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1. È facile proclamare l’autodeterminazione in termini politicamente corretti a costo zero; è più difficile garantirla quando – come è nel caso delle persone disabili – essa implica la cooperazione di molti, il sacrificio di tempo e mezzi, la volontà, soprattutto politica, di scelte impopolari che comportino un consistente esborso di denaro, senza vedere nell’immediato il conseguimento di alcun profitto.

La centralità dell’autodeterminazione è alla base dell’affermazione del modello sociale di disabilità. Essa trova fondamento nella Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità delle Nazioni Unite, adottata nel 2006 e ratificata dall’Italia con la L. 3 marzo 2009 n. 18, la quale ha definitivamente spostato il focus dall’individuo, qualificato e di conseguenza assistito in ragione delle sue menomazioni, alla mancanza di autonomia, dovuta alla relazione con le barriere esterne, ambientali o derivanti dal comportamento altrui, e ha posto l’obiettivo della piena partecipazione della persona con la restituzione dell’autonomia e la valorizzazione della capacità di autodeterminarsi. All’apparente riequilibrio che sembrerebbe superare la dicotomia tra diritti dei disabili e diritti degli altri va affiancato l’art. 3 Cost. che, sancendo il principio di uguaglianza sostanziale, statuisce la necessità di trattare in maniera differente situazioni diverse, poiché, come nel caso della disabilità, l’individuazione di peculiari problematiche rappresenta il passaggio indispensabile per la garanzia della vera uguaglianza.

Benché gli studi universitari esulino dall’ambito della scuola dell’obbligo, la predisposizione di strategie personalizzate e specifiche non può ritenersi un’offesa, ovvero qualcosa di riservato agli anni di formazione primaria e secondaria. Non vi è dubbio che gli Atenei siano tenuti a garantire, e ovviamente lo fanno, servizi finalizzati alla piena inclusione nella vita universitaria, con l’encomiabile lavoro di tante persone. La strada è però ancora lunga: si può partecipare a riunioni nelle quali si procede a minuziose analisi sul numero degli iscritti, sulla proporzione tra studenti e docenti, sull’internazionalizzazione, sulla necessità di creare un nuovo sito web. Tutto, giustamente, per ottenere nuovi fondi. Si parla, forse marginalmente, anche di disabilità, riconoscendo i passi avanti fatti, ma fermandosi lì, perché quando manca una programmazione chiara, soprattutto a livello nazionale, quando non vengono puntualmente individuati ruoli e funzioni, tutto è rimesso al libero impegno del singolo docente o funzionario, che da solo, nonostante la premurosa abnegazione, arriva fino a un certo punto.

2. Nodo cruciale è la preparazione degli esami. Se vi sono esperienze di ragazzi disabili brillanti che conseguono in tempo il titolo accademico, allo stesso tempo ve ne sono altre in cui, chiaramente per la maggiore difficoltà dovuta ai diversi stadi e gradi di disabilità, i tempi diventano lunghissimi. L’organizzazione di una sessione d’esami dipende da alcuni fattori: l’intraprendenza dello studente, l’assistenza del tutor, la tempestiva disponibilità del materiale didattico in formato accessibile, la stretta collaborazione con il docente.

Il servizio di tutorato e supporto allo studio prevede l’impiego di studenti borsisti e di volontari del servizio civile nazionale. Viene attivato su richiesta dello studente e programmato con l’ausilio, prezioso, di un ufficio preposto. È un servizio che, dipendendo strettamente dalla disponibilità, e dunque dalla adesione volontaria di studenti e cittadini, può generare disparità di trattamento a seconda di questa disponibilità, del monte ore prefissato e della preparazione dei tutor sugli esami da sostenere. Può capitare che un tutor non ci sia, che abbia poche ore a disposizione (l’aumento dovrebbe determinare un incremento del compenso), che debba seguire laureandi in giurisprudenza senza aver mai sostenuto un esame di diritto, rendendo difficile la preparazione dello stesso per es. per un ragazzo con disabilità visiva, il cui apprendimento dipende dalla spiegazione che gli viene fornita all’atto dello studio, non solo della lezione, dovendo fare un maggiore sforzo mnemonico.

