L’Epitaffio di Pericle, riportato da Tucidide nel Libro II della Guerra del Peloponneso, rappresenta uno dei testi fondativi della riflessione politica occidentale e un vero e proprio manifesto della democrazia ateniese. Pronunciato in onore dei caduti del primo anno di guerra, il discorso non si limita alla commemorazione, ma celebra i valori civici, la partecipazione politica e l’equilibrio tra libertà individuale e responsabilità collettiva. Questo articolo analizza il contenuto politico-filosofico del testo, mettendolo in relazione con il concetto di isonomia, la centralità del demos e la tensione tra virtù civica e ambizione imperiale. Viene inoltre esaminato il ruolo dell’oratoria come strumento di legittimazione politica, evidenziando la modernità e al contempo le contraddizioni della visione periclea.
Contesto storico e significato dell’Epitaffio
L’Epitaffio di Pericle, così come lo tramanda Tucidide, si colloca nel primo anno della guerra del Peloponneso (431 a.C.), quando Atene si trova in una fase cruciale del conflitto contro Sparta. Il genere del discorso funebre era parte integrante della tradizione civica ateniese, ma Pericle ne fa uno strumento politico di ampio respiro. Non si tratta, dunque, di una mera celebrazione dei caduti: nel racconto di Tucidide, il discorso diventa la dichiarazione programmatica di una città che vuole presentarsi come modello universale.
Pericle utilizza il ricordo dei morti per disegnare il profilo ideale della polis ateniese. La democrazia, afferma, non è solo un ordinamento politico ma un ethos, una forma di vita che permea ogni dimensione dell’esistenza collettiva. La libertà politica convive con il rispetto delle leggi; la dignità dell’individuo trova la sua massima espressione nella partecipazione al destino comune. Atene, nella visione di Pericle, non è soltanto una città-stato in guerra, ma un paradigma di civiltà, destinato a esercitare un’influenza che travalica lo spazio e il tempo.
La funzione retorica del discorso, così come la struttura che Tucidide ci restituisce, rivela un’operazione duplice: da un lato, rafforzare l’unità interna in un momento di crisi; dall’altro, affermare la superiorità del modello ateniese di fronte a un mondo greco lacerato dal conflitto. In questo senso, l’epitaffio si colloca all’incrocio tra storia e politica, tra memoria e propaganda. La voce di Pericle – pur mediata dalla penna di Tucidide – non suona come una semplice consolazione, ma come la proclamazione di una missione: Atene deve resistere perché in essa si riflette la dignità stessa della civiltà greca.
Si può dunque cogliere, dietro le parole solenni, un tratto tipico della tradizione politica ateniese: la capacità di trasformare il lutto in coesione, la perdita in mito fondativo. E proprio qui emerge l’ambiguità: dietro la trasparenza della democrazia si nasconde la consapevolezza del potere, e il discorso di Pericle è insieme celebrazione della libertà e giustificazione della guerra.
Isonomia e partecipazione politica
Il cuore del discorso è l’elogio di Atene come città aperta, governata dal principio dell’isonomia — l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge — e animata da un alto livello di partecipazione civica. Pericle afferma che «il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi» (Guerra del Peloponneso, II, 37), evidenziando la natura inclusiva del sistema democratico. Ma dietro questa affermazione solenne si nasconde una tensione costante, che Tucidide lascia intravedere e che la critica moderna non può ignorare: la democrazia ateniese si fonda su una cittadinanza ristretta, su una libertà che riguarda solo gli uomini adulti nati da genitori ateniesi, mentre l’immensa massa di donne, meteci e schiavi rimane esclusa da quel “favore ai molti”.
Questa contraddizione, lungi dall’indebolire il discorso, ne costituisce la forza retorica. L’ethos democratico che Pericle delinea non si limita a descrivere un sistema istituzionale, ma propone un modello etico-politico che va oltre le maglie del diritto. La democrazia non è solo un ordinamento: è una forma di vita. Il rispetto reciproco tra cittadini, la libertà individuale come valore condiviso, la responsabilità verso la comunità: questi principi non si riducono a regole giuridiche, ma definiscono il modo stesso in cui gli Ateniesi concepiscono il proprio vivere associato. È qui che Atene si presenta non solo come città, ma come paradigma universale, una civiltà che pretende di essere osservata, imitata e ricordata.
