Cause ed effetti (devastanti) della tolleranza ideologica verso la pornografia.

1. Negli anni ’80 del secolo scorso, quando l’epidemia pornografica si stava diffondendo a macchia d’olio con mezzi tecnologicamente avanzati e con rappresentazioni sempre più lascive e impudiche e i giudici si mostravano ritrosi ad applicare l’art. 528 del codice penale che vietava le pubblicazioni e gli spettacoli osceni[1], scrissi un articolo, pubblicato su un paper per il seminario di diritto penale all’Università di Torino sul tema dello sfruttamento della prostituzione. In quel testo mi lamentavo che i pubblici ministeri non applicassero alla pornografia gestita su scala industriale la normativa, anch’essa peraltro scarsamente utilizzata, che puniva lo sfruttamento della prostituzione con la reclusione da due a sei anni ai sensi dell’art. 3, n. 8 Legge 20 febbraio 1958, n. 75.

Osservavo che se lo sfruttamento della prostituzione si inserisce in un rapporto trilaterale, ove agiscono il soggetto che fornisce la prestazione sessuale a pagamento, il soggetto che ne fruisce, sempre a pagamento, e il soggetto che percepisce una parte o l’intero frutto del sinallagma tra fornitore e fruitore, non v’è ragione giuridica per non ritenere il produttore o il venditore di rappresentazioni pornografiche quale sfruttatore della prostituzione. Anche in questa situazione sussiste il medesimo rapporto trilaterale: gli attori che forniscono dietro compenso la prestazione sessuale; il numero indeterminato di consumatori che fruiscono visivamente della rappresentazione, pagando il prezzo della rivista, della cassetta o della visione filmica, e il produttore o venditore del prodotto, che trae profitto e, dunque, sfrutta la prostituzione degli attori.

Ritenevo ingenuamente, all’epoca, che i pubblici ministeri e la magistratura giudicante (che nei rari casi di esercizio dell’azione penale faceva ogni sforzo per non pervenire a sentenza di condanna ex art. 528 c.p. degli imputati), una volta sollevati dal ‘rischio’ di essere ritenuti ‘moralisti’, perseguissero penalmente almeno i soggetti apicali responsabili del fenomeno devastante della pornografia. Non si sarebbe più trattato di inseguire i singoli sfruttatori sul piano microsociale, lasciando peraltro impunita la sovrabbondante cifra oscura degli sfruttatori anonimi, bensì di compiere operazioni dirette a sottrarre l’ingente potere economico locupletato da coloro che organizzavano il business su scala industriale.

Come per la circolazione della droga le indagini e i processi si focalizzarono sempre più sui cartelli (mafiosi e ‘ndranghetistici) che inondavano il mercato, e meno sui venditori al dettaglio – e i risultati criminologici sono stati sul lungo periodo soddisfacenti – così per la circolazione della pornografia la magistratura, inquirente e giudicante, avrebbe potuto e dovuto svolgere per dettato legislativo un ruolo preventivo e repressivo di primaria importanza, a cui invece si è sottratta per negligenza e, talora, per codardia.

Né si può sostenere che, mentre la droga crea addiction e schiavitù psicologica, nonché effetti criminogeni di larga portata, la pornografia sia innocua tanto in ordine alle conseguenze di addiction del soggetto che ne diviene consumatore abituale, quanto in ordine alle ricadute della sua diffusione sul piano criminogenetico.

Peraltro, allo stesso modo della droga, anche la pornografia ha un effetto ‘tolleranza’ di carattere progressivo. Come sono necessarie al tossicodipendente dosi sempre più elevate di sostanza per conseguire i medesimi livelli di piacere fisico e psichico ottenute con le dosi precedentemente usate, allo stesso modo sono necessarie al pornodipendente rappresentazioni sempre più violentemente trasgressive della sessualità allo scopo di conseguire il medesimo gradiente di soddisfazione fisio-psichica.

2. Che la società abbia tollerato e la magistratura nel suo complesso si sia disinteressata della dilatazione impressionante del fenomeno, che ha sfruttato come attori migliaia di giovani femmine e maschi, e che ha inquinato la fruizione riservata della sessualità, violando sconsideratamente la sfera dell’intimità e della riservatezza sessuale, si spiega con l’oscuramento del sentimento di umanità di cui ogni uomo e ogni donna è portatore.