Si tratta di ragazzi di buona volontà, il cui impegno è esemplare. Ma per l’efficienza del servizio è necessaria una pianificazione a monte più puntuale. Si potrebbe separare rispetto agli altri, all’interno dei bandi per le borse di collaborazione, il servizio di tutorato, rendendolo unico e specifico, aumentando il monte ore e il compenso economico, così incentivando la partecipazione di studenti, magari già avanti nel percorso e appartenenti alle medesime facoltà in cui si trovano i ragazzi con disabilità. Andrebbe poi studiata una modalità che ne garantisca la continuità, quantomeno per qualche anno. Gli Atenei potrebbero istituzionalizzare il servizio, non lasciando il suo funzionamento alla sola libera adesione.

3. Vi è poi la questione del reperimento del materiale didattico. Di recente è stato modificato l’art. 71-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633 sul diritto d’autore, a seguito della procedura di infrazione n. 2018/0354 per l’attuazione della direttiva UE 2007/1564, il quale definisce liberi gli atti di riproduzione per determinate categorie di soggetti, in particolare le persone non vedenti, indipendentemente da altre forme di disabilità, nonché le entità, pubbliche e private, autorizzate a realizzare copie in formato accessibile a favore di un beneficiario.

Le basi normative non mancherebbero, ma a valle il sistema risulta ancora farraginoso: diversi Atenei hanno predisposto un catalogo di opere in formato digitale nell’ambito del sistema bibliotecario, cui lo studente può liberamente accedere. Qualora però il manuale ricercato non fosse presente, il ragazzo, con l’ausilio dell’ufficio preposto, deve avviare un iter per il suo reperimento fra gli Enti convenzionati, o cercare soluzioni diverse insieme al docente. Per quanto in certi casi, e in determinate facoltà, ove magari l’aggiornamento dei manuali non è così frequente, questo sistema funzioni, in altri diventa causa di rallentamento del percorso di studi. Anche quando la richiesta di reperimento del materiale mancante perviene prima dell’inizio del corso, la comunicazione non agevole con le case editrici non permette ai ragazzi di avere a disposizione i manuali aggiornati in tempo per preparare, alla pari con gli altri, pur avendo più difficoltà, gli esami nel semestre previsto. Non sono rari i casi di studenti che stipulano abbonamenti a loro spese con le case editrici per avere accesso più rapido al materiale. Il sistema andrebbe allora aggiornato all’inizio di ogni semestre, chiedendo ai docenti di informare tempestivamente gli addetti circa i cambi effettuati, a prescindere dalla richiesta dello studente.

4. A questo si aggiunge, pur non valendo per tutti, il difficile dialogo con il corpo docente, cui spesso viene chiesto aiuto sia per il materiale didattico, sia per la fissazione ad hoc degli appelli. Forse a causa del retaggio assistenziale tipico della relazione con le persone disabili, che invece, si è detto, dovrebbe caratterizzarsi per la rimozione delle barriere a garanzia dell’autodeterminazione, i docenti non si prodigano per trovare soluzioni personalizzate, ma affermano di non poter fare più di quanto previsto o ancora scaricano responsabilità: è evidente la carenza di una chiara sensibilizzazione sul punto. Permettere per es. ad un ragazzo con disabilità di sostenere individualmente gli esami, nell’ambito di un sistema “aperto” di appelli, rappresenterebbe un grandissimo passo avanti. I tempi per questi ragazzi, a seconda del tipo di difficoltà, sono realmente diversi. Andargli incontro in questo senso scoraggerebbe di molto l’abbandono del percorso di studi.

I problemi sono tanti e riguardano la quotidiana vita universitaria, dal trasporto, il cui costo, vista la lentezza delle procedure per i bandi pubblici, è sovente a esclusivo carico delle famiglie, alle postazioni di studio riservate. Non si vuole di certo negare gli obiettivi raggiunti, bensì sollecitare un impegno maggiore, anche politico, per delineare un sistema che già a monte si mostri più chiaro ed efficiente, perché questi ragazzi concludano il loro percorso in tempi ragionevoli. È il profondo senso della gratuità e della reciprocità, che non riconducono i comportamenti umani nell’ambito esclusivo del contratto e di ciò che è dovuto, ma incentivano la responsabilità relazionale.

Davide Bevivino

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