La legge 21 agosto 2022 n. 130 ha previsto una misura di “definizione agevolata” di alcune tipologie di controversie tributarie pendenti in Cassazione, con essenziale finalità di smaltimento dell’ingente contenzioso tributario pendente di fronte alla Corte. La misura, tuttavia, non appare efficace per raggiungere il fine perseguito e occorrono misure strutturali per affrontare i problemi della Cassazione tributaria. È il seguito della riflessione avviata su questo sito lo scorso 20 settembre.
Sommario: 1. La nuova “definizione agevolata” di cui all’art. 5 della l. n. 130/2022: i difetti di formulazione, fonte potenziali di rischi per i contribuenti, “ereditati” dalle precedenti definizioni condonistiche cui è ispirata. – 2. Il ristretto ambito applicativo della nuova definizione agevolata, quale unica, vera novità che palesa il fine (non di fare cassa, ma) di smaltire il contenzioso tributario pendente in cassazione. – 3. I problemi strutturali del giudizio di legittimità in materia tributaria che rendono la nuova definizione agevolata inidonea a conseguire il predetto fine. – 4. Il futuro (auspicato) della sezione specializzata tributaria della Corte di Cassazione prevista dalla recente riforma della giustizia tributaria. – 5. Conclusioni.
1. L’art. 5 della legge di riforma della giustizia tributaria, n. 130/2022, prevede la possibilità di definizione agevolata dei giudizi tributari pendenti dinnanzi alla Corte di Cassazione. Si tratta dell’ultima di una lunga serie di definizioni agevolate delle liti che si sono susseguite nella legislazione degli ultimi anni (art. 16 l. n. 289/2002; art. 39, comma 12 del d.l. 98/2011, che alla precedente pressoché integralmente si richiamava; art. 11 del d.l. n. 50/2017; art. 6 del d.l. n. 119/2018).
Trattasi di una normativa condonistica che può considerarsi ormai consolidata, ma anche stratificata, e questo reca con sé difetti tralatizi che la prassi sembra avere nel tempo assestato, ma che non sarebbe inopportuno risolvere anche a livello normativo.
Vi è infatti, ad esempio, una differenza strutturale tra le definizioni dell’istituto fornite dal legislatore del 2002 e del 2011, per le quali la formulazione legislativa appare maggiormente curata, e le definizioni di cui ai decreti del 2017 e del 2018, cui si ispira la nuova definizione in esame, che sono meno chiare e quindi anche, giocoforza, potenzialmente più rischiose per i contribuenti.
1.1. Si pensi, a titolo esemplificativo, al comma 13 dell’art. 5 l. n. 130/2022 (“La definizione perfezionata dal coobbligato giova in favore degli altri, inclusi quelli per i quali la controversia non sia più pendente, fatte salve le disposizioni del secondo periodo del comma 8”) dove appare priva di significato la clausola di salvezza delle disposizioni del secondo periodo del comma 8, il quale recita che “Per controversia autonoma si intende quella relativa a ciascun atto impugnato”. Tale rinvio poteva avere un senso nel comma 11 dell’art. 11 del d.l. n. 50/2017 (dove si escludevano gli effetti del condono per i coobbligati che avessero avuto sentenza personale negativa passata in giudicato, in conformità ai principi dell’art. 1306 c.c.), ma non in questa sede, dove il rinvio al comma 8 varrebbe a escludere gli effetti del condono per i coobbligati nel caso in cui gli atti siano diversi, ossia nella larga maggioranza dei casi di coobbligazione tributaria.
Sennonché, a un più attento esame si nota che questo passaggio del comma 13 dell’art. 5 della l. n. 130/2022 risulta integralmente “copiato” dall’art. 6, comma 14 del d.l. n. 119/2018 e anch’esso conteneva identico errore, tanto che la stessa Agenzia delle Entrate, in sede di circolare illustrativa (circ. n. 6/E/2019, par. 7.1.1.), aveva dovuto correggere il riferimento come se valesse per il comma 9, a sua volta analogo al comma 9 dell’art. 5 della l. n. 130/2022 (secondo cui, per quanto d’interesse, “gli effetti della definizione perfezionata prevalgono su quelli delle eventuali pronunce giurisdizionali non passate in giudicato anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge”), anziché per il comma 8. Sarebbe stato opportuno che, in sede di nuova normativa, almeno gli errori più evidenti venissero corretti, ma così non è stato.
