Representatives.” U.S. Constitution, Articolo 1, Sezione 1.
[5] Ulteriore prova della limitata competenza del governo federale sta nel decimo emendamento, la cui adozione è però successiva e sul quale si tornerà. Infra.
[6] U.S. Constitution, Preambolo, traduzione nostra (“We the People of the United States, in Order to form a more perfect Union, establish Justice, insure domestic Tranquility, provide for the common defence, promote the general Welfare, and secure the Blessings of Liberty to ourselves and our Posterity, do ordain and establish this Constitution for the United States of America”).
[7] Impossibile fornire una esaustiva lista delle fonti al riguardo, ma basterebbe tornare agli originali leggendo proprio “The Federalist Papers,” di Alexander Hamilton, James Madison, John Jay; per una più ricca analisi vedi, “The Debate on the Constitution: Federalist and Antifederalist Speeches, Articles, and Letters During the Struggle over Ratification, AAVV, Bernard Bailyn, 1993.
[8] Vedi anche H. Arkes, Beyond the Constitution, 1992, Princeton University Press, e in particolare il capitolo 4, “On the Dangers of a Bill of Rights: Restating the Federalist Argument”. Come l’autore nota, “è una delle ironie del dibattito originale sulla costituzione che alcuni dei più illuminanti commentari sul carattere del nuovo governo fossero formulati da coloro che si opponevano alla costituzione” (id., p. 21, traduzione nostra).
[9] Queste le osservazioni dello stesso Alexander Hamilton, nel Federalist Paper n. 84: “It has been several times truly remarked, that bills of rights are in their origin, stipulations between kings and their subjects, abridgments of prerogative in favor of privilege, reservations of rights not surrendered to the prince. Such was Magna Charta, obtained by the Barons, sword in hand, from king John. Such were the subsequent confirmations of that charter by subsequent princes. Such was the petition of right assented to by Charles the First, in the beginning of his reign. Such also was the declaration of right presented by the lords and commons to the prince of Orange in 1688, and afterwards thrown into the form of an act of parliament, called the bill of rights. It is evident, therefore, that according to their primitive signification, they have no application to constitutions professedly founded upon the power of the people, and executed by their immediate representatives and servants.” (Traduzione nostra: “È stato più volte sottolineato che le carte dei diritti sono, nella loro origine, stipulazioni tra i re e i loro sudditi, riduzioni di prerogative a favore di privilegi, riserve di diritti non ceduti al principe. Tale fu la Magna Charta, ottenuta dai baroni, spada alla mano, da re Giovanni. Tali furono le successive riaffermazioni di quella carta da parte dei principi successivi. Tale fu la petizione di diritto accolta da Carlo I, all’inizio del suo regno. Tale fu anche la dichiarazione di diritto presentata dai Lord e dai Comuni al principe d’Orange nel 1688, e successivamente trasformata in un atto del Parlamento, chiamato Bill of Rights. È evidente, quindi, che secondo il loro significato originario, esse non si applicano alle costituzioni che si professano fondate sul potere del popolo e che sono rese effettive dai rappresentanti e servitori immediati di quest’ultimo”.)
[10] Il testo originale recita: “The enumeration in the Constitution, of certain rights, shall not be construed to deny or disparage others retained by the people.” IX Emendamento.
[11] Il testo originale recita: “The powers not delegated to the United States by the Constitution, nor prohibited by it to the States, are reserved to the States respectively, or to the people.” X Emendamento.
[12] Il cui testo originale recita: “All persons born or naturalized in the United States, and subject to the jurisdiction thereof, are citizens of the United States and of the state wherein they reside. No state shall make or enforce any law which shall abridge the privileges or immunities of citizens of the United States; nor shall any state deprive any person of life, liberty, or property, without due process of law; nor deny to any person within its jurisdiction the equal protection of the laws.”, XIV Emendamento, Sezione 1.
[13] United States v. Carolene Products Company, 304 US 144 (1938).
[14] Vedi soprattutto Snyder v. Massachusetts, 291 U.S. 97 (1934), Palko v. Connecticut, 302 U.S. 319 (1937), Duncan v. Louisiana, 391 U.S. 145 (1968).
