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Quella forense è una delle aree di maggiore impatto per le neuroscienze, per il rilievo dei dati neuroscientifici ai fini della costituzione di una valida prova scientifica all’interno del processo, e della conseguente valutazione giudiziaria. I rischi per l’accertamento della responsabilità derivano dall’acritica assunzione di parametri deterministici.


1. Aumenta in modo considerevole l’interesse ai progressi delle neuroscienze[1], un complesso multidisciplinare che analizza i correlati neuronali dei comportamenti umani. Alla base delle teorie neuroscientifiche si colloca il concetto fondamentale, secondo cui i nostri pensieri sono la conseguenza di connessioni sinaptiche, mere immagini cerebrali; di conseguenza, le neuroscienze mirano all’obiettivo di spiegare qualsiasi tipo di fenomeno mentale e di comportamento umano, anche quelli più complessi, unicamente attraverso la comprensione del funzionamento del cervello[2].

L’approccio delle neuroscienze può risultare a un’analisi superficiale figlio della nostra epoca[3], ma invece affonda le radici in tempi più lontani: già dal XIX secolo diversi studiosi avevano mostrato interesse verso la ricerca di un possibile legame tra cervello e comportamento umano, partendo dai risultati delle analisi cerebrali effettuate durante le autopsie. Dalla seconda metà dell’Ottocento emerge in Italia un nuovo concetto di reato, capace di rivoluzionare il paradigma penalistico dell’epoca, sviluppatosi grazie alle tesi di Cesare Lombroso sul delinquente nato. Le teorie di Lombroso si fondano sulla possibilità di interpretare il crimine e ogni manifestazione di devianza attraverso l’analisi del substrato biologico dell’essere umano.

La questione ha rilievo in particolare sulla ricostruzione del nesso causale: “la risposta penale, intesa come extrema ratio, non può prescindere da una copertura scientifica idonea, infatti, dal punto di vista oggettivo, la scienza suffraga la probabilità statistica e logica di una determinata connessione causale”[4].

2.Lo sviluppo delle neuroscienze solleva riflessioni sulle loro ricadute sul comportamento umano, e quindi sui conseguenti riflessi giuridici di esso. Le posizioni si fanno spesso estreme: da una parte, vi è chi ritiene che le neuroscienze segnino il declino delle “obsolete superstizioni” sulla libertà umana[5], dall’altra vi è chi vi vede unicamente una minaccia[6]. Ci si chiede anzitutto se la scoperta del legame tra i meccanismi cerebrali e le nostre scelte faccia venir meno la tradizionale convinzione di essere liberi[7].

La libertà è il fondamento della responsabilità, del merito e del biasimo, della punizione e della retribuzione; le recenti evoluzioni scientifiche sembrano però sollevare dubbi su tale tradizionale visione del mondo. Il libero arbitrio presume che il soggetto agente si trovi innanzi a più azioni e che sia in grado di operare una scelta secondo intenzione, in modo non casuale. Quale visione del mondo è essenziale avere affinché si riscontrino entrambe le condizioni?

Il punto di partenza è la distinzione tra determinismo ed non determinismo; secondo la prima visione il mondo è governato dalle leggi naturali, le quali causano ogni azione e fenomeno mentale, che sfuggono al controllo dell’agente; la visione indeterministica sostiene il contrario. Ma la distinzione che riguarda il libero arbitrio è quella tra chi ne afferma la compatibilità con il determinismo[8] e chi al contrario afferma che la libertà sia impossibile in un’ottica deterministica [9]. Per le difficoltà nel concordare un significato universale alla libertà umana sono aumentate negli ultimi anni le posizioni pessimistiche di filosofi e scienziati, i quali si mostrano scettici di fronte alla possibilità di risolvere la questione, o addirittura affermano che il libero arbitrio è soltanto un’illusione, fornendo come conferma proprio i recenti sviluppi neuroscientifici[10].

3. Il dibattito sollevato intorno alle moderne neuroscienze e al loro rapporto con il diritto penale è acceso, e spazia da argomentazioni di carattere scientifico fino a questioni giuridiche e filosofiche, creando, all’interno di una rete multidisciplinare, una molteplicità di punti di vista. Taluni studiosi si fanno sostenitori di un approccio di carattere rifondativo[11]: ritengono che, alla luce dell’impostazione neuroscientifica, negante, secondo la loro interpretazione, la volontà umana e, in generale, il libero arbitrio, sia necessario rifondare completamente il diritto penale, affinché possa conciliarsi con il nuovo paradigma scientifico; andrebbe quindi abbandonato il concetto tradizionale di responsabilità penale, poiché fondata sulla capacità di agire diversamente posta in capo all’autore al momento del fatto, che in realtà sarebbe inesistente.