Gli episodi disgustosi apparsi sulle cronache nelle ultime settimane, che si accompagnano alle manifestazioni sempre più volgari di disprezzo della dignità degli altri, soprattutto da parte di ragazzi in giovanissima età; alle violenze ai danni delle donne; alle vessazioni motivate da pulsioni sessuali; alle uccisioni delle compagne e delle ex compagne per opera di persone talora dotate di un background scolastico non minimale né prive di risorse economiche, si possono spiegare soltanto con il processo di radicale disumanizzazione di cui è vittima l’intera società occidentale, prima logorata sul piano culturale da dottrine ostili alla razionalità e all’ordine dell’essere, poi aggredita dallo sfrenato economicismo capitalistico che ha fatto della dignità umana e della sessualità uno strumento per lucrare profitti economici enormi, pervertendo la coscienza.

Il segno più evidente dell’offuscamento del sentimento di umanità è l’aggressività reciproca all’interno dei gruppi microsociali, soprattutto nelle relazioni familiari e nelle minuscole reti sociali formate sul modello di comunità di interessi.

Se l’umanità è la disposizione dell’animo che induce gli uomini ad aiutarsi reciprocamente, secondo la massima di Giambattista Vico (1668-1744)[2], la conflittualità esacerbata tra il maschio e la femmina e, poi, all’interno dei nuclei familiari e microsociali, tra i vari membri di essi reciprocamente tra loro, è la conseguenza dell’ablazione dalla persona del sigillo di umanità: niente di meno che la cancellazione delle proprietà essenziali della natura di persona.

Vico individua i princìpi dell’umanità nel pudore e nella libertà.

Con sentenza icastica dice che: “Il pudore è la forma dell’umanità, la libertà ne è la materia”[3]. Investigando in cosa consiste il pudore, egli dichiara che: “Il pudore è la coscienza del mal fatto – la prima pena divina inflitta da Dio agli uomini”[4].

La pena naturale è afflittiva, giacché la coscienza del mal fatto provoca l’infelicità; ma per questo è anche inizio della riforma che l’uomo compie in se stesso. L’origine della pena naturale è nell’animo umano: è la sofferenza dell’animo per l’infelicità causata dalla colpa. Poena a poenitendo. L’ufficio della pena naturale è conservare l’ordine della natura nel colpevole. Il principio è la violazione della legge dell’ordine; il fine ha per scopo il ritorno della persona all’interno di tale ordine. Il mezzo è la pena, afflittiva e insieme correttiva. Affligge per correggere. Affligge il colpevole affinché ritorni nell’ordine grazie alla sofferenza dell’animo conseguente alla colpa.

Però il fine correttivo può essere raggiunto fino a un certo punto, fino a che, cioè, il colpevole conservi “un qualche senso di vergogna rispetto all’eterna ragione”[5]. Quando lo perde, la conseguenza è “l’intorpidita e stupida coscienza, od il quasi total spegnimento di ogni senso umano”[6].

Il pudore, come coscienza della colpa, è la fonte del timore di Dio; è l’origine dell’adesione al senso comune; è il motivo del rispetto dell’umanità degli altri; è la premessa della temperanza; è la custodia contro la cupidigia; è la condizione della giustizia che comanda di astenersi da ciò che appartiene ad altri: “Dalla riverenza del senso comune vengono tenute a freno malvagità, impudenza, arroganza, dalla quale nascono tutte le scellerataggini”[7].

Il grande filosofo napoletano ricorda che gli uomini, ammoniti dal pudore, cioè dal sentimento della propria colpa, “si ritrassero con orrore dall’amore ferino e non senza un qualche segno celeste […] destinarono a se spose certe per tutta la vita”[8], perché “la prima generatrice dell’umanità caduta e dell’intera vita civile è la pudicizia”[9]. Dal pudore “il genere umano è stato educato a nascondere le turpitudini e le oscenità della vita”[10]. Il pudore è suscitatore di virtù affinché l’uomo, una volta caduto, riguadagni la forza d’animo per riprendere il controllo della sua mente e del suo corpo[11].

