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Con un pregevole film, duro ma dal ritmo serrato ed incalzante (pur non esente da criticità), il regista Rodrìguez racconta la storia di un giovane detenuto in attesa di giudizio nella Spagna della Transición, sollevando tematiche tuttora attualissime sullo stato degli istituti penitenziari e sulla dignità dei detenuti.

Il regista spagnolo Alberto Rodríguez Librero, sensibile autore non indifferente al tema della risposta alla criminalità e del trapasso dal regime franchista al ritorno del Re e della democrazia, ha recentemente prodotto un film interessante e significativo per quanto concerne il problema del regime penitenziario e dei suoi risvolti sociali, senza con ciò negare alla pellicola un ritmo narrativo sostenuto e coinvolgente. Lo fa, inoltre, adottando il punto di vista di un detenuto in attesa di giudizio, rendendo possibile l’accostamento della pellicola all’omonimo celebre film di Nanni Loy (1971), con Alberto Sordi nel ruolo del protagonista.

La vicenda è ambientata a Barcellona, fra gennaio 1976 e giugno 1978. Il protagonista Manuél (Miguel Herràn), 30enne apparentemente di estrazione borghese e ben vestito, viene tradotto nel carcere Modelo di Barcellona (da cui il nome del film in lingua originale, Modelo 77) – collocato in una zona abbastanza centrale del capoluogo catalano, similmente a Regina Coeli nella città di Roma, e dal 2017 ridestinato a spazio memoriale[1] – per essersi appropriato di una somma di circa 50mila pesetas (equivalenti a circa 1200 euro odierni) a danno dell’impresa per la quale lavorava come contabile.

L’avvocato d’ufficio inizialmente assegnatogli gli comunica svogliatamente che non si sa ancora quando saranno fissate le prime udienze, che la pena probabile si aggira fra i 6 e gli 8 anni e che nel frattempo c’è la custodia cautelare. L’inizio del periodo di custodia consiste in 15 giorni di isolamento in stanzoni sporchi e gelidi.

La Spagna dell’epoca è ben lontana da quella attuale. Il generale Francisco Franco è appena morto e nelle carceri non si respira alcunché del progressivo cambiamento di regime: le condizioni di detenzione sono incivili, parte degli arredi della cella sono venduti dall’amministrazione e la polizia penitenziaria, sempre pronta a cercare di appropriarsi degli effetti personali dei neoarrestati, ricorre generosamente alla violenza fisica, con il morto che ci scappa ripetutamente. Come se non bastasse, i detenuti non sono tutti uguali: c’è El Marbella (Fernando Tejero) che, dal Sesto braccio, esercita fiorenti commerci e comanda bande.

Nel terzo braccio del carcere, Manuél viene collocato in cella con il generoso e simpatico proletario Negro (Jesùs Carroza) e con il consumato ed inizialmente cinico Pino (Javier Gutierrez), personaggio che progressivamente si rivela straordinario, assurgendo a deuteragonista del film. Al contempo, viene in contatto con i prigionieri politici non ancora liberati, fra i quali spicca il medico Boni (Xavi Sàez): da essi verrà convinto ad attivarsi per il COPEL, comitato di carcerati che si diffonderà in tutta la Spagna, del quale il giovane diventa ben presto uno dei leader.

Senza rivelare altro, sembra opportuno introdurre alcuni personaggi: Lucìa (Catalina Sopelana), unica persona che raggiunge Manuèl nel parlatorio, probabilmente all’inizio sorella della di lui fidanzata, che per qualche motivo si appassiona alla causa e diventerà lei stessa la fidanzata del giovane; l’avvocato dei collettivi pro-detenuti Arnau Solsona, che si impegna generosamente, ma con un certo eccesso di idealismo sia per il caso di Manuél che per la questione politica della riforma del regime carcerario; il direttore del carcere Modelo di Barcellona, soggetto apparentemente istituzionale ma in realtà violento e corrotto; il giovane nuovo direttore centrale del sistema penitenziario, che intervista a lungo Manuél mosso anch’egli da idealismo, ma che si rivela comunque poco incisivo.

A latere di alcuni difetti rinvenibili in un certo barocchismo delle scene di rivolta, in alcune affermazioni ideologiche e in un prolungarsi in parte eccessivo della pellicola, si tratta di una pregevole opera, che porta lo spettatore ad interrogarsi per almeno un paio d’ore sul senso della pena e dell’istituzione carceraria.

Si tratta di istituti che nessun ordinamento democratico, allo stato, mira concretamente ad abolire[2]. Tuttavia, gran parte delle costituzioni del dopoguerra – ivi incluse quella spagnola del 1978 (art. 25 co. 2)[3], entrata in vigore solamente negli ultimi mesi della vicenda di Prigione 77, e quella italiana (art. 27 co. 3) – dedicano gli stessi, oltre che ad una doverosa e proporzionata opera di retribuzione, alla rieducazione o risocializzazione della persona che ha commesso il reato, imponendo l’umanità del trattamento penitenziario ed il rispetto della dignità della persona umana del soggetto ristretto, curandone la salute fisica e psicologica nonché favorendone, ove possibile, la formazione professionale ed intellettuale.

Siffatti temi, tanto nella Spagna della Transición quanto nella quasi ottantenne Repubblica italiana del 2023, sono ben lontani dall’essere esauriti: prova ne siano gli allarmanti dati del sovraffollamento[4], dei suicidi in carcere[5] e, all’uscita da esso, delle recidive[6]. Per non parlare dei fatti di violenza dei tutori dell’ordine nel contesto carcerario.

Anche per questo, l’opera è meritevole di visione e diffusione, con qualche attenzione ai giovanissimi, onde favorire un dibattito che vada oltre le posizioni stereotipe diffuse trasversalmente nella società.

Francesco Camplani, PhD


[1] Sito ufficiale: https://www.lamodel.barcelona/es .

[2] Si lasciano volutamente fuori dal discorso le teorie, tanto idealistiche quanto poco praticabili, sulla società senza carcere, facendo piuttosto riferimento ad Alfredo Mantovano, Scegliere prego: o il corteo anti-carcere o lo scandalo per lo stupratore in libertà, in Questo sito, 9 dicembre 2017.

[3] Testo reperibile sul sito del Congreso: https://app.congreso.es/consti/constitucion/indice/titulos/articulos.jsp?ini=25&tipo=2

[4] Cfr. il XIX Rapporto Antigone: https://www.rapportoantigone.it/diciannovesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/numeri/

[5] Cfr. https://www.rapportoantigone.it/diciannovesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/suicidi-e-autolesionismo/

[6] Dati significativi e recenti sono stati diffusi in occasione del convegno Le dimensioni della dignità nel lavoro carcerario, in occasione della presentazione dell’omonima monografia di Francesca Malzani (Giappichelli, Torino, 2022): sui 18.654 (34% dei presenti) di cui 16.181 alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria (84,7%) e 2.473 per imprese/cooperative esterne, la recidiva scende al 2%, laddove per gli altri – che ricaviamo essere il 66% rimanente, oltre 39mila individui – si colloca dalle parti del 70%: cfr. https://www.cnel.it/Comunicazione-e-Stampa/Notizie/ArtMID/694/ArticleID/2563/CARCERE-TREU-RECIDIVA-AL-2-PER-DETENUTI-CHE-LAVORANO, nonché la registrazione del convegno (https://www.youtube.com/watch?v=6ipwFhy8pZk ). Sul tema del lavoro per chi sconta la pena cfr. Francesco Cavallo, Dal Tribunale di Palermo un segnale concreto per dare un futuro a chi esce dal carcere, in Questo sito, 29 ottobre 2021.

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