Pericle trasforma l’elogio funebre in un manifesto politico: celebra i caduti, certo, ma al tempo stesso definisce l’identità collettiva e ne rafforza la legittimità. La città aperta, tollerante verso gli stranieri, orgogliosa della sua ricchezza culturale e artistica, diventa emblema della superiorità ateniese di fronte ai nemici spartani. La libertà politica si coniuga con il primato culturale e militare, così che la polis si offre come modello di equilibrio tra potere e giustizia, forza e bellezza, partecipazione e disciplina.
Eppure, l’isonomia celebrata da Pericle è anche strumento di coesione ideologica: un mito fondativo che trasforma l’uguaglianza proclamata in simbolo, più che in realtà. È questo il meccanismo che rende il discorso un testo vivo ancora oggi: la capacità di proiettare un ideale oltre i limiti concreti della sua realizzazione storica. Proprio qui si manifesta la grande eredità del pensiero politico ateniese, capace di forgiare un linguaggio della democrazia che, pur nato in un contesto ristretto e contraddittorio, ha attraversato i secoli e continua a nutrire il dibattito sulle forme della convivenza civile.
Paideia e identità civica
L’Epitaffio sottolinea anche l’importanza della cultura come fondamento della potenza politica. La paideia, ovvero l’educazione civica e culturale, non è presentata come un ornamento marginale, ma come il vero collante che garantisce coesione interna e prestigio esterno. In questa prospettiva, la formazione del cittadino non si limita all’acquisizione di competenze militari o alla conoscenza delle leggi: essa investe l’intera vita della polis, plasmando un modello umano capace di conciliare libertà e disciplina, autonomia individuale e responsabilità collettiva.
Atene si propone come una polis-modello non solo perché militarmente forte, ma perché culturalmente egemone. La sua capacità di attrarre il mondo greco risiede nel primato delle arti, del pensiero filosofico, del teatro e della retorica, strumenti che diventano essi stessi forme di potere. La forza della città non è riducibile alle mura, alle triremi o agli opliti: essa si fonda sulla costruzione di un immaginario condiviso, in cui la democrazia si rappresenta come un sistema politico ed etico al tempo stesso. È la paideia a trasformare gli individui in cittadini, ed è attraverso di essa che Atene esercita un’influenza che va ben oltre la sua potenza militare.
La dimensione culturale assume dunque un ruolo politico centrale: il teatro tragico e comico, l’oratoria assembleare, la filosofia nascente sono parte integrante del processo democratico, non semplici espressioni artistiche. Essi educano il cittadino a riflettere, a discutere, a misurarsi con il dissenso e con il limite. L’egemonia culturale ateniese, come Tucidide lascia trasparire, non è solo fattore di prestigio, ma vero e proprio strumento di dominio: un potere “morbido”, diremmo oggi, capace di conquistare più della violenza militare.
Eppure, dietro questa celebrazione della cultura si intravede anche l’ombra della contraddizione. La paideia ateniese, pur rivolta al cittadino libero, rimane esclusiva, chiusa agli “altri” della società: donne, schiavi, stranieri. Il modello universale proclamato si regge su una pratica selettiva, su una comunità che si educa a se stessa mentre lascia fuori una parte consistente della popolazione. È in questa frattura tra universalismo retorico e particolarismo concreto che si colloca la vera natura della democrazia ateniese: un’idea grandiosa e limitata al tempo stesso, capace di ispirare e di ingannare.
Così, l’epitaffio non è soltanto un elogio funebre o un manifesto patriottico: è la testimonianza di un momento in cui la cultura diventa politica, e la politica diventa cultura. È in questa simbiosi che Atene costruisce la propria immagine di capitale del mondo greco, destinata a sopravvivere anche alla sua sconfitta militare.
Democrazia e imperialismo: una tensione irrisolta
Dietro il panegirico democratico si intravede una contraddizione fondamentale: la libertà interna convive con una politica estera espansiva e talvolta aggressiva. È il nodo irrisolto della democrazia ateniese: un ordinamento che, all’interno, si proclama aperto e inclusivo, mentre all’esterno si impone come potenza imperiale, pronta a reprimere ogni resistenza con durezza spietata. L’epitaffio, nella sua tensione celebrativa, cela ma non annulla questa ambivalenza.