1.2. Analogamente, è stata mantenuta per il comma 12 dell’art. 5 in commento (“In mancanza di istanza di trattazione presentata dalla parte interessata, entro due mesi decorrenti dalla scadenza del termine di cui al comma 7, il processo è dichiarato estinto, con decreto del presidente. L’impugnazione del diniego vale anche come istanza di trattazione”) una formulazione corrispondente a quella del comma 14 dell’art. 6 del d.l. n. 113/2018 che, letteralmente, potrebbe condurre a ritenere che le controversie astrattamente condonabili ma che mai il contribuente abbia inteso condonare sarebbero comunque estinte qualora egli non abbia presentato istanza di trattazione entro un certo termine. Ciò che produrrebbe conseguenze abnormi poiché, come noto, con l’estinzione del giudizio tributario al di fuori dei casi di annullamento in autotutela o forme di novazione (tra cui quelle della definizione agevolata) “rivive” l’originaria pretesa impositiva.
Solo il coordinamento con i commi precedenti, dove si prevede che il contribuente interessato al condono “possa” (non già “debba”) presentare istanza di sospensione del giudizio, permette una interpretazione razionale, secondo la quale il giudizio si estingue anche al di fuori del perfezionamento del condono solo nel caso in cui il contribuente, che avesse manifestato l’intento di condonare presentando istanza di sospensione del giudizio, ma poi di fatto non abbia condonato o non abbia validamente perfezionato la procedura, non formalizzi poi il suo interesse a proseguire la lite mediante istanza di trattazione.
Anche qua, fu la stessa Agenzia delle Entrate a chiarire che il meccanismo dell’estinzione in caso di mancata presentazione di istanza di trattazione valeva soltanto per i giudizi nei quali era stata presentata istanza di sospensione (cfr. circ. n. 6/E2019), ma non avrebbe guastato prendere atto dell’inadeguatezza della formulazione legislativa e chiarire direttamente in tale sede questo fondamentale aspetto.
1.3. Ancora, il comma 9 prevede tout court che “la definizione non dà comunque luogo alla restituzione delle somme già versate ancorché eccedenti rispetto a quanto dovuto per la definizione stessa”, senza curarsi di far salvi i “casi di soccombenza dell’amministrazione finanziaria dello Stato” come, invece, facevano l’art. 16, comma 5 della l. n. 289/2002 e l’art. 39, comma 12 del d.l. 98/2011. Così, risulterebbe precluso il giudizio d’ottemperanza nel caso in cui il contribuente abbia diritto alla restituzione delle somme pagate a titolo provvisorio e ciò si presta indubbiamente a limitare l’appetibilità della definizione stessa.
2. La vera particolarità della “nuova” definizione agevolata introdotta dal legislatore del 2022 consiste nell’ambito applicativo particolarmente ristretto previsto dalla norma in commento.
Mentre per le altre ipotesi di definizione agevolata delle liti, via via ideate e normate, la soccombenza dell’amministrazione in alcuni gradi di giudizio non definitivi incideva soltanto sul quantum della definizione (che diminuiva più erano i gradi di soccombenza per l’amministrazione e più avanzato era lo stato del giudizio), in questa occasione la stessa incide anche sull’an.
E infatti, a tenore dell’art. 5 della l. n. 130/2022 si possono definire in via agevolata soltanto le cause che, non solo pendano esclusivamente in Cassazione e non anche nei gradi di giudizio di merito, ma con l’ulteriore condizione che l’amministrazione sia risultata soccombente in almeno un grado di giudizio di merito precedente e sempre che il valore della controversia sia contenuto entro certo limiti, peraltro abbastanza ridotti.
Ciò palesa che la finalità principale di questo nuovo istituto è rinvenibile, piuttosto che nel gettito suscettibile di essere ritratto dalla misura condonistica, nello smaltimento del contenzioso tributario pendente presso la Suprema Corte.