[15] Griswold v. Connecticut, 381 U.S. 479 (1965)
[16] Roe v. Wade, 410 U.S. 113, 152 (1973). Qui la corte citò numerosissimi precedenti, casi risalenti addirittura al 1891. Dobbs, tuttavia, ritiene Roe erronea poiché in essa si confuse il diritto alla riservatezza con quello di compiere indisturbati importanti scelte personali (Dobbs, 597 U.S., (2022), p. 5).
[17] Loving v. Virginia, 388 U.S. 1 (1967)
[18] Obergefell v. Hodges, 576 U.S. 644 (2015)
[19] Pochissimi sono gli stati nel mondo che permettono aborti volontari non motivati da necessità terapeutiche successivamente al termine della ventesima settimana: Canada, Cina, Olanda, Corea del Nord, Singapore, Vietnam, Islanda e Guinea-Bissau. Vedi, in proposito, The World’s Abortion Laws, Center for Reproductive Rights, 23.2.2021. In seguito a Dobbs, tale possibilità è data in alcuni stati nordamericani, ma non in tutti.
[20] M. Orlandi, Italian–American Narratives of Abortion, op cit. pp. 67-70, supra nota 3.
[21] Secondo il Professore Michael Stokes Paulsen, il “radicalismo” è una delle principali caratteristiche di Roe. Vedi, in proposito: M.S. Paulsen, The Unbearable Wrongfulness of Roe, in Pub. Discourse. [online] 23.1.2012, accessibile a https://bit.ly/3lFnImp.
[22] Z. Leavy, J. Kummer, “Criminal Abortion: Human Hardship and Unyielding Laws”. Southern California Law Rev. 1962, No 35. p.123, 127
[23] Corte Cost. 18 febbraio 1975, n. 27.
[24] V. ad esempio la decisione del 1975 del Bundesverfassungsgericht, secondo il quale la costituzione tedesca protegge la vita che si sviluppa nell’utero materno quale bene giuridico indipendente. BVerfGE. 1975, 39, 1. Disponibile online: https://bit.ly/3velpKf.
[25] Model Penal Code, par. 230.3: “(1) Unjustified Abortion. A person who purposely and unjustifiably terminates the pregnancy of another otherwise than by a live birth commits a felony of the third degree or, where the pregnancy has continued beyond the twenty–sixth week, a felony of the second degree. (2) Justifiable Abortion. A licensed physician is justified in terminating a pregnancy if he believes there is substantial risk that continuance of the pregnancy would gravely impair the physical or mental health of the mother or that the child would be born with grave physical or mental defect, or that the pregnancy resulted from rape, incest, or other felonious intercourse. All illicit intercourse with a girl below the age of 16 shall be deemed felonious for purposes of this subsection. Justifiable abortions shall be performed only in a licensed hospital except in case of emergency when hospital facilities are unavailable. [Additional exceptions from the requirement of hospitalization may be incorporated here to take account of situations in sparsely settled areas where hospitals are not generally accessible]”.
[26] Vedi in proposito, Circolare del Ministero della salute 12 agosto 2020, n. 27166, consultabile dal collegamento:
http://www.dirittoegiustizia.it/allegati/MinSalute_circolare_12_agosto_2020.pdf.
[27] In base a una recente investigazione promossa da LiveAction, nel solo arco di 24 mesi si registravano 14 casi di emergenze mediche successive all’aborto entro le stesse cliniche nei quali diverse donne hanno rischiato recentemente la propria vita. Video disponibile online: https://www.youtube.com/watch?v=pSoPys6KybI.
[28] Supreme Court of the United States. Roe v. Wade, 410, U.S., 164–65 (1973).
[29] Supreme Court of the United States. Doe v. Bolton, 410 U.S. 179 (1973). Il caso riguardava una legge dello stato della Georgia, redatta secondo lo schema del Model Penal Code.
[30] Ibid., 192.