La dissertazione sull’importanza del pudore induce Vico a concludere il Capitolo III del De constantia con una splendida riflessione sulla natura dell’uomo:

“La natura dell’uomo è quella che, lungi dal rendere questo o questo altro uomo lupo all’uomo, prescrive invece che questo o quest’altro uomo sia dio al suo simile. E se tanti e così vari beni non si raccolsero da un unico principio per la salvezza del genere umano, così senza ragione, e non fu per il cieco caso: fu allora per cieca necessità. Se non fu cieca, ma bensì intelligente, non fu nemmeno una necessità, sì invece una provvidenza eterna che dispensa e divide le private cure degli uomini in modo che – talvolta addirittura contro il loro stesso disegno – tornino complessivamente, alla fine, ad esprimere la sua infinità bontà”[12].

Il secondo principio dell’umanità è la libertà. La libertà dell’uomo scosso dalla colpa tende a essere arbitraria e illimitata. Tale forma di libertà è distruttiva, di sé e degli altri. La libertà diventa performante e produttiva di benefici per ciascuno e per tutti quando è moderata dal pudore. Dalla relazione tra la forma del pudore e la materia della libertà scaturisce la libertà naturale, che Vico così definisce:

“La libertà naturale è moderato arbitrio sulle cose utili: allora l’uomo è detto suus, proprio; si dice invece alienus quando si trova in potestà o dominio d’altri. E’ quindi asservito alla natura l’uomo che vive servilmente, venduto al denaro, alla libidine, al falso splendore”[13].

3. Se si riflette sul vulnus antiumanistico del mondo contemporaneo occidentale – che produce frutti avvelenati di odio perverso, di violenza efferata e di disprezzo della dignità e dell’identità stessa delle persone – non è possibile non vedere l’influenza devastante che ha avuto sulla nostra civiltà la filosofia della trasvalutazione di tutti i valori di Friedrich Nietzsche (1844-1900).

Dal progetto nietzschiano è ricaduta su larga parte della cultura occidentale, soprattutto di tipo psicoanalitico e strutturalistico, la brama di espellere dal perimetro della scienza la credenza  che l’animo umano sia qualcosa di indistruttibile ed eterno; di ravvisare nel pudore (rectius, modernamente, nel senso di colpa) la causa del malessere e dell’infelicità dell’uomo: di predicare nella libertà senza pudore la via maestra per la liberazione da Dio e da ogni regola morale.

Per Nietzsche il soggetto individuale è svuotato e spogliato della sua dignità. Non vi è più l’individuo, bensì un ‘dividuum’, poiché “all’interno dell’uomo lottano pulsioni contraddittorie, strutturate in diversi centri di potere, il più potente dei quali governa e soggioga gli altri”[14].

Il soggetto spirituale non sarebbe altro che l’effetto dell’introiezione della pulsione aggressiva e della crudeltà all’interno dell’uomo. La religione cristiana avrebbe costruito una morale ‘contronatura’ per soffocare gli istinti più genuini dell’umanità, la sessualità e la crudeltà, che costituiscono i due perni della volontà di potenza. La religione cristiana si sarebbe approfittata del sentimento di colpa, trasformando l’infermità mentale in una colpa.

Gli uomini moderni, pur avendo perduto la fede religiosa, hanno conservato la sua morale; per Nietzsche occorre andare oltre la morale, in una dimensione extra morale, Al di là del bene e del male[15]. Una élite intellettuale dovrebbe prendere la guida, sperimentando un processo di autocoscienza radicale, in sostanza sfidando Dio e sottraendogli la scienza del bene e del male. In questo processo, tutto ciò che è stato negato e represso, il male, deve uscire alla luce ed essere integrato nella personalità totale, poiché il soggetto è tanto più ricco quante più contraddizioni porta dentro di sé, in un indurimento demoniaco[16].

L’odio contro Dio, accompagnato peraltro dal disprezzo verso la donna, costituisce il nucleo fondamentale del pensiero del filosofo germanico. Tra uomo e donna v’è un “antagonismo abissale”[17], che postula “la necessità di una tensione eternamente ostile”[18]. L’uomo:

“[…] può pensare riguardo alla donna sempre soltanto alla maniera orientale – deve concepire la donna come un possesso, come una proprietà che si può chiudere a chiave, come un qualcosa che è predestinato alla servitù e che si perfeziona in essa – egli deve, a questo punto, fondarsi sull’immensa ragione asiatica, sull’asiatica superiorità dell’istinto”[19].

