Con l’avv. Paolo Maci, professore a contratto di legislazione scolastica a UniPegaso, proseguiamo la riflessione iniziata ieri (cf. https://www.centrostudilivatino.it/se-la-magistratura-italiana-entra-pure-in-quel-che-compete-alla-chiesa/) sulla sentenza delle Sez. Unite civili della Corte di Cassazione n. 12442/2022, e quindi sulla vicenda che ha interessato la Pontificia Università Lateranense: al di là del caso specifico, preoccupa lo sconfinamento della magistratura e la mancata percezione del venir meno di spazi di autonomia per la Chiesa, tutelati dall’accordo concordatario.
1. Il giudice italiano può sindacare le scelte della Pontificia Università Lateranense? Sul punto i due massimi organi giurisdizionali italiani, il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione, la pensano diversamente. Tutto nasce dalla decisione della PUL-Pontificia Università Lateranense di non accogliere la domanda di ammissione al corso di dottorato di ricerca in diritto civile di un laureato in giurisprudenza in una università italiana. La PUL aveva motivato il diniego adducendo che il titolo in base al quale era stato richiesto l’accesso – la laurea specialistica in giurisprudenza conseguita in Italia – non fosse titolo idoneo all’accesso al suddetto corso.
La controversia, promossa dall’aspirante al dottorato, aveva visto esprimersi in proprio favore il TAR Lazio[1], che aveva ritenuto equipollente la laurea specialistica a quella magistrale, e prima ancora aveva ritenuto sussistere la giurisdizione del Giudice amministrativo sulla questione devoluta, poiché rientrante nel novero delle attività di “istruzione, educazione e cultura”, diverse, ai sensi dell’art. 16 della l. n. 222 del 20 maggio 1985, da quelle di religione o di culto. Sul punto il TAR Lazio aveva richiamato la sentenza della Cass., Sez. Un., 18 settembre 2017, n. 2154 secondo cui “la Pontificia Università Lateranense rientra tra gli istituti ecclesiastici di educazione ed istruzione e, come tale, non è un soggetto sovrano internazionale (o un suo organo), né è annoverabile tra gli ‘enti centrali della Chiesa cattolica’, esentati da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano, ai sensi dell’art. 11 del Trattato Lateranense del 11 febbraio 1929”.
Il Consiglio di Stato[2] ha poi accolto l’appello avverso la decisione del TAR ritenendo il difetto di giurisdizione. Nel riformare la sentenza del TAR, il CdS sottolineava l’autonomia della Pontificia Università Lateranense, ritenendola “ente centrale della Chiesa Cattolica” anche alla luce della conforme dichiarazione resa in data 13 febbraio 2019 dalla Segreteria di Stato Vaticana. Adduceva, in ogni caso, nel merito, la carenza di interesse del ricorrente in quanto il dottorato di ricerca istituito dalla Pontificia Università Lateranense non conferiva un titolo riconosciuto dallo Stato Italiano.
2. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, investite della questione per motivi attinenti la giurisdizione, censurano oggi la sentenza del CdS, affermando, di converso, che “l’attribuzione dei titoli di studio o di dottorato o di istruzione superiore non riguarda il governo della Chiesa ma integra una normale attività jure gestionis”, come tale soggetta alla giurisdizione italiana. A prescindere dal merito della questione, a proposito della quale sembra indubbia la carenza di interesse da parte del ricorrente, atteso che, come osserva il CdS, il titolo di dottore di ricerca ambìto non è riconosciuto in Italia, e dai tecnicismi che inevitabilmente la connotano, la vicenda interroga la possibilità per lo Stato Italiano, attraverso i suoi organi giurisdizionali, di conoscere delle decisioni assunte dalla Pontificia Università Lateranense che attengano alla sua vita interna, quale è quella – nel caso che ci occupa – relativa alla possibilità o meno, a mente delle norme che la governano, di ammettere uno studente al proprio corso di studi.
Si tratta di una vicenda emblematica perché riguarda la vita di uno degli enti più rappresentativi dello Stato Vaticano. Non è errato ritenere che quello della Cassazione sia un indebito tentativo di “sconfinamento” nella vita interna della Chiesa. E in effetti, come osserva il CdS, non vi è dubbio che la predetta università sia considerata dalla Città del Vaticano quale “ente centrale della Chiesa Cattolica” e come tale sia esentata da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano, ai sensi dell’art. 11 del Trattato Lateranense del 11 febbraio 1929.
3. Che sia così rinviene da un atto proprio dello Stato presso il quale detta università è incardinata, che formalmente ne ha riconosciuto la natura e la funzