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Per Marsilio la pax non è affidata a un personaggio inviato dalla Provvidenza per risanare la christiana respublica, ma è una pax solidamente ancorata ai meccanismi di potere», una pace retta e su cui solo poteva reggersi il potere politico del princeps.

  1. La sensazione di compiacimento che comunemente ricorre in quanti si confrontano per la prima volta con i contenuti dottrinali del Defensor pacis, è da ricondurre senz’altro alla straordinaria modernità, innovatività ed avanguardia teorica di quest’opera, nelle cui maglie Marsilio ha saputo intrecciare la quasi totalità delle sue più geniali intuizioni filosofiche. E non a caso, come acutamente fatto osservare dal Battaglia, molti studiosi si sono spinti a scorgere nel Padovano «il precursore delle più audaci teoriche dei tempi moderni, colui che addirittura getta le basi ideali e dottrinali degli aspetti sociali e politici ottocenteschi, se non proprio novecenteschi»[1]: il procedimento di produzione normativa e il rapporto tra lex civilis e lex divina; la separazione duale di potere legislativo ed esecutivo e il sindacato del primo sull’attività del secondo; il sistema elettivo e rappresentativo e  la nozione di sovranità popolare, unica ed indivisibile; la radicale messa in discussione di privilegi, immunità e altre prerogative esclusive all’epoca riconosciute alla Chiesa e il riconoscimento del primato della coscienza; la distinzione tra diritto e morale e il volontarismo giuridico. Si tratterebbe, insomma, di un pensatore che, quasi distaccandosi dal suo tempo, anacronisticamente «infrange ogni condizionate necessità, nel puro pensiero antevede nuovi sviluppi, tendenze nuove imprime alle istituzioni, donde nasceranno, attraverso la prassi conciliare, la Riforma e la Rivoluzione francese, gli assetti in cui i nostri padri vissero e noi stessi per molti versi viviamo»[2]. Ma Marsilio è stato anche, per altrettanti importanti aspetti, un fedele interprete, un sicuro protagonista, un attento analista delle vicende politiche del suo tempo, radicato nel tessuto della cultura e della società del Trecento, età cruciale, in cui il vecchio Continente andava sperimentando, accanto all’organizzazione sociale tradizionale e alle tradizionali istituzioni dell’Impero e del Papato, nuovi assetti istituzionali, sociali e politici: «Non è quindi da parlare di un distacco tra il Defensor pacis e il suo ambiente, in quanto il sistema si lega a tutto lo sviluppo del pensiero medievale, si illumina in esso e in esso si intende»[3].
  2. Nato a Padova tra il 1284 e il 1287, entra al servizio di Matteo Visconti e di Cangrande della Scala tra il 1315 e il 1320, intraprende poi, senza concluderli, gli studi di teologia, e successivamente si dedica allo studio e alla pratica della medicina. Nel giugno del 1324 conclude la composizione del Defensor pacis, opera per la quale condivide la responsabilità ideologica, se anche non compositiva, con Giovanni di Jandun. La censura che colpisce l’opera, la scomunica e le condanne comminate dal pontefice Giovanni XXII nel 1327 accomunano i due maestri, contribuendo a diffondere l’immagine di Marsilio averroista e del Defensor pacis come l’opera in cui trovano espressione i principi del cosiddetto averroismo politico. Entrambi trovano rifugio presso la corte di Ludovico il Bavaro, che seguiranno anche in Italia nel 1327. Negli ultimi anni della sua vita (probabilmente tra il 1340 e il 1342) Marsilio compone il Defensor minor, in cui riprende e sviluppa temi presenti nel Defensor pacis, manifestando alcuni punti di dissenso nei confronti di autori a lui contemporanei, tra i quali, probabilmente, Guglielmo d’Ockham. Morirà a Monaco di Baviera tra il 1342 e il 1343.  Marsilio ebbe modo di confrontarsi precocemente con la turbolenta vita politica della sua città, all’epoca piccolo Stato autonomo, governato da una ristretta aristocrazia mercantile e lacerato da un’endemica conflittualità tra fazioni, minante alla base le condizioni stesse di una pace civile stabile e duratura. L’esperienza diretta a contatto con le difficili vicende politiche padovane, dunque, unita all’affermarsi inarrestabile dei regimi signorili in gran parte dei comuni dell’Italia settentrionale, contribuì a radicare nel Nostro la convinzione della necessità di istituzioni civili stabilmente sottoposte al governo di un potere forte, accentrato, superiore alle partes, convinzione che avrebbe trovato esplicita formulazione nella prima “Diccio”del Defensor pacis.