L’odio contro Dio è il tema dominante dell’intera opera del teorico della morte di Dio. Tra le innumerevoli pagine che si potrebbero citare, mi limito a ricordare la conclusione de L’Anticristo[20], che fu l’ultima sua opera, finita di scrivere a Torino il 30 settembre 1888, tre mesi prima che egli precipitasse nell’abisso della follia, quando il 2 gennaio 1889 nella via Po della Città si gettò in ginocchio ad abbracciare il cavallo che trainava una carrozza: da lì non si mosse fino a che non venne trasportato con la forza in ospedale[21].

Tralascio gli insulti alla persona di Gesù Cristo Nostro Signore, che vennero censurati perfino dall’Archivio Nietzsche e furono resi noti, per la prima volta, nel 1931[22].  

Mi limito a menzionare qualche tratto dell’ultimo capitolo, che precede la scrittura di una divisata Legge contro il cristianesimo:

“La Chiesa cristiana non lasciò nulla intatto dalla sua corruzione, di ogni valore fece un non-valore, di ogni verità una menzogna, di ogni probità una bassezza d’animo […] Per esempio visse di miserie, creò miserie, per eternare se stessa […] Essa fece della humanitas una contraddizione di sé, un’arte di rovinare se stessi, una volontà di mentire a ogni costo, un disprezzo e una ripugnanza contro tutti gli istinti buoni e onesti! Queste sarebbero per me le benedizioni apportate dal cristianesimo! – Il parassitismo come unica pratica della Chiesa; la Chiesa che coi suoi ideali anemici, coi suoi ideali di «santità» succhia dalla vita tutto il sangue, tutto l’amore, ogni speranza; l’«aldilà» come volontà di negare ogni realtà; la croce come segno di riconoscimento per la più sotterranea congiura che sia mai esistita – congiura contro la salute, la bellezza, il benessere, la bravura, lo spirito, la bontà dell’anima, contro la vita stessa!”[23].

4. La presenza di Nietzsche è evidente nella storia della psicoanalisi, a cominciare dal suo fondatore Sigmund Freud (1856-1939) per finire con l’antiumanesimo di Jacques Lacan (1901-1985), che si può assumere come momento terminale della dottrina.

E’ stato rilevato che molte nozioni di Nietzsche connotano fortemente la dottrina di Freud; in particolare, per quel che riguarda l’oggetto di questo scritto, il presunto carattere patogeno della morale occidentale e della religione, nonché la tesi che la cura dell’infermità mentale consista nel superamento dell’idea del bene e del male[24].

Il nucleo della psicoanalisi di Freud consiste nel liberare gli uomini dal senso di colpa che germina dall’essersi liberati del padre con il suo assassinio. Il processo della ragione che caratterizza il metodo psicoanalitico è diretto a far comprendere agli uomini che non debbono provare alcuna colpa per essersi liberati del padre, perché questa è la legge della vita: eliminare chi sta sopra di sé per porsi a sua volta alla testa della piramide.

Ciò significa, però, secondo Ignacio Andereggen; di aver realizzato la condotta malvagia di aver eliminato il padre: “il ricordo di questa eliminazione rimane. Questa è la presa di coscienza che deve compiersi ogni volta e in una maniera interminabile”[25].

La prospettiva metafisica di Freud nega esplicitamente che la vita umana abbia alcuna finalità; la natura umana si evolve grazie alla morte, che è il fine della vita, cioè il ritorno allo stato originario, allo stato inorganico della materia[26].