La riproposizione del dualismo cartesiano tra mente e corpo, tra materia e anima, tra fisica e metafisica viene esasperata dalle nuove risultanze delle neuroscienze con cui si intende rimodellare anche la dimensione dell’autonomia epistemica propria del diritto. Ciò che viene sponsorizzato non è un’abolizione del diritto penale, quanto piuttosto la sua rifondazione su basi alternative al principio di colpevolezza tradizionalmente inteso, in favore di un modello specialpreventivo pregno di graduale umanizzazione. Si sostiene che tale approccio farebbe diminuire gli errori giudiziari e darebbe maggiori garanzie all’imputato quanto all’accertamento dell’elemento soggettivo del reato.

Altri autori[12], fautori di un approccio di carattere conservativo, ritengono che il paradigma neuroscientifico non giustifichi il sovvertimento degli istituti giuridici tradizionali. Si tratta di studiosi che hanno assunto un atteggiamento scettico nei confronti delle scoperte neuroscientifiche: si contesta la pretesa di analizzare e capire la mente come se si trattasse di una macchina; la validità delle ricerche empiriche volte alla dimostrazione dell’assenza del libero arbitrio; l’inesattezza di un accertamento cerebrale compiuto ex post, per mezzo delle tecniche di neuroimmagine, che non tiene conto dello stato del cervello nel momento esatto in cui è stata commessa l’azione criminale; la necessaria eterogeneità delle scienze giuridiche rispetto a quelle empiriche, la quale non permetterebbe che i risultati di queste ultime possano essere trasposti direttamente sul piano delle prime.

4. Non è auspicabile oggi la radicale rifondazione del diritto penale su basi neuroscientifiche, le quali, come abbiamo visto, non godono ancora di un generale riconoscimento della comunità scientifica; è desiderabile, invece, una collaborazione tra sapere neuroscientifico, processo penale e diritto penale, in vista della costruzione di una decisione del giudice più attenta e completa, nella consapevolezza che l’utilizzo delle neuroscienze presenta comunque dei rischi.

Pensiamo al giudizio prognostico di pericolosità sociale di un soggetto autore di reato: l’eccessiva aspettativa di esattezza del dato neuroscientifico potrebbe persuadere della attendibile prevedibilità se un soggetto autore di reato ne commetterà un altro, e quindi sia da sottoporre a una misura di sicurezza. Si potrebbe arrivare ad analoga previsione anche al di fuori del giudizio, delineandosi all’orizzonte una forma di eugenetica socio-giuridica penalisticamente legittimata, di cui si ignorano la portata e gli effetti.

Un futuro legislatore potrebbe anticipare l’assegnazione di una misura di sicurezza, o meglio di una misura di prevenzione personale, sulla base di una prognosi di pericolosità sociale fondata su caratteristiche biologicamente accertate tramite la conoscenza neuroscientifica, a un individuo, a prescindere dalla effettiva commissione di un reato, dando concretezza a quanto fin qui descritto in qualche film di fantascienza.

Per altri aspetti queste nuove conoscenze potrebbero recitare un ruolo fondamentale nell’accertamento della verità durante un processo. Il processo penale è strutturato in modo tale da tendere al raggiungimento di una verità processuale, cioè una verità che si manifesta nel confronto tra le due versioni opposte che vengono presentate davanti al giudice: vi è la diffusa consapevolezza, che non sempre la verità processuale coincida con quella storica, ossia quella corrispondente alla realtà dell’accaduto. La Corte di Cassazione ha ricordato che ciò a cui può ambire il processo penale è il raggiungimento di una verità processuale, cioè appunto una “verità limitata, umanamente accertabile e umanamente accettabile del caso concreto”[13].

5. In un simile contesto le neuroscienze, con le loro analisi empiriche, potrebbero fornire elementi ulteriori al fine di avvicinarsi se non alla verità storica, quantomeno a una verità processuale il più oggettiva possibile, pur se una tale oggettivizzazione deve guardarsi dal pericolo di passare da una forma di reificazione dell’umano dell’imputato, del quale si potrebbe ultimativamente negare la sfera di libertà dell’agire. Come già accaduto in ambito più strettamente morale[14], le neuroscienze rischiano di “colonizzare” in modo totalizzante la dimensione giuridica in genere, e quella del processo penale in particolare, introducendo nell’ambito del diritto una nuova concezione di libertà: una libertà sostanzialmente condizionata, dunque non realmente “libera”[15].