  3. Sono invero molteplici i tratti della teorizzazione di Marsilio rinvianti ad aspetti cruciali della sua formazione filosofica, intessuta di elementi propri della tradizione aristotelica “radicale”, i cui esponenti più illustri orbitavano, all’epoca, proprio intorno agli ambienti accademici di Padova e Parigi, i cui “Studi” vantavano tra l’altro rapporti eccellenti, come dimostrato dalla circolazione di numerose opere, dalla corrispondenza tra gli studiosi, oltre che da due fatti degni nota: a Parigi aveva completato la sua formazione il celebre fisico e filosofo “patavino” Pietro d’Abano, il cui commento ai Problemata di Aristotele sarebbe stato fatto circolare negli ambienti intellettuali parigini proprio ad opera di Marsilio, durante gli anni del suo rettorato; nella Parigi dell’epoca operava altresì Giovanni di Jandun, filosofo averroista divenuto, come detto, stimatissimo amico del Nostro, anche in ragione dei comuni interessi filosofici e politici. Ma il soggiorno parigino sortì importanti effetti sulla formazione culturale di Marsilio anche per le esperienze di contatto diretto con il potere politico all’opera nella capitale francese. Il Trecento si era aperto significativamente con il conflitto tra Bonifacio VIII e il re di Francia: il Papa aveva subito una pesante umiliazione personale e, pochi anni dopo la sua morte, nel 1308, il nuovo papa Clemente V avrebbe trasferito la propria sede ad Avignone, sotto l’influenza di una monarchia che già da tempo lavorava al ridimensionamento delle pretese ierocratiche del Pontefice, in vista della creazione di uno Stato forte, centralizzato ed assoluto, e perciò capace di assicurare, agli occhi del Nostro, una pace “civile” stabile e duratura. In questo clima rovente, Marsilio, accusato di eresia insieme a Guglielmo da Occam, si sarebbe difeso dagli attacchi del papa Giovanni XXII (1316-1334) mettendosi sotto la protezione dell’imperatore Ludovico il Bavaro, il quale nel 1324, con il “Manifesto di Sachsenhausen”, aveva accusato il Papa di essere “nemico della pace”, fomentatore di discordie, amministratore infedele dei tesori fruttati dalla crociata, usati per muovere guerra al popolo cristiano. In ragione di ciò, Ludovico osava appellarsi al “vero” corpo sovrano della Chiesa, quel Concilio generale che avrebbe dovuto ristabilire l’ortodossia delle dottrine cattoliche ed eleggere un nuovo Pontefice, dopo la deposizione dell’eretico regnante. Assunti questi, tutti fedelmente trasposti nel Defensor pacis, la cui redazione proprio a Parigi e proprio nel 1324, veniva ultimandosi, con tanto di dedica dell’interra opera, neanche a dirlo, a favore proprio di Ludovico il Bavaro.
  4. Marsilio muove infatti dall’idea che tutti gli uomini desiderano naturaliter ottenere una “vita sufficiente”, fine che spinge gli uomini ad associarsi in consorterie umane di varia natura e dimensione, che assurgono a differenti gradi di perfezionamento della vita “civile”. Nonostante tale innato desiderio richiami alla mente la naturale inclinazione alla “socievolezza” di aristotelica memoria, nel Defensor tuttavia manca l’insistenza sul carattere finalistico di tale tendenza, sostituita dall’osservazione della natura tutta “fisica” del bisogno umanissimo della “vita sufficiente”. E proprio la natura, ultimamente istintuale, e dunque potenzialmente conflittuale, di tale bisogno rischia di minare alla base l’esistenza stessa della società, dissolvendo l’unità del corpo politico. Da qui la necessità di istituzioni di “governo” che assicurino la salvaguardia della “pace sociale”, unica ed universale forma di relazione interumana capace di assicurare il funzionamento della vita associata. A questo punto segue l’analisi delle diverse cause idonee a consentire l’instaurazione e la conservazione, piuttosto che la distruzione, della pace, e ciò a prescindere dalla possibile formulazione di un supremo principio ordinatore che non sia completamente assimilabile alla voluntas dei cittadini tutti, volontà finalizzata a realizzare benefici di natura squisitamente collettiva. In tal senso allora, se la pars principans ha il potere di disporre il giusto posizionamento, di organizzare il