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Nel 1981, una serie di conversazioni alla Radio Bavarese del  filosofo Robert Spaemann (1927-2018) dà origine ad un volume, pubblicato in Italia nel 1993 con il titolo Concetti morali fondamentali. Il volume torna a nuova vita in una traduzione rivista dal titolo: Nozioni elementari di Morale, edita da Cantagalli. Se per la filosofia contemporanea la nostra è un’età postmetafisica in cui natura e realtà sono solo frutto di interpretazioni e prospettivismi, Spaemann risponde mettendo al centro del dibattito la metafisica, il diritto naturale, e la teleologia.

Una delle motivazioni che ci conducono a leggere Nozioni elementari di Morale di Spaemann è di fatto la ricchezza concettuale che emerge gradualmente dalla lettura di questa opera, nel momento in cui si cerca di scendere più in profondità nell’analisi delle affermazioni che le caratterizzano in tono rilevante, indagandone di volta in volta le fondamenta.

L’immagine a cui mi verrebbe da associare il pensiero di Spaemann è, infatti, quella di un iceberg: le tesi sostenute nei suoi interventi pubblici, in occasione di convegni filosofici o sulla stampa, per le quali probabilmente il suo nome è maggiormente noto al lettore di media cultura, rappresentano a mio parere solo la cima emergente di una montagna in realtà molto massiccia, profondamente intrisa delle più importanti influenze filosofiche, le quali, ricavate da epoche diverse lungo l’intero percorso storico del pensiero occidentale, sono state rivisitate da una prospettiva consapevolmente postmoderna e arricchite da elementi di originalità, che le rivestono di un significato nuovo, conforme alle esigenze del pensiero contemporaneo.

In particolare, la filosofia di Spaemann si colloca all’interno della cosiddetta Rehabilitierung der praktischen Philosophie, la scuola di pensiero sviluppatasi in Germania nella seconda metà del ‘900, che si propone di recuperare gli insegnamenti di Aristotele nelle materie etiche e di filosofia naturale.

Le sue riflessioni risultano dunque pregne dello spirito della classicità, che riveste la sua concezione dell’uomo e della realtà di un’unità armonica e fa rivivere il paradigma della riflessione, riconducendo la filosofia al suo compito originario di rispondere alle domande profonde, ma spontanee, che l’uomo si pone nel corso della sua vita e all’interno della propria dimensione culturale.

Sulla base delle sue osservazioni, che si muovono su più campi d’indagine, rispettivamente dall’ambito sociologico, a quello scientifico-naturale e metafisico-morale, Spaemann nota infatti come il rifiuto da parte del pensiero moderno della concezione teleologica in favore di una logica causalistica capace di permettere all’uomo un maggior controllo sulla realtà circostante, abbia invece provocato a lungo andare un effetto contrario, rendendo l’uomo stesso schiavo del proprio processo di funzionalizzazione.

Spaemann vede in questo atteggiamento diffuso, che sembra aver impregnato di sé – seppur in misure diverse – ogni aspetto della vita dell’uomo moderno, il prodotto dello scientismo, ossia di quella corrente di pensiero che esaspera la fiducia  nel metodo scientifico, estendendolo oltre i suoi limiti e applicandolo ad ogni sfera dell’umano, come unico strumento interpretativo possibile.

Nella filosofia greca physis non significava pura oggettività di una materia passiva, ma identità pensata in analogia con l’esperienza che l’uomo fa di sé stesso. E‘ in tale contesto che è nata quella idea di “giusto per natura” che secondo Spaemann oggi occorre recuperare, contestando l’equazione che il pensiero contemporaneo (non diversamente dai Sofisti antichi) stabilisce fra normalità sociale e convenzione. Ciò che è buono, quando si svela, è comune a tutti, è koinon: e proprio questo è il principio che il relativismo odierno rigetta.

Alla luce di queste indicazioni, credo possa essere interessante addentrarsi nel cuore delle riflessioni di Spaemann, per percepire personalmente la dimensione ontologica vitale da lui esposta, a mio parere degna di fornire un ricco contributo all’antropologia e all’etica contemporanea, e per valutare – anche criticamente – se davvero e in quale misura una concezione di tipo metafisico-realista, che pretende di cogliere l’uomo da una rinnovata prospettiva unitaria di tipo classico, sia effettivamente condivisibile agli occhi dell’uomo postmoderno.

Daniele Onori

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