Il diritto, e con esso il processo penale, sono in grado di fornire risposte plausibili e ragionevole in una prospettiva che rischia di negare, anche quale effetto secondario, la libertà, e dunque la verità ontologica dell’essere, umano che rappresenta l’orizzonte di senso e il fondamento dell’ordinamento giuridico?

Daniele Onori – Aldo Rocco Vitale


[1] Il termine Neuroscienze indica un campo interdisciplinare di studi che si occupa dell’anatomia, della fisiologia, della biochimica, delle patologie del sistema nervoso centrale e periferico, dei suoi effetti sul comportamento e delle esperienze mentali; in questa indagine sono coinvolti molti livelli, da quello molecolare a quello cellulare, a quello dei sistemi intermedi, fino all’insieme di tutte le componenti e dei loro collegamenti.

[2] BIANCHI A., Neuroscienze e diritto: spiegare di più per comprendere meglio, in BIANCHI A./GULOTTA G./SARTORI G. (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, Giuffrè, Milano, 2009, p. XIII 

[3] MUSUMECI E., Cesare Lombroso e le neuroscienze: un parricidio mancato, FrancoAngeli, Milano, 2012, p. 17. 

[4] VALBONESI C., Evoluzione della scienza e giudizio di rimproverabilità per colpa. Verso una nuova tipicità del crimen colposum, Firenze University Press, Firenze, 2014, p. 16. 

[5] GREENE J./COHEN J., For the law, neuroscience changes nothing and everything, cit.; FORZA A., Le neuroscienze entrano nel processo penale, in Rivista penale, 2010, 1, p. 78; MERKEL G./ROTH G., Freiheitsgefühl, Schuld und Strafe, in GRÜN K.J./FRIEDMAN M./ROTH G. (a cura di), Entmoralisierung des Rechts. Maßstäbe der Hirnforschung für das Strafrecht, Göttingen, 2008, p. 77 ss. 

[6] MORSE S.J., New neuroscience, old problems: legal implications of brain science, in Cerebrum, Fall 2004, vol. 6, pp. 33-50. 

[7] Ad es. KANE R.H., The significance of free will, Oxford University Press, Oxford, 1996; BILGRAMI A., Self-knowledge and resentment, Harvard University Press, Cambridge, 2007. 

[8] FISCHER J.M./RAVIZZA M., Responsibility and control: a theory of moral responsibility, Oxford University Press, Oxford, 1999. 

[9] KANE R.H., The significance of free will, Oxford University Press, Oxford, 1996; BILGRAMI A., Self-knowledge and resentment, Harvard University Press, Cambridge, 2007. 

[10] DE CARO M./LAVAZZA A./SARTORI G., La frontiera mobile della libertà, in DE CARO/LAVAZZA/SARTORI, Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio, cit., pp. IX-XI. 

[11] Cfr. ad esempio: GREENE J./COHEN J., For the law, neuroscience changes nothing and everything, cit.; FORZA A., Le neuroscienze entrano nel processo penale, cit., p. 78; MERKEL G./ROTH G., Freiheitsgefühl, Schuld und Strafe, cit., p. 77 ss. 

[12] Cfr. ad esempio: MORSE S.J., New neuroscience, old problems: legal implications of brain science, cit., pp. 33-50; GAZZANIGA M.S., La mente etica, cit. 

[13]  Cass. pen., sez. V, 25.06.1996, Cuiuli. 

 [14] “Una serie di stringenti evidenze sperimentali proveniente dalla neuroendocrinologia, ossia dalla disciplina che studia le interazioni ormoni-cervello, suggerisce che nei mammiferi l’organizzazione neurale attraverso la quale gli individui guardano al proprio benessere fu modificata per stimolare valori nuovi – il benessere degli altri[…]. La morale può essere fondata sulla nostra biologia”, Patricia Churchland, Neurobiologia della morale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2012, pp. 27-232.

[15] “La nostra coscienza soggettiva di libera scelta viene smentita sempre di più dalla nostra conoscenza oggettiva delle cause e delle leggi impersonali che determinano tali scelte le quali mostrano evidentemente che non sono libere come noi le crediamo”, Henri Atlan, Libertà condizionata. Neuroscienze e vita morale, EDB, Bologna, 2017, pag. 47-48.

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