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1-Con il meccanismo del c.d. payback lo Stato si propone di ripianare l’aumento di spesa sanitaria pubblica.

L’intento, di per sé apprezzabile, rischia però di concretizzarsi con modalità che, come vedremo, sconcertano sotto vari profili e pongono le basi da un lato, per un potenziale affossamento definitivo del sistema sanitario nazionale, già compromesso nel corso degli anni dalle progressive e continue riduzioni dei budget di spesa a disposizione per la copertura del fabbisogno e delle richieste dei cittadini (dacché, parlare di ripiano dell’aumento di spesa pare del tutto singolare); dall’altro, metterebbe in seria crisi il comparto delle aziende del settore, nella sua totalità, o quasi, con conseguenze disastrose.

Nello specifico, il meccanismo del payback entra in gioco quando le Regioni sforano il tetto di spesa preventivato annualmente e chiama in causa le imprese fornitrici di dispositivi medici alle quali viene richiesto di partecipare al ripiano, nella misura del 50 % dello scostamento.

Si parla dunque di importi consistenti, al momento stimati in circa 2.1 miliardi di euro per gli anni di competenza (2015-2018), che le imprese fornitrici dovrebbero (ma atteso l’intervento in extremis da parte del Governo è corretto dire “avrebbero dovuto”) versare nelle casse dello Stato, entro il mese di gennaio, o compensare fino alla concorrenza dell’asserito debito.

I dispositivi medici coinvolti consistono di fatto in tutto ciò che serve per assistere gli utenti del SSN; dalle garze alle siringhe, dai cerotti alle protesi vascolari, dalle protesi ortopediche agli strumenti per effettuare la tac o la risonanza magnetica, e ancora un elenco lunghissimo che in questa sede non è necessario declinare ulteriormente.

2-Se emerge con evidenza che le risorse destinate a soddisfare i bisogni di assistenza nelle cure dei cittadini (e non solo) sono evidentemente inferiori ai fabbisogni della popolazione, appare altrettanto chiaro che la sempre maggior difficoltà dello Stato a garantire tali fabbisogni passa attraverso il fenomeno della progressiva e incessante riduzione delle risorse destinate alla copertura della spesa pubblica relativa ai servizi sanitari, tanto da giungere a quello che possiamo definire il “patologico” sottodimensionamento della spesa dedicata.

Tali effetti si vedono ormai da tempo, basti pensare alla fuga dei medici all’estero (dopo esser stati formati in Italia), alla sempre più scarsa disponibilità di posti di terapia intensiva (come constatato in questi ultimi tre anni), ai tempi biblici per ottenere prenotazioni di esami diagnostici, solo per fare alcuni esempi.

In uno scenario del genere, se il payback avesse seguito potrebbe addirittura provocare il tracollo dell’intero comparto della sanità, che non sarebbe in grado di erogare neppure le prestazioni minime.

3-Per meglio comprendere il fenomeno occorre ripercorrere la normativa di riferimento, come di seguito:

  • con la legge n. 111/2011 veniva introdotto (art. 17) un tetto di spesa pubblica per l’acquisto di dispositivi medici, inizialmente fissato al 5,2% del Fondo sanitario ordinario e poi ridotto al 4,9% per venire infine fissato, a decorrere dal 2014, al 4,4%.
  • successivamente, il D.L n. 78/2015, in un’ottica di razionalizzazione della spesa pubblica, imponeva alle aziende fornitrici di dispositivi medici di ripianare l’eventuale sfondamento del tetto di spesa regionale per gli acquisti di dispositivi medici inter alia per gli anni 2015, 2016, 2017, 2018 (cosiddetto payback dispositivi medici).
  • si succedevano, poi, le leggi finanziarie per gli anni interessati dalla attuale procedura di payback, che rideterminavano il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato ed effettuavano una stretta sui deficit delle aziende ospedaliere.

È utile precisare che sino ad oggi, tuttavia, non si era provveduto a verificare l’eventuale superamento del tetto di spesa.