È quanto, del resto, espressamente chiarito nella relazione illustrativa al d.d.l. A.S. 2636, poi sfociato nella legge 130/2022, alla pagina 12, dove si afferma la necessità di “incisive disposizioni legislative per la definizione agevolata delle controversie pendenti avanti la sezione specializzata, pur limitandole allo stretto necessario per raggiungere una «soglia critica» di deflazione immediata che consenta, de residuo, l’impostazione di un programma triennale di smaltimento dell’arretrato e di stabilizza zione operativa con ragionevoli probabilità di successo”.
Anche il contesto in cui la norma è stata approvata, cioè la riforma della giustizia tributaria, a sua volta collegata al PNRR, fa comprendere come la finalità sia essenzialmente lo smaltimento dell’arretrato. Veniva previsto, infatti, già al par. 1.2.7. della Parte Seconda del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (pag. 68).
3. È ragionevolmente dubitabile, peraltro, che la nuova disposizione legislativa riesca a ottenere l’obiettivo ricercato, poiché i problemi di pendenza di arretrato anche presso la Suprema Corte sono strutturali e non contingenti, nonostante che la norma in analisi contenga alcuni accorgimenti particolarmente stringenti sull’argomento.
In specie, il comma 15 dell’art. 5 prevede che ciascun ente territoriale “stabilisce” l’applicazione della definizione alle controversie che lo riguardano, il che significa che “deve stabilire” la possibilità di condonare le proprie liti. Mentre negli altri casi l’estensione della definizione alle liti di pertinenza degli enti locali era rimessa alla valutazione discrezionale dell’ente locale stesso (cfr. art. 11, c. 1-bis del d.l. n. 50/2017, art. 6, c. 16 del d.l. n. 119/2018), la presente normativa sembra vincolare gli enti locali a consentire la definizione dei contenziosi che li riguardano, ciò con possibili profili di frizione con i principi del federalismo fiscale e, in ultimo, con gli artt. 117 e 119 Cost.
Se in ogni caso appare assai poco certo che, nonostante le forzature, la nuova definizione agevolata dei contenziosi tributari pendenti innanzi ai giudici di legittimità riesca a conseguire l’obiettivo realmente prefissato di ridurre le pendenze tributarie della Suprema Corte, occorre comprendere le ragioni di tale fenomeno e verificare se vi siano modalità per superarle sì da realmente ed efficacemente concorrere allo scopo di cui s’è detto, ossia lo smaltimento dell’arretrato tributario pendente dinnanzi alla Suprema Corte.
Possono delinearsi almeno due ragioni fondamentali.
3.1. In primo luogo, non può farsi a meno di considerare che una delle parti dei giudizi tributari ricorre sistematicamente in cassazione, perché ha l’avvocato gratis (si passi l’espressione): ciò spiega, e non è un discorso semplicistico, perché il contenzioso tributario in cassazione supera il contenzioso di tutte le altre materie.
I numeri che l’Avvocatura di Stato informalmente divulga attestano una prevalenza delle ragioni erariali in circa il 70% nei processi di ultimo grado.
Se si considera che, secondo i dati (cfr. PNRR, pag. 68, cit.), la percentuale di cassazione delle sentenze di merito si attesta sempre intorno al 50%, lo scarto di circa il 20% a favore delle tesi erariali suscita alcune riflessioni.
Su molti temi (si possono citare, a mero titolo d’esempio, l’asserita inapplicabilità del contraddittorio preaccertativo come principio generale, l’asserita inapplicabilità dell’esenzione dell’IMU sulla prima casa in caso di coniugi residenti in comuni diversi, l’asserita idoneità della notifica di un atto impositivo nei confronti di un condebitore in solido a impedire la decadenza nei confronti di tutti, l’asserita non necessità di motivazione sul rigetto delle osservazioni presentate dal contribuente ai sensi dell’art. 12, comma 7, oltre a molti e gravi errori sistematici come quello che ha ritenuto applicabile la disciplina italiana del reddito d’impresa per le società straniere prive di stabile organizzazione in Italia, ma molti altri esempi potrebbero essere svolti), la dottrina sottolinea da tempo come potrebbero esservi anche soluzioni più conformi a diritto rispetto agli orientamenti assunti negli anni dalla Suprema Corte, sebbene meno favorevoli all’interesse fiscale.