Lacan, che propose il ritorno a Freud contro la presunta deviazione della psicoanalisi dal suo spirito rivoluzionario, per essere stata  approssimata agli schemi della psicologia tradizionale, nega radicalmente la stessa interpretazione sostanzialistica dell’incosciente. L’incosciente non è il ‘soggetto’ che sta sotto la maschera. In realtà non vi è soggetto. L’incosciente è esteriore all’uomo, poiché tutto è esteriorità e superficie, è ‘existente’ e non ‘subsistente’[27]. In realtà, togliendo l’ «io» alla morale, la si priva di un colpevole, nel tentativo di liberare gli uomini dalle conseguenze negative del sentimento di colpa tramite la presa di coscienza che l’ «io» non è centrale nell’agire e, che pertanto, non sussiste una vera responsabilità per il comportamento tenuto[28]

5. Lo psicoterapeuta di denominazione religiosa cristiano-ortodossa Jean Claude Larchet ha mostrato le analogie di alcune malattie mentali con le infermità spirituali dell’  «io» che rifiuta di ascoltare la voce della coscienza, calpestando il pudore per non sentire il suo pungolo alla conversione di vita[29].

L’esposizione seriale alle rappresentazioni pornografiche ferisce la facoltà immaginativa, che cessa di essere ponte tra l’uomo e le cose. Lo rinchiude in una prigione in cui immagini fluide si sostituiscono alla realtà a causa di una specie di simbiosi che esiste tra esse e l’immaginazione, giacché l’una e l’altra si eccitano reciprocamente[30].

L’intelligenza e la ragione immaginativa elaborano una illusione parodistica della realtà, tanto più consistente e assorbente quanto più corrisponde ai desideri e alle passioni suscitate nella persona. Su questa strada le passioni guadagnano sempre più terreno, scalfendo la razionalità umana[31].

Il discorso cristiano, che Vico ha rappresentato nelle sue opere giuridiche e filosofiche, è completamente rovesciato dalla psicoanalisi, che si è fatta col tempo psicologia rozza e banale.

Per Vico il pudore, cioè l’infelicità per la colpa, è il punto di partenza del percorso di perfezione dell’uomo per superare  le pulsioni bestiali della sua natura ferita, ma non distrutta, e, quindi, capace, con il conato dell’animo, di guidare la sua libertà personale verso fini di giustizia e di solidarietà con gli altri.

Le tendenze prevalenti nel pensiero psicologico contemporaneo ravvisano nel pudore la causa dell’infermità mentale e dell’infelicità. Esaltano strumentalmente la libertà come autodeterminazione assoluta, arbitraria e illimitata, in vista del conseguimento di soddisfazioni contingenti sul piano fisico e psichico, ma negano teoreticamente che la persona sia libera, definendone lo statuto come di un ‘non-soggetto’, incapace di conferire un senso alla sua libertà.

6. Vi è chi ha interpretato l’indegna serie di condotte di coloro che consegnano anche la sessualità delle proprie mogli o compagne alla soddisfazione lubrica di un numero indeterminato di soggetti quale “un rito sessuale clandestino che suona come un grido di vendetta contro il mondo erotico femminile”[32]. Se non posso non sentirmi “vicino” alle donne violate nella loro dignità per questi comportamenti ignobili, come osserva nel seguito dell’articolo Dacia Maraini, non ritengo tuttavia che le analisi compiute sul filo del discorso discriminazionista siano adeguate a comprendere la natura e la gravità del fenomeno che è stato scoperchiato dalle indagini di polizia nelle ultime settimane.

Invero, l’isolamento anarchico e autoreferenziale della persona, nell’ambito di un progetto di autodeterminazione assoluta, ove colpa e responsabilità sono cancellate, costituiscono la causa profonda della fenomenologia nichilistica di cui le cronache stanno incessantemente parlando. Di questa solitudine esistenziale anche gli uomini carnefici sono vittime, giacché, per l’addiction alle pratiche pornografiche, essi hanno spento in se stessi il senso di umanità.

Nulla è più tragico della scomparsa in atto della propria umanità. Resta l’humanitas in potentia. Ma in qual modo la potenza potrà essere risvegliata e diventare attuale se la cultura continuerà a insegnare agli uomini, ma anche alle donne, che il vero rimedio per la restaurazione dell’ «io» – la coscienza che la colpa provoca solitudine, aggressività, disprezzo verso gli altri e financo verso i propri compagni di vita – è, invece che un rimedio, la causa reale della loro infermità.

Che si continui, dunque, a negare la sostanzialità dell’ «io», a rigettare la distinzione tra il bene e il male e a sospingere tutti all’esplicazione della propria autodeterminazione arbitraria, purché ciò lo si faccia senza discriminare alcuno!