  • Con il D.L. n. 115/2022 (c.d. Decreto “Aiuti bis”), convertito con modificazioni dalla L. n. 142/2022, il Ministero della Salute ha disposto all’art. 2 (che per lunghezza non si riporta completo) quanto segue: “In caso di superamento del tetto regionale gli enti del SSR calcolano il fatturato annuo di ciascuna azienda fornitrice al lordo dell’IVA, come somma degli importi delle fatture riferite ai dispositivi medici; i direttori generali degli enti del SSR, con propria deliberazione, effettuano la validazione e certificazione del fatturato calcolato secondo la metodologia di cui ai precedenti punti i) e ii) e la trasmettono successivamente alla regione o alla provincia autonoma di appartenenza.

a) sulla base delle predette deliberazioni, verifica per ciascuno dei propri enti del Servizio sanitario regionale/provinciale, la compatibilità, nei termini sopra descritti, del fatturato complessivo rispetto a quanto contabilizzato nella voce……. del modello CE consolidato regionale dell’anno di riferimento e ne dà comunicazione al Ministero della salute; a seguito della comunicazione del Ministero della salute, adotta apposito atto deliberativo contenente gli importi di ripiano dovuti da ciascuna azienda fornitrice, nei termini comunicati dal Ministero della salute. (….)

Il Ministero della salute:

a) determina l’incidenza percentuale del fatturato di ciascuna azienda fornitrice sul totale della spesa sostenuta da ciascuna regione o provincia autonoma, a titolo di acquisto di dispositivi medici, rappresentata dal fatturato complessivo del settore, a carico del Servizio sanitario nazionale, previa eventuale verifica in contradditorio, da concludersi entro e non oltre il termine di 30 giorni dalla data di comunicazione alle regioni dell’incidenza percentuale del fatturato, al fine di chiarire possibili incongruenze o dati non pienamente intellegibili; ripartisce la quota di sfondamento complessivo regionale a carico di ciascuna azienda fornitrice, nella misura del 40% per l’anno 2015, 45% per l’anno 2016, 50% per l’anno 2018, in proporzione all’incidenza percentuale del rispettivo fatturato sul fatturato complessivo del settore, a carico del Servizio sanitario nazionale;”.

Il predetto tetto di spesa è strutturato in un tetto di spesa massimo a livello nazionale e in un tetto di spesa massimo a livello regionale, quantificati entrambi solo nell’anno 2019 nella misura del 4,4% del Fondo Sanitario Nazionale.

Entro 30 giorni a decorrere dal 15 settembre saranno (come in realtà sono state) adottate le Linee Guida propedeutiche all’adozione dei provvedimenti regionali e provincialientro 90 giorni a decorrere dal 15 settembre, le Regioni e le Province Autonome dovranno pubblicare l’elenco delle aziende soggette a ripiano per ciascun anno e conseguentemente adottare i provvedimenti di ripiano e, infine, entro 30 giorni dalla pubblicazione dei provvedimenti regionali e provinciali, le aziende destinatarie di detti provvedimenti, dovranno ripianare l’importo dovuto.

L’importo poi dovuto da ogni azienda produttrice dovrà essere quantificato “previa verifica della documentazione contabile anche per il tramite degli enti del servizio sanitario regionale”.

La somma dovuta dovrà essere calcolata con riferimento ai dati di costo rilevati a consuntivo per ciascuno dei predetti anni e risultanti dal modello CE consolidato regionale, nella voce corrispondente, del modello di rilevazione del conto economico.

Il meccanismo prevede che qualora le società non provvedessero al pagamento nel termine indicato di 30 giorni, le singole regioni e province autonome compenseranno i debiti che hanno nei confronti delle singole aziende per acquisti già effettuati di dispositivi medici fino a concorrenza dell’intero ammontare.

Le Regioni e le Province autonome dovranno poi iscrivere le relative voci nel bilancio del settore sanitario 2022.

4-Atteso quanto sopra riportato, appare chiaro come il meccanismo del c.d. payback appaia muoversi su presupposti irragionevoli e possa portare ad una serie di conseguenze dagli esiti esiziali.

  • Innanzitutto: tale meccanismo potrebbe esser causa dell’affossamento dell’intero comparto industriale dedicato alle forniture medico/sanitarie, con ovvie ricadute negative sui livelli occupazionali del settore.

