fbpx

Con la sentenza n. 18523/2022  (Sez. 3 pen., 23 marzo 2022, n. 18523), depositata l’11 maggio, la Corte di Cassazione ha confermato l’indirizzo imperniato sull’apprezzamento della voluntas legis dell’art. 80 co. 1, lett. g) del d.P.R. n. 309/90: nell’ipotesi di spaccio di stupefacenti effettuato nelle vicinanze di luoghi particolarmente sensibili quali sono gli ospedali è necessario tutelare i soggetti vulnerabili, o comunque maggiormente esposti al rischio di essere attratti dal consumo di sostanze.

1. Il caso concreto è l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti posta in essere da uno straniero nelle vicinanze di una struttura ospedaliera. La Corte d’Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza emessa in sede di giudizio abbreviato da parte del GUP che aveva condannato il soggetto a tre anni di reclusione per spaccio aggravato di sostanze stupefacenti, aveva, oltre a ciò, disposto l’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dallo Stato italiano, una volta espiata la pena detentiva.

Tra i motivi del ricorso per cassazione figurava, in particolare, il vizio di motivazione in relazione all’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 80 co. 1, lett. g) del d.P.R. n. 309/1990. L’accusato riteneva errata la configurabilità della circostanza al caso di specie, adducendo che egli incontrava i clienti nelle vicinanze del parcheggio dell’ospedale, ma che quel sito non poteva considerarsi a tutti gli effetti uno stabile punto di spaccio per le persone che frequentavano il luogo di cura.

Va ricordato che l’art. 80 del DPR 309/1990 contiene un catalogo eterogeneo di circostanze aggravanti specifiche a effetto speciale, che comportano l’aumento da un terzo alla metà delle pene previste per i delitti disciplinati dall’art. 73. Viene in rilievo la lettera g) del comma 1, che aumenta la pena “se l’offerta o la cessione è effettuata all’interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura o la riabilitazione dei tossicodipendenti”.

2. La ratio considera le peculiarità dei contesti o dei luoghi nei quali viene posta in essere l’attività delittuosa quali, ad esempio, le scuole, gli ospedali o centri di cura per le tossicodipendenze, che necessitano fisiologicamente di una tutela normativa specifica per la probabile presenza di soggetti vulnerabili.

Delineati i contorni storici e normativi di riferimento, la Suprema Corte, nel rigettare la censura perché infondata, ha svolto sull’argomento riflessioni di condivisibile respiro, attingendo dalla giurisprudenza stratificatasi sul punto. Ha anzitutto richiamato l’orientamento che postula sufficiente per l’applicabilità dell’aggravante il caso in cui l’offerta o la cessione della sostanza si sia verificata all’interno o in prossimità dei luoghi individuati dalla norma, non necessitando il requisito che le stesse siano effettuate nei riguardi di specifiche categorie di soggetti (Sez. 6, n. 1666 del 11/12/2019, dep. 16/01/2020, Rv. 277588 – 01; Sez. 4, n. 21884 del 06/04/2017, dep. 05/05/2017, Rv. 270003 – 01).

In secondo luogo, la Corte ha sondato la ratio giustificatrice della lettera g) del comma 1 dell’art. 80, rinvenibile nell’esigenza di tutelare e preservare dalla diffusione degli stupefacenti le comunità più esposte a questa forma di aggressione, perché frequentate da persone potenzialmente a rischio droga, o per la giovane età o in ragione di peculiari condizioni soggettive.

3. Ciò spiega il rigore legislativo nel sanzionare in modo più grave questa tipologia di condotte criminose. Risulta chiaro, di conseguenza, come la necessità di reprimere il fenomeno della diffusione della droga all’interno o nei pressi di insediamenti in cui sono presenti, in via potenziale o secondo l’id quod prerumque accidit, numerosi soggetti “deboli”, legittimi la configurabilità dell’aggravante prevista dall’art. 80.

Nelle argomentazioni sviluppate dalla Corte, è stato inoltre indagato il concetto di “prossimità” espressamente evocato dalla norma incriminatrice: esso afferisce alla contiguità fisica e al posizionamento topografico del soggetto agente dedito allo spaccio in un luogo che consente l’immediato accesso alle droghe alle persone che lo frequentano, non essendo rilevante che il raggiungimento del luogo implichi una, pur minima, scelta volitiva della vittima.

Più in dettaglio, la prossimità ad uno dei luoghi indicati dalla norma in cui deve avvenire l’offerta o la cessione della sostanza stupefacente, inerisce quelle aree esterne rispetto alle strutture tipizzate (scuole, comunità giovanili, caserme ecc.), che devono essere ubicate nelle loro immediate vicinanze, configurandosi per ciò stesso un rapporto di relazione immediata tra i luoghi indicati e le aree di prossimità. Nella vicenda sottoposta al suo esame, la ricostruzione operata dalla Suprema Corte risulta suffragata dalle circostanze fattuali emerse dalle risultanze istruttorie, poiché era stato appurato che le cessioni di sostanze stupefacenti erano avvenute nel parcheggio del pronto soccorso dell’ospedale.

Giuseppe Paci

Share