corretto funzionamento di tutte le partes, in vista del perfetto compimento dei fini posti dalla universitas civium, cionondimeno il governante è considerato pari in dignità rispetto a tutte le altre parti “politiche”, senza alcuna articolazione gerarchica se non quella stabilita dal legislatore stesso. Il Padovano fa poi osservare come il “legislator” e la “pars principans” siano le sole autorità competenti e definire l’assetto dei rapporti civili mediante la lex umana, laddove la “legge divina”, costituita in vista del godimento della beatitudine eterna, deve essere considerata applicabile da Dio solo, nell’imperscrutabile giudizio cui alla fine dei tempi saranno sottoposti tutti gli uomini. Ma la giurisdizione avente ad oggetto tutti gli atti umani, di qualsiasi genere e natura, spetta sempre e solo all’autorità unica e indivisibile del “governante”, i cui poteri incontrano il solo limite delle leggi positive istituite dall’universitas civium. Anche la “legge naturale”, considerata dai teorici aristotelici prima e dai giusnaturalisti poi, come fondamento e criterio della “giustizia”, è per Marsilio soltanto l’esito di una deliberazione del legislatore fatta alla luce di ciò che tutti gli uomini reputano “onorevole ed osservabile”, ma sempre pensata nella sua concreta funzionalità ed utilità civile. Così piuttosto che fondare la teoria della legge sul canone tradizionale della “legge naturale”, il Defensor fa coincidere la norma fondamentale della giustizia con l’assetto dispositivo capace di assicurare la convivenza e la reciprocità tra le varie parti della civitas. In tal modo il centro di gravità di tutto il sistema politico marsiliano viene ad essere identificato nel “legislatore”, che diversamente da quanto teorizzato da un altro, risalente filone dottrinale, viene distinto dal “governante” e fatto coincidere con il “corpo” sovrano, che ha il potere cioè di emanare comandi validi indipendentemente da qualsiasi altra volontà extrapolitica. Diviene allora qui esplicita la preferenza accordata dal Nostro ad un modello di organizzazione politica in cui ogni cittadino può in qualche misura partecipare all’esercizio del potere ordinante la vita civile secondo la propria capacità. Anzi, sarà proprio l’attitudine a discernere di ciò che è “buono e vantaggioso” per la collettività, a divenire criterio utile all’identificazione dei cittadini appartenenti a quella che Marsilio qualificava come valentior pars, la sola in grado di fissare il contenuto normativo della lex, essendo i cittadini che ne fanno parte rivolti naturalmente all’acquisizione del “bene comune”, intendendone i contenuti meglio di quanto possano fare i singoli, normalmente interessati al conseguimento del loro proprio vantaggio particolare. All’universitas civium invece, spetterà il potere di controllo sull’intera attività del corpo politico, la sovranità nell’accezione moderna del termine cioè, senza che residui spazio alcuno all’esercizio di poteri civili da parte dell’ordine sacerdotale, tema quest’ultimo intorno al quale si snoda l’argomentazione teorica di tutta la seconda Diccio del Defensor pacis.
  5. Qui Marsilio, infrangendo l’idea di un’autorità che, provenendo direttamente da Dio, si trasmette alla maestà del Pontefice e da questi ai sacerdoti, parifica la condizione dell’universitas fidelium a quella della universitas civium, negando la superiorità della parte sacerdotale sul tutto della comunità ecclesiale: i sacerdoti, infatti, sono destinati all’amministrazione dei sacramenti, come anche all’interpretazione e predicazione della Parola, essendo stati dotati da Dio dei carismi necessari all’espletamento di dette attività. Ma essi non possiedono, né dovranno mai possedere potere coercitivi e anzi, predicando la lex perfectionis, dovranno essi stessi assurgere a modello di tale paradigma, rinunciando ad ogni ricchezza o agio mondano, in coerenza con il contenuto autentico del dettato evangelico. Negando poi ogni fondamento alla pretesa necessità di un governo monarchico della Chiesa, Marsilio si spinge a dichiarare il primato del Concilio che, ispirato dallo Spirito Santo, è abilitato a definire i contenuti della legge cristiana, ad eleggere il Papa, a deporlo nel caso di necessità e a limitarne l’autorità. Dal momento poi che le molteplici universitas civium, che, militando sotto le medesime insegne cristiane, confluiscono nell’unica universitas fidelium, potrebbero trovarsi a confliggere quanto all’eventuale convocazione dello stesso Concilio, nel Defensor vienelasciato intendere che l’”Impero” – “humanus fidelis legislator, supremus, universalis, primus” –potrà convocare il Concilio, eleggere un nuovo Pontefice e renderne esecutive tutte le deliberazioni attinenti la materia di fede.