In svariate occasioni, inoltre, la stessa Corte Costituzionale ha dovuto fatto chiarezza su tali questioni, spesso appunto sulla scorta di riflessioni dottrinarie (talora espressamente citate in sentenza, come nel caso della sent. n. 209/2022 sul tema dell’IMU per i coniugi), conducendo a rivedere indirizzi fortemente pregiudizievoli per i contribuenti ma che apparivano consolidati nella giurisprudenza della Suprema Corte.
Appare dunque necessario recuperare a ogni livello, anche giudiziale, serenità nel rapporto tra fisco e contribuenti guardando con reale imparzialità alla pur diversa posizione delle parti in contesa e così essendo più liberi e propensi ad assumere decisioni maggiormente conformi a diritto e a giustizia.
3.2. Sotto un secondo profilo, non è osservazione banale né tralaticia, ma purtroppo realistica e concreta, quella per cui il numero dei giudici addetti al contenzioso tributario in Cassazione appare insufficiente per garantire la ricorribilità di ogni decisione (sul tema, in generale, CSL, Recovery Fund e giustizia, 10 febbraio 2021; CSL, Giustizia e Recovery Plan: se non cambia restano sprechi e inefficienze, 26 aprile 2021).
Da qui la riflessione, che può apparire paradossale: o si modifica la Costituzione, trasformando la cassazione in una corte suprema che sceglie i casi sui quali pronunziarsi (e allora si apre il problema, di complessa soluzione in uno Stato che pone tra i propri principi fondamentali quello dell’uguaglianza sostanziale fra tutti i cittadini, dei criteri di selezione e scelta dei casi da decidere), oppure si prende atto della necessità di aumentare l’organico.
A questo proposito, istituti ideati negli ultimi anni quali lo svolgimento di tirocini da parte di giovani laureati ovvero l’introduzione dell’ufficio per il processo si appalesano inadeguati allo scopo e incapaci di risolvere problemi strutturali del comparto giudiziario, che vengono piuttosto in tal modo “glissati” pensando di poter imbastire un abito esclusivamente con delle piccole toppe.
Per lavorare serenamente e avere tempo di studiare e riflettere adeguatamente sulla soluzione “giusta”, ossia – è bene precisarlo anche se non dovrebbe essere necessario – “conforme a diritto” delle controversie sottopose al suo esame, un giudice non può essere subissato di cause. Ed è parimenti evidente che, per quanto possano costituire valido ausilio ad esempio nella ricerca di precedenti giurisprudenziali o di orientamenti dottrinari, soggetti quali tirocinanti o addetti all’ufficio per il processo mai potranno sostituirsi al giudice persona fisica nello studio approfondito del singolo caso e nella funzione prettamente e propriamente decisionale, a lui solo riservata (cfr., sul punto, F. Farri, Gli Uffici per il processo: un’analisi di (in)efficienza economica, in L-Jus, 2022, fasc. 1, 43 ss.).
Né appaiono risolutive, in tal senso, le novità introdotte dagli altri articoli della legge di riforma della giustizia tributaria n. 130/2022.
In specie, vero è che l’art. 3 della legge prevede l’istituzione di una (formale) sezione specializzata tributaria presso la Corte di Cassazione, avvalendosi della possibilità consentita dall’art. 102, comma 2, secondo periodo Cost., ma niente dispone in merito al suo organico e al suo funzionamento, demandando integralmente le decisioni in materia al Primo Presidente della Corte di Cassazione, peraltro senza fornire alcun criterio e direttiva di massima e, così, ponendo pure dubbi circa l’effettiva soddisfazione della riserva di legge di cui all’art. 108, comma 1 Cost.
Sarebbe stata necessaria, invece, l’istituzione di una vera e propria (ossia sostanziale) Sezione tributaria della Suprema Corte(che, al contrario di quanto strumentalmente affermato da taluni, è in realtà compatibile con la nostra Costituzione), composta da un numero prestabilito di componenti, internamente ripartiti in sottosezioni e con la previsione anche di un’adunanza plenaria di tutte le sottosezioni, che potrebbe tener luogo delle Sezioni Unite per le questioni di rilevanza esclusivamente tributaria (v. in merito, e per l’importanza nel contesto della recente riforma della giustizia tributaria, A. Contrino, La riforma della giustizia tributaria di cui al d.d.l. n. 2636/2022: riforma “suicida” o “gattoperdesca”?, in Riv. telem. dir. trib, 13 luglio 2022).