La missione “civilizzatrice” di Atene, rivendicata come modello di progresso e di libertà, si traduce nei fatti in un sistema di dominio che riduce gli alleati della Lega Delio-Attica a sudditi tributari. La città che si presenta come scuola della Grecia è la stessa che soffoca le aspirazioni di autonomia altrui e giustifica la guerra come strumento necessario alla conservazione della sua egemonia. È qui che si manifesta la contraddizione più bruciante: la democrazia interna è possibile proprio grazie alle risorse estorte con la forza ai popoli sottomessi.
Tucidide, con la sua scrittura austera e disincantata, lascia trapelare questa frattura. Il discorso di Pericle non è soltanto celebrazione, ma anche dichiarazione di potenza. La libertà degli Ateniesi si regge sulla non-libertà di altri. In questo paradosso si intravede uno dei nodi permanenti della filosofia politica: può un sistema fondato sull’uguaglianza e sul rispetto reciproco sopravvivere senza proiettare verso l’esterno forme di dominio, esplicito o mascherato?
La questione non riguarda solo l’Atene del V secolo. Essa tocca da vicino le democrazie moderne, che spesso hanno coniugato l’ideale della libertà interna con politiche di espansione, colonialismo o “esportazione” della democrazia. Come già nell’Epitaffio, il linguaggio della missione civilizzatrice si intreccia con la realtà del potere, e la retorica dei valori universali si accompagna a pratiche di dominio concreto.
In questo senso, il testo pericleo diventa una lente che ingigantisce un paradosso destinato a ripetersi: la democrazia, per affermarsi e sopravvivere, non può fare a meno di confrontarsi con la logica della forza. Il mito dell’uguaglianza interna convive con la prassi della disuguaglianza esterna. È il cuore contraddittorio della politica: la libertà dei molti poggia, talvolta, sul sacrificio dei pochi che restano fuori dal cerchio della cittadinanza.
Oratoria e costruzione della memoria collettiva
Dal punto di vista metodologico, l’Epitaffio è anche una lezione sulla funzione politica della parola. Pericle utilizza l’oratoria non solo come strumento di persuasione immediata, ma come mezzo per costruire un’identità collettiva, trasformando il ricordo dei caduti in un atto di legittimazione del regime democratico. Non è un discorso “privato” o contingente: esso assume il carattere di una vera e propria fondazione simbolica, in cui la morte dei soldati viene trasfigurata in garanzia della continuità politica della polis.
La parola, in questo contesto, non si limita a esprimere: crea. Attraverso un sapiente intreccio di pathos e logos, Pericle unisce emozione e razionalità, dolore e orgoglio, rafforzando il senso di appartenenza e l’identità civica. La commemorazione diventa pedagogia politica: ai vivi si ricorda che l’onore dei caduti si tramanda solo se la comunità rimane fedele ai suoi principi e coesa contro il nemico. È un processo di interiorizzazione del sacrificio, volto a trasformare il lutto in un capitale politico e morale.
Tucidide, nel ricostruire il discorso, ci consegna così una riflessione esemplare sulla forza performativa della retorica: la parola non è neutra, ma agisce, modella, orienta. L’epitaffio diventa paradigma di come la politica sappia appropriarsi della memoria, piegandola a un progetto di lungo respiro. La celebrazione dei caduti non è soltanto consolazione per i sopravvissuti: è costruzione di una narrazione comune che giustifica l’ordine presente e ne legittima le ambizioni future.
La lezione è di straordinaria attualità. Ogni regime politico, per consolidarsi, ha bisogno di elaborare un linguaggio che trasformi il dolore in mito, l’esperienza individuale in patrimonio collettivo. Così come Atene si rafforza attraverso il culto della memoria e la retorica della democrazia, anche le moderne democrazie e gli stati nazionali hanno continuamente fatto ricorso a riti commemorativi, discorsi solenni e simboli capaci di legittimare il potere. In questo senso, l’Epitaffio di Pericle non è solo un documento del passato, ma un modello archetipico della funzione costitutiva della parola politica.
Daniele Onori
Bibliografia essenziale
- Tucidide, La guerra del Peloponneso, trad. it. di F. Ferrari, Milano, Rizzoli, 2016.
- Canfora, L., La democrazia. Storia di un’ideologia, Roma-Bari, Laterza, 2004.
- Finley, M. I., Democrazia antica e moderna, Bologna, Il Mulino, 1983.
- Ober, J., Mass and Elite in Democratic Athens, Princeton, Princeton University Press, 1989.
- Hansen, M. H., La democrazia ateniese nel IV secolo a.C., Roma, Carocci, 2010.