  6. Ed è proprio nell’analisi, puntuale e articolata, degli assetti costituzionali fondanti l’articolazione del potere politico nell’età comunale che va forse cercata la modernità di Marsilio, quando cioè «coglie e proclama il principio della sufficienza statuale, disintegrando lo Stato dalla Chiesa, ad esso soggetta, e definendo l’ambito delle leggi dell’uno e dell’altra; quando afferma la concezione veramente ardita del legislator humanus quale fonte unica dell’imperium statuale, adombrando così il concetto dell’unità dello Stato definito nel suo momento essenziale, quello della manifestazione della volontà»[4]. Il che poi non è altro dal teorizzare le due capitali nozioni di “sovranità popolare” e “laicità delle istituzioni politiche”, tratti a ben vedere fondanti la fisionomia dello Stato moderno, la cui intuizione, nelle grandi linee, costituisce «il titolo di gloria di Marsilio, che non solo gli consente l’audace visione della sua politica ecclesiastica, ma lo colloca tra i precursori dello Stato moderno con Machiavelli, Bodin, Hobbes»[5]. Non sono mancati tuttavia teorici agguerriti, del calibro di De Lagarde[6] e di Passerin d’Entrèves[7], che hanno appuntato i loro maggiori rilievi critici proprio intorno alle summenzionate nozioni cardine di “sovranità popolare” e “laicità delle istituzioni politiche”, o mettendo radicalmente in discussione la presunta centralità rivestita da esse nell’economia del Defensor pacis, ovvero ridimensionando la pretesa innovatività di detta operarispetto ad elaborazioni dottrinali ad essa coeve. Invero, il sistema del Defensor pacis sembra anticipare «le dottrine circa sacra delle monarchie illuminate»[8], quando insiste non tanto sulla prospettiva ideale, sui ‘fini’ cioè dello Stato, quanto sull’esercizio del potere in senso pieno e forte, sulla potestas coactiva per intenderci, sull’idea di un’autorità sovrana competente a disciplinare la vita ecclesiastica nei suoi soli aspetti mondani, come ogni ulteriore manifestazione esterna della vita spirituale. E questo è indubbiamente un sorprendente elemento di modernità presente in Marsilio, così come moderna appare il richiamo al tema decisivo della pax, diffusissimo nel Trecento, ma che in Marsilio è ben lungi dal rivestirsi di «quella tonalità etico-religiosa che era invece preminente in altre grandi figure del tempo (si pensi a Dante Alighieri, a Francesco Petrarca o a santa Caterina da Siena). Per Marsilio la pax non è affidata a un personaggio inviato dalla Provvidenza per risanare la christiana respublica (come il «veltro» dantesco o il «papa angelico» dei francescani spirituali), ma è una pax solidamente ancorata ai meccanismi di potere»[9], una pax civilis per intendersi, una pace retta e su cui solo poteva reggersi il potere politico del princeps.

Antonio Casciano


[1]               F. BATTAGLIA, Modernità di Marsilio da Padova, in N. Bobbio – A. Checchini (a cura di), Marsilio, cit., p. 100.

[2]               Ibidem.

[3]               Ivi, p. 101.

[4]               E. CROSA, Marsilio da Padova ed il principio della separazione dei poteri, in N. Bobbio – A. Checchini (a cura di), Marsilio, cit., p. 95.

[5]               F. BATTAGLIA, Modernità di Marsilio, cit., p. 104.

[6]               G. DE LAGARDE, La naissance de l’esprit laique au déclin du moyen âge, Tome III,Le Defensor Pacis, Nauwelaerts, Paris-Louvain 1970.

[7]               A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Rileggendo il Defensor pacis, in ”Rivista storica italiana”, LI, 1934. 

[8]               F. BATTAGLIA, Modernità di Marsilio, cit., p. 130.

[9]               G. PIAIA, Marsilio da Padova, in Il contributo italiano alla storia del pensiero – Filosofia (2012), tratto dall’Enciclopedia Treccani on line, all’indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/marsilio-da-padova_(Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Filosofia).

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