4. Se l’assetto rimane quello attuale, non si può fare a meno di rilevare come, in futuro, appaia inevitabile una evoluzione nel senso di consentire l’accesso alla sezione specializzata tributaria della Cassazione di magistrati tributari di merito che abbiano maturato pertinenti profili di esperienza e professionalità.
Si produrrebbe, altrimenti, l’illogica situazione in cui a decidere nel supremo grado le controversie in una certa materia sarebbero giudici che mai di quella materia si sono professionalmente occupati. Infatti, con la riforma dell’ordinamento dei giudici tributari, sarà in futuro precluso ai magistrati ordinari di svolgere anche la funzione di giudice tributario di merito, sicché si disperderebbe anche quel grado, pur insufficiente, di continuità che attualmente almeno in parte può esistere tra esperienza di esercizio in materia tributaria delle funzioni giudicanti di merito e di legittimità.
Non appare sufficiente, in tale prospettiva, che tra i compiti del Primo Presidente l’art. 3 preveda anche quello di favorire “l’acquisizione di una specifica competenza” da parte dei magistrati assegnati alla sezione specializzata tributaria, poiché risulta evidente che le competenze per svolgere funzioni giudicanti di legittimità in una materia complessa com’è quella tributaria non si possono acquisire unicamente sui libri o mediante corsi di formazione, ma richiedono una esperienza operativa approfondita sul campo.
Né appare incompatibile con la Costituzione il fatto che possano accedere al supremo organo giudiziario del plesso ordinario magistrati di provenienza di plessi giurisdizionali speciali, come sarà a pieno titolo quello tributario per effetto della riforma. Invero, ciò non avviene per i giudici amministrativi e contabili poiché per le controversie assegnate alla loro giurisdizione la Corte di Cassazione non svolge il ruolo di nomofilachia, posto che – come noto – le sentenze amministrative e contabili non sono soggette al controllo della Cassazione se non per le questioni di giurisdizione (art. 111, ultimo comma Cost.): non si manifesta, dunque, quell’esigenza di maturazione di specifiche esperienze giudicanti dei magistrati di Cassazione che, invece, si è detto essere indispensabile per il tributario nel momento in cui si assoggettano le decisioni del giudice tributario a un controllo pieno di legittimità da parte della Cassazione.
Con l’entrata in funzione a pieno regime della nuova magistratura tributaria, pertanto, risulterà naturale aprire i ranghi della sezione specializzata tributaria della Corte di Cassazione anche e almeno in parte a magistrati di provenienza del plesso giudiziario tributario.
Sarà sufficiente, al riguardo, una modifica legislativa, posto che la riserva di legge di cui all’art. 108 Cost. non assegna specifici contenuti di merito alla normativa in materia di ordinamento giudiziario, lasciando in ciò ampia discrezionalità al legislatore negli ovvi limiti della ragionevolezza, che in questa prospettiva appaiono pienamente rispettati, e posto che le clausole dell’art. 106 Cost. valgono semplicemente a derogare la regola del concorso per l’accesso in magistratura, ma non anche a delimitare i casi in cui, senza derogare a criteri selettivi di carattere concorsuale, possano accedere alla Corte di legittimità anche magistrati provenienti da plessi giudiziari diversi da quello ordinario.
5. La conclusione è, purtroppo, sconfortante: la nuova definizione delle liti pendenti in cassazione di cui all’art. 5 della l. n. 130/2022, appare misura non del tutto idonea a conseguire i fini per cui è stata concepita e sconta significativi difetti di formulazione normativa.
Diversamente da quanto talora si ritiene, le definizioni agevolate e i condoni non sono necessariamente un premio per gli evasori, ma possono avere una utilità strutturale per l’interesse pubblico. A tal fine, tuttavia, occorre dedicare a essi una disciplina adeguata e curata, cosa che non sempre negli ultimi anni è avvenuto.
di Angelo Contrino e Francesco Farri