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Nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha presieduto l’inaugurazione del 94° Anno Giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Nel suo discorso il Papa ha evidenziato che la giustizia non è un’astrazione o un’utopia. Nella Bibbia essa è l’adempimento onesto e fedele di ogni dovere verso Dio, è compiere la sua volontà. La giustizia non è solo il frutto di un insieme di regole da applicare con perizia tecnica, ma è la virtù per cui diamo a ciascuno ciò che gli spetta, indispensabile per il corretto funzionamento di ogni ambito della vita comune e perché ognuno possa condurre una vita serena. La giustizia insomma è una virtù da coltivare mediante l’impegno di conversione personale e da esercitare insieme alle altre virtù cardinali della prudenza, della fortezza e della temperanza. 

Sabato 25 febbraio 2023 all’ inaugurazione del 94º anno giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano il Santo Padre Francesco ha tenuto un discorso (https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2023/february/documents/20230225-annogiudiziario-tribunalescv.html) alla presenza del  Ministro della Giustizia Carlo Nordio e del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, del Presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone, e del Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi.

Il Papa ha ricordato le terribili prove della pandemia e l’attuale drammatico scenario  del conflitto in Ucraina che “hanno fatto ripiombare il mondo intero in una crisi profonda, aggravata dai molteplici focolai di guerra che continuano a divampare anche in altre nazioni” e ha indicato con fermezza che “Ogni impegno per la pace implica e richiede l’impegno per la giustizia. La pace senza giustizia non è una vera pace, non ha solide fondamenta né possibilità di futuro. E la giustizia non è un’astrazione o un’utopia. Nella Bibbia, essa è l’adempimento onesto e fedele di ogni dovere verso Dio, è compiere la sua volontà. Non è solo il frutto di un insieme di regole da applicare con perizia tecnica, ma è la virtù per cui diamo a ciascuno ciò che gli spetta, indispensabile per il corretto funzionamento di ogni ambito della vita comune e perché ognuno possa condurre una vita serena. Una virtù da coltivare mediante l’impegno di conversione personale e da esercitare insieme alle altre virtù cardinali della prudenza, della fortezza e della temperanza”.

Come già affermava Aristotele, nel quinto libro dell’Etica Nicomachea, la virtù della giustizia è πρός έτερον, “ad alterum”, come dirà poi San Tommaso: “la giustizia ha a che fare con l’altro”, è uno dei modi dell’incontro con l’altro, “dell’ “esse ad”, dell’essere-in-relazione, dell’essere-con (Mitsein)” .

La Giustizia, come virtù, è dunque un modo di relazione, implicando un rapporto con l’altro: una delle definizioni maggiormente scolpite di essa, quella appunto di San Tommaso, la vuole come “volontà perpetua e costante di rendere a ciascuno il suo diritto” (Perpetua et costans voluntas jus suum cuique tribuendi)

Essere giusto vuol dire convalidare l’altro come tale, vuol dire insomma offrire il riconoscimento, là dove non è possibile l’amore. E la giustizia avverte, dal canto suo, che esiste un altro, il quale non è come me e tuttavia ha anche lui il diritto al suo” (Josef Pieper). Dunque, la giustizia è la virtù che ci porta a riconoscere a ciascuno ciò che gli spetta, ciò che è “suo”.

Se la giustizia consiste nel dare “a ciascuno il suo” si rileva immediatamente come per dare a ciascuno il suo sia necessario che prima si definisca cosa spetti a ciascuno, e dunque prima della giustizia viene il diritto, ciò che spetta.

Suo” – quale riconoscimento basilare della giustizia – non è semplicemente ciò che è unito al soggetto mediante una relazione oggettiva di possesso: è piuttosto la coscienza e la consapevolezza di tale possesso; è un modo dell’essere-sé, un’esperienza intrasoggettiva di ciò che si possiede o che si deve possedere.

In questo senso, “rendere a ciascuno il suo” è anche rendere a ciascuno la coscienza di sé, dunque la libertà: volere rendere a ciascuno ciò che è suo, in fondo, è innanzitutto volere che ciascuno sia sé stesso, cioè che sia libero.

Nell’ordine pratico, la prima manifestazione della giustizia – l’imprescindibile condizione del suo manifestarsi – è perciò la libertà. La volontà costante e perpetua di rendere a ciascuno il suo diritto è, innanzitutto, volontà costante di riconoscergli il diritto alla libertà, primo fondamento di ogni relazione tra gli uomini, precondizione dell’eguaglianza: quest’ultima – e con essa la virtù della giustizia chiamata a garantirne la realizzazione – non potrebbe neppure ipotizzarsi senza il riconoscimento della reciproca libertà.

La relazione umana si struttura tra eguali – e può dunque configurarsi come “giusta” – solo se gli “eguali” sono, innanzitutto, egualmente liberi. Dunque, la giustizia è virtù fondata sulla costante autolimitazione, per garantire, innanzitutto, a ciascun altro di essere sé stesso, di essere libero.

Questo è il primo “suo” da rendere a ciascuno da parte di ognuno: affinché ciascuno si possa mantenere, innanzitutto, nella propria sfera, in cui l’individualità si possa affermare ed espandere, collegandole poi tra loro in maniera da costituire un corpo sociale (J. De Finance).

Giustizia è, dunque, bene comune, “virtù perfetta” (la celebre aristotelica del quinto libro dell’Etica Nicomachea), in quanto comprende ogni altra virtù e perché è “la sola delle virtù che sembra essere un bene altrui”; più bella di Lucifero, stella del mattino, più degna di meraviglia di Espero, stella vespertina, la giustizia è ragione umana (dunque, volontà nella libertà) che mira, nella constatata ingiustizia della “città terrena”, ad adeguarsi ad un ordine assoluto (“giustizia mosse il mio alto Fattore”, citando Dante, Inferno, canto III), per trovare modello e fondamento in principi ultimi ed universali.[1]

Daniele Onori


[1] Cfr. G.M. Flick, LA GIUSTIZIA È LA PRIMA VIA DELLA CARITÀ OPINIONI A CONFRONTO (CARITAS IN VERITATE N. 6), ATTI DEL CONVEGNO, 19-20 OTTOBRE 2012 p.30-31

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