[31] Roe v. Wade, 410 U.S., 153 (1973) (“The detriment that the State would impose upon the pregnant woman by denying this choice altogether is apparent. Specific and direct harm medically diagnosable even in early pregnancy may be involved. Maternity, or additional offspring, may force upon the woman a distressful life and future. Psychological harm may be imminent. Mental and physical health may be taxed by child care. There is also the distress, for all concerned, associated with the unwanted child, and there is the problem of bringing a child into a family already unable, psychologically and otherwise, to care for it. In other cases, as in this one, the additional difficulties and continuing stigma of unwed motherhood may be involved. All these are factors the woman and her
responsible physician necessarily will consider in consultation.” Traduzione nostra: “Il danno che lo Stato imporrebbe alla donna incinta negandole del tutto questa scelta è evidente. Può trattarsi di danni specifici e diretti, medicalmente diagnosticabili già nelle prime fasi della gravidanza. La maternità o gli ulteriori figli possono costringere la donna a una vita e a un futuro angoscianti. Il danno psicologico può essere imminente. La salute mentale e fisica può essere messa a dura prova dalla cura del bambino. C’è anche lo stress, per tutti gli interessati, associato al bambino non voluto, e c’è il problema di introdurre un figlio in una famiglia già incapace, psicologicamente e in altro modo, di prendersene cura. In altri casi, come in questo, possono esservi le ulteriori difficoltà e il continuo stigma associati alla maternità al di fuori del matrimonio. Tutti questi sono fattori che la donna e il suo medico curante prenderanno necessariamente in considerazione”.)
[32] “[T]he use of the word [person] is such that it has application only postnatally. None [of its uses] indicates, with any assurance, that it has any possible pre–natal application”. Supreme Court of the United States. Roe v. Wade, 410 U.S., 157 (1973).
[33] Secondo un sondaggio Gallup del 2021, negli ultimi vent’anni la percentuale di elettori che valutavano l’aborto come fattore determinante nell’elezione del Presidente degli Stati Uniti non è mai scesa sotto al 44%. Vedi:
The Abortion Issue in Presidential Elections. Gallup, Inc. 2021, https://bit.ly/3v5yDc4.
[34] Sul punto vedi S.G. Calabresi, On Originalism in Constitutional Interpretation, National Constitution Center, accessibile su: https://constitutioncenter.org/the-constitution/white-papers/on-originalism-in-constitutional-interpretation; E. Slattery, W. Pryor, E. Meese III, The Originalism Revolution Turns 30: Evaluating Its Impact and Future Influence on the Law, Special report, n. 191, 26.1.2017, The Heritage Foundation, accessibile al collegamento: https://www.heritage.org/sites/default/files/2017-01/SR-191.pdf.
[35] Supreme Court of the United States. Planned Parenthood of Southeastern Pa. v. Casey. 505 U.S. (1992).
[36] Il Giudice Byron White lo descrisse come “exercise of raw judicial power” all’interno del suo dissenso nella stessa Roe v. Wade, 222. Il giurista John Hart Ely definì letteralmente “spaventosa” la pronuncia, poiché scopriva un “diritto-super-protetto” che “non è derivabile “dal linguaggio della costituzione, dal pensiero dei costituenti, … da qualunque valore generale … o dalla struttura della nazione” (J.H. Ely, “The Wages of Crying Wolf...”, supra nota 2, pp. 935–936.). Nel 1973, il Professore Richard Epstein scrisse che il fragile linguaggio della due process clause non dava alla Corte Suprema licenza di riscrivere il diritto penale sostanziale. “Potevamo decidere che il nascituro fosse persona per la costituzione e comunque lasciare che fosse la legge statale a decidere quale complesso di diritti e doveri derivasse da tale status” (R.A. Epstein, “Substantive Due Process by Any Other Name: The Abortion Cases”. The Supreme Court Review. University of Chicago Press, 1973, vol. 1973, p. 159, 180. Traduzione nostra).
[37] Sul punto, infra, riportando l’analisi in Dobbs.
[38] G. Bradley, Constitutional and Other Persons, in Reason, Morality, and Law. Oxford, Oxford University Press, J. Keown & R. George editori, 2013; in tale scritto l’autore si riporta alle parole del parlamentare Ewing ed alla ricerca storica condotta da J.E. Bond, “The Original Understanding of the Fourteenth Amendment in Illinois, Ohio, and Pennsylvania”, Akron Law Review. 1985, vol. 18, n. 3, art. 4.