Non ci si avvede dell’intrinseca contraddizione di un simile asserto, poiché la discriminazione ingiusta è conseguenza inevitabile di una libertà assoluta e definalizzata, non di una supposta intrinseca malvagità maschile ereditata dalla tradizione cristiana. La discriminazione odiosa è il frutto dello spegnimento della coscienza. E’ il rifiuto di rimuovere la causa della colpa, coltivando la propria volontà di potenza.

Né può sfuggire la contraddizione tra la configurazione teoretica di un «io» marionetta, privo di coscienza e di libertà o, addirittura dell’inesistenza dell’  «io», sostituito da un «non io», vagamente costruito sui frammenti delle cose, e l’esaltazione sociologica e la conseguente assegnazione normativa a tale “non soggetto” di una libertà assoluta e definalizzata.

I maîtres à penser che dominano l’universo mediatico nelle riviste patinate, nelle pagine culturali dei quotidiani, nel cinema e nella televisione non si rendono conto che le loro sofisticate argomentazioni sulla desostanzializzazione dell’«io» e della sua coscienza, nonché sul ‘diritto’ anomico alla libertà non possono non divenire, tradotti nel linguaggio triviale dei ‘social’, esaltazione ferina della prevaricazione e della discriminazione. Serialmente e meccanicamente ripetendosi le parole oscene, la loro evocazione diventa oggetto di imitazione poietica con la pratica distruzione della dignità degli altri, soprattutto, ma non soltanto, delle donne, ma anche delle persone più fragili e vulnerabili. Sembra essere divenuto normativo il programma di Nietzsche, che la psicologia, come:

“teoria evolutiva della volontà di potenza”[33], dovrebbe assumere “le passioni dell’odio, dell’invidia, della cupidigia, della brama di dominio come qualcosa di fondamentalmente e originariamente indispensabile alla complessiva economia della vita […] lasciandoci risolutamente dietro la morale, calpestiamo, schiacciamo, forse, così facendo, i nostri stessi residui di moralità”[34].

7. Se mi disgustano oltre ogni dire gli episodi sciagurati di cui ci informano le cronache, neppure mi soddisfa la dilatazione quantitativamente opprimente dei dettagli delle prevaricazioni, perché la ripetizione del male nella sua assordante loquacità induce a ritenerlo ‘normale’. Né mi soddisfano i commenti pseudo-moralistici di molti editorialisti, perché spesso non procedono all’esame delle cause, ma si limitano a una descrizione fenomenologica dei fatti.

Le cause stanno in una cultura e in un diritto che hanno smarrito i princìpi a fondamento dell’umanità: il pudore, quale monito della coscienza che angustia il soggetto per il male della colpa compiuta, e la libertà, guidata dal pudore della coscienza e dalla riflessione razionale sui fini della condotta umana.

Soltanto la verità ci fa liberi[35].

La massima liberale ‘tutto è lecito, anche il compimento del male, purché non provochi danno agli altri’ è intrinsecamente falsa, come rivela l’esperienza. Vendersi al denaro o alla libidine logora e spegne la coscienza: e i suoi effetti sono l’odio, la prevaricazione, lo sfruttamento degli altri.

Insegna Vico nella Scienza Nuova che le Nazioni tutte, quantunque per immensi spazi e tempi tra loro divise, passarono nei tempi oscuri dalla barbarie alla civiltà osservando “questi tre umani costumi: che tutte hanno qualche religione, tutte contraggono matrimonj solenni, tutte  seppelliscono i loro morti: né tra nazioni quantunque selvagge, e crude si celebrano azioni umane con più ricercate cerimonie, e più consagrate solennità, che religioni, matrimonj, e seppolture[36].

Il nostro mondo, pur così prodigiosamente ricco di ricchezze materiali e di risorse tecnologiche, si è infierito di nuovo. Religione, matrimonio, famiglia e tradizione – le sepolture di cui parla Vico sono la memoria viva della tradizione – sono calpestati e derisi, anzi, sono maledetti per essere la causa dei mali che non si possono più negare o nascondere!