Si verrebbe a concretizzare uno scenario connotato da forte criticità, all’interno del quale con buone probabilità assisteremmo alla chiusura di un numero importante di aziende dello specifico comparto. In tale realtà, sarebbe forse garantita la sopravvivenza ai soli soggetti economici ultra-dimensionati (le multinazionali), a totale svantaggio delle piccole e medie imprese che, peraltro, costituiscono le tipiche forme generanti la struttura imprenditoriale nazionale, spesso dotate di elevati livelli di specializzazione e di know how, che in questo caso andrebbero a scomparire.

Al contempo, si provocherebbe certamente un impatto negativo sui livelli occupazionali a causa dei numerosi licenziamenti in massa, conseguenza certa delle necessitate chiusure delle imprese, ma anche dei mancati investimenti da parte delle multinazionali che, inizialmente sopravvissute al fenomeno grazie alle generose possibilità economico finanziarie in dotazione personale, non avrebbero più alcuna velleità di investire ed operare sul territorio italiano, pena il costante e ormai consapevole assoggettamento a perdite di esercizio.

  • Altro profilo di criticità: l’impatto sul sistema sanitario pubblico.

La chiusura di gran parte delle aziende produrrebbe per lo Stato (in particolare, le regioni) l’impossibilità o, comunque, una enorme difficoltà nel garantire le necessarie forniture sanitarie (dalle garze, alle siringhe, alla tecnologia di alto livello come la robotica o strumentazioni per esami diagnostici invasivi), quantomeno per la salvaguardia dei LEA (livelli essenziali di assistenza), che il payback si ripromette di assicurare con modalità che al contrario riverberebbero negativamente, a discapito dei cittadini, soprattutto quelli appartenenti alla fascia dei meno agiati.  

In un tale scenario il servizio sanitario pubblico – e solo quello – sarebbe impossibilitato a garantire i livelli essenziali di servizio, a vantaggio del servizio privato, appannaggio però solamente della fetta di popolazione in grado di sostenere i costi per il mantenimento di polizze assicurative private, a copertura della malattia, almeno in proiezione futura.

Ancora una volta, dunque, verrebbe maltrattato l’art. 32 Costituzione, che si prefigge di garantire addirittura le cure gratuite agli indigenti e che, al contrario, a causa del c.d. payback, non sarebbe in grado di assicurare la giusta assistenza sanitaria, indipendentemente dalla gratuità, non solo agli indigenti che non hanno le possibilità di contribuire alla spesa pubblica, ma neppure a coloro che regolarmente pagano le imposte.

Ciò che costituisce punta di diamante di un sistema democratico, in cui tutti gli individui indistintamente hanno diritto di essere curati, verrebbe spazzato via in un istante.

Non si vuol certo contestare l’importanza della sanità “privata”, che presenta anche punte di eccellenza; quel che preoccupa è che il meccanismo del payback prospetta l’”esproprio” definitivo di ciò che è “pubblico” – non solo inteso come servizio, ma anche come “bene” meritevole di tutela, cioè il diritto alla salute – a favore del privato, ma solo quello d’élite, in quella che sempre più pare una vera e propria lotta di classe tesa a sconfiggere, ancora una volta, i meno abbienti.

5-Vi sono poi anomalie sotto il profilo squisitamente giuridico, che toccano plurimi aspetti.

La richiesta alle aziende di provvedere alla corresponsione delle somme accennate avviene secondo meccanismi che confliggono con i principi del diritto, da diverse prospettive.

  • Non appare comprensibile per quale principio coloro che hanno partecipato a gare pubbliche di fornitura dei dispositivi medici e che hanno concluso contratti le cui condizioni sono state interamente dettate dalla stazione appaltante pubblica – a prezzi generalmente già contenuti – debbano restituire parte del fatturato. Il punto desta parecchie perplessità:

– innanzitutto, le aziende vengono chiamate a restituire somme regolarmente incassate, sulle quali hanno anche pagato le imposte, dirette ed indirette, a fronte di contratti regolarmente stipulati ed eseguiti fino alla loro naturale cessazione. Peraltro, a prezzi inesorabilmente imposti dalle stazioni appaltanti che ben dovrebbero (o avrebbero dovuto) conoscere in anticipo la loro disponibilità di cassa e dunque orientarsi circa la possibilità o meno di richiedere prestazioni da erogare agli utenti finali. Tale restituzione risulta del tutto ingiustificata, dal momento che le aziende ospedaliere hanno provveduto ad acquistare i dispositivi medici tramite gare pubbliche (in cui esse stesse hanno predeterminato i propri fabbisogni), salvo poi attivare un meccanismo di rimborso per il superamento del tetto di spesa, che loro stesse hanno concorso a superare (con i loro acquisti), in assoluto spregio al principio non scritto nell’ordinamento italiano, ma ritenuto dalla giurisprudenza immanente e ricompreso nelle clausole generali di correttezza e buona fede che valorizzano i comportamenti coerenti e non contraddittori, secondo cui la parte che intende far valere un diritto non deve porsi in contraddizione con un comportamento da essa stessa assunto in precedenza.

Quanto sopra, in violazione (tra le tante) dei principi del Codice dei contratti pubblici posti a presidio della contrattazione pubblica e delle stesse norme sopra richiamate disciplinanti la spesa sanitaria, adottate nelle leggi di bilancio per gli anni di cui si discute.

In questo caso, la stazione appaltante spende (come ha speso) risorse economiche, già sapendo che parte di queste le potrà richiedere in forza di un atto normativo aberrante. Fino ad agosto 2022, le aziende fornitrici invece non lo sapevano e non lo potevano sapere. Senza potersene rendere conto, hanno di fatto stipulato contratti “aleatori”, che fuori dalle categorie tradizionali, si potrebbero definire a “rischio puro”, nel senso che il rischio, in questo caso, prevede solo la possibilità di perdere e non anche di guadagnare, ciò che prospetta alle aziende quasi certamente uno stato di decozione.

Ci si chiede se tutto questo rispetti il dettato costituzionale di cui agli articoli 41 e 42 della Carta, ossia di libertà di iniziativa economica e di pianificazione imprenditoriale delle aziende, nonché di tutela della proprietà privata. Al riguardo, nel nostro sistema di giustizia costituzionale i diritti in discussione possono essere legittimamente incisi da interventi del legislatore – per la verità l’attività economica, non l’iniziativa – purché essi non risultino arbitrari, trovino fondamento in una causa di pubblica utilità e tale utilità non venga perseguita mediante misure palesemente incongrue, come accade invece nel caso del payback.

Tale meccanismo incide infatti su elementi essenziali della gestione e dell’organizzazione d’impresa: come possono le aziende permettersi di fare analisi, previsioni e programmazioni per il futuro, e quindi porre in atto gli strumenti utili ad una sana gestione organizzativa, laddove hanno partecipato a gare di appalto e stipulato contratti con oggetti e importi inizialmente ben definiti, salvo poi scoprire a distanza di anni che parte imprecisata di quell’importo dovrà essere restituita, retroattivamente? Ciò vale per il passato e per il futuro, se il payback (al momento temporaneamente sospesovenisse legittimato.

Emerge, per gli operatori economici del settore, l’impossibilità di verificare anticipatamente la convenienza a partecipare o meno alle gare, non avendo a disposizione dati trasparenti circa la possibilità che la partecipazione alla gara non si trasformi in una trappola, dal momento che oltretutto non è possibile rinunciare in corso d’opera alla fornitura di beni di vitale importanza, pena l’esposizione a conseguenze giuridiche anche di notevole portata.

6-Inoltre, appare assurda (nell’assurdo) la previsione del termine stretto di 30 giorni per la dazione da parte delle imprese.

Il meccanismo tipicamente italiano per cui quando si è debitori i tempi di pagamento si allungano; al contrario,  quando si vanta un credito (anche se in questo caso del tutto illegittimo) i tempi previsti sono strettissimi pare non abbia risparmiato neppure lo Stato, dal momento che spesso le aziende del comparto (ma il discorso potrebbe coinvolgere molti altri settori) vengono messe in serie difficoltà a causa della lentezza nell’ottenere i pagamenti da quello Stato che oggi, con una richiesta al di fuori di ogni presupposto logico e giuridico, pretende in tutta fretta, in uno scenario che vede imprese e cittadini già gravati – anche qui secondo meccanismi repentini ed inspiegabili – da considerevoli aumenti dei costi energetici e delle materie prime.

7-Altro profilo di violazione riguarda il principio del legittimo affidamento, che vieta la successiva riapertura del procedimento e l’emanazione di un atto impositivo relativo al medesimo rapporto tributario, dal momento che le somme vengono richieste al lordo dell’IVA, imposta che le imprese hanno già versato allo Stato.

La pretesa restituzione – realizzata a sorpresa, poiché per anni essa è rimasta inattuata  e  a distanza di numerosi anni dalla regolare esecuzione delle prestazioni dedotte nei singoli contratti d’appalto, originati da richieste di mercato formulate dalla pubblica amministrazione e non già dalle aziende fornitrici – di una significativa misura percentuale del corrispettivo pattuito e trasfuso in un documento contrattuale sottoscritto dalle parti, determina un’ingiustificabile lesione del legittimo affidamento nonché del fondamentale principio di certezza del diritto.

Ciò risulta ancor più grave alla luce del fatto che, nelle fattispecie considerate dalla normativa in contestazione, non vi è alcuna forma di inadempimento o responsabilità ascrivibile agli ‘operatori economici privati’, i quali, al contrario, versano in una situazione di assoluta buona fede, da intendersi non solo quale regola di condotta che, assolvendo anche alla funzione di colmare le inevitabili lacune del diritto vivente, impone ai soggetti contraenti un obbligo di reciproca lealtà e solidarietà in tutte le fasi del rapporto contrattuale, ma anche come situazione in cui i soggetti economici privati hanno di fatto incolpevolmente, ma correttamente, confidato nella stabilità dei rapporti giuridici instaurati con la pubblica amministrazione.

Sul punto occorre evidenziare che la giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che il richiamato principio di certezza del diritto risulta sacrificabile – in esito a un giudizio di bilanciamento con ulteriori diritti e valori costituzionali – unicamente in presenza di eccezionali esigenze pubbliche inderogabili – che qui non si ravvisano – soggette tuttavia a uno scrutinio rigoroso di ragionevolezza e proporzionalità da parte della stessa Corte Costituzionale onde accertare che esse non si traducano in un’irragionevole e sproporzionata lesione del legittimo affidamento di imprese e cittadini.

Peraltro, a coloro che credono che il prelievo forzoso (o la compensazione) venga effettuato sugli extraprofitti o loro porzioni occorre far presente che il meccanismo del payback entra a gamba tesa sulle dinamiche economico – finanziarie strutturali delle imprese. La richiesta di tali somme sul fatturato al lordo dell’iva ovviamente non intacca solo l’extraprofitto, poiché il prelievo così come attuato va ad erodere tutti gli utili e quanto serve al mantenimento in vita delle strutture imprenditoriali.

  • In ultimo, il regime di sfavore che si verrebbe di fatto a creare per le aziende del comparto sanitario, rispetto a quelle appartenenti ad altri settori, darebbe vita ad un mercato connotato dalla presenza di “figli” e “figliastri”; il tutto, in spregio al dettato costituzionale che ritiene fondamentale dare vita alla possibilità di fare impresa, secondo principi di uguaglianza e di pari opportunità, libera da pesi e vincoli diversi dall’utilità sociale e dal rispetto della salute, della sicurezza e della dignità dei prestatori di lavoro, quegli stessi prestatori che nel caso perderebbero il lavoro e la loro stessa dignità.

8-Ci si augura dunque che il Governo attuale, erede di una situazione tanto complessa quanto scomoda, possa, sull’onda delle iniziative lodevoli intraprese da alcuni appartenenti all’attuale maggioranza parlamentare, valutare la situazione con profondità di giudizio e utilizzi la propria competenza al fine di trovare soluzioni alternative al payback per il reperimento dei fondi necessari alla copertura dei disavanzi nel settore della spesa sanitaria, in uno scenario in cui particolare attenzione deve essere riservata alla salvaguardia delle piccole e medie imprese del comparto, che con tanti sacrifici hanno investito negli anni per garantire buoni livelli di servizio nelle forniture di attrezzature essenziali per la tutela della salute.

Il primo rinvio a fine aprile, onde rivalutare la questione, consegna la speranza che il nuovo esecutivo abbia compreso l’abnormità del provvedimento dell’agosto 2022, pur nella consapevolezza che la coperta è corta.  

Le coperture finanziare dovranno senza dubbio essere reperite, ma non a scapito delle imprese e dei cittadini.

Pasquale Cardone

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