I cantori della postmodernità trovano che la barbarie sia lo stato normale di vita, salvo accorgersi, di tanto in tanto, quando la barbarie colpisce qualcuno in modo efferato, che occorre punire con la legge penale i responsabili dei fatti più disgustosi, non rendendosi conto di quanto essa sia inefficace nel contesto sociale attuale, giacché il motore delle condotte indegne è lo spegnimento del pudore nella coscienza umana: e per risvegliarlo la legge penale è impotente.

Affinché il nostro mondo non marcisca nella rinnovata barbarie occorre riorientare la libertà secondo il modello razionale che ravvisa nella naturale socievolezza il segno evidente che gli uomini e le donne debbono aiutarsi reciprocamente, non separarsi come fiere feroci nella loro proclamata autosufficienza. Onde, come è cosa pessima ‘odiare’ le donne, neppure è cosa buona rappresentare in guisa di mostro l’umanità maschile.

Mauro Ronco


[1] L’inerzia della magistratura fu alla fine recepita dal legislatore il quale con d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, a fronte della disapplicazione della norma, sostituì, per le ipotesi-base di tale reato, la sanzione amministrativa pecuniaria alla pena.

[2] G. Vico, De constantia iurisprudentis, Cap. II, Sui princìpi dell’umanità, in Opere Giuridiche. Il diritto universale, introduzione di Nicola Badaloni, a cura di Paolo Cristoforini, Firenze, 1974, 400.

[3] Ibidem, 402.

[4] Ibidem.

[5] G. Vico, De Uno Universi iuris principio et fine uno, in Opere giuridiche, cit., Cap. 69, 86.

[6] Ibidem.

[7] G. Vico, De constantia iurisprudentis, cit., 404.

[8] Ibidem, 406.

[9] Ibidem.

[10] Ibidem.

[11] Ibidem.

[12] Ibidem, 410.

[13] Ibidem.

[14] Così, M.F. Echavarría, La psicología antihumanista y posmoral de F. Nietzsche y su influencia en el psicoanálisis, in Aa.Vv., Bases para una Psicología Cristiana. Actas de las Jornadas de Psicología y Pensamiento Cristiano, Buenos Aires, 2005, 120.

[15] F. Nietzsche, Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell’avvenire, Trebaseleghe (Pd), 2022.

[16] F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, cit.,30-54.

[17] Ibidem, 156.

[18] Ibidem.

[19] Ibidem.

[20] F. Nietzsche, L’Anticristo. Maledizione del cristianesimo, edizione integrale con un’introduzione di E. Förster-Nietzsche, inR. Bicicchi,(a cura di), Binasco (MI), 2024.

[21] A. Verrecchia, La catastrofe di Nietzsche a Torino, Torino, 1978.

[22] Furono rese note da J. Hofmiller, Nietzsche “Süddeutsche Monatshefte”, vol. 29, 1931; notizia tratta da L’Anticristo, op. cit., 35, n. 18.

[23] F. Nietzsche, L’Anticristo, cit., 84.

[24] Cfr. M.F. Echavarría, La psicología antihumanista, cit., 142.

[25] I. Andereggen, El psicoanálisis de Freud en Tótem y Tabú, in Aa.Vv., Bases para una Psicología Cristiana, cit., 106.

[26] Ibidem, 105.

[27] Cfr. M.F. Echavarría, La psicología antihumanista, cit., 147.

[28] Ibidem, 151.

[29] J. C. Larchet, L’inconscio spirituale. Malattie psichiche e malattie spirituali, Cinisello Balsamo, 2006; Id., Terapia delle malattie spirituali. Un’introduzione alla tradizione ascetica della Chiesa ortodossa, Cinisello Balsamo, 2014.

[30] Così. G. Tabossi, Los Desórdenes psicopatológicos según los padres de la Iglesia, in Aa.Vv., Bases para una Psicología Cristiana, cit., 70.

[31] Ibidem.

[32]  Così D. Maraini, in Corriere della sera, 20 settembre 2025, 35.

[33] F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, 31.

[34] Ibidem,31, 32.

[35] Gv 8, 32.

[36] G. Vico, La Scienza Nuova (1744), in La Scienza Nuova. Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744, in M. Sanna e V. Vitiello (a cura di), Milano, 2012/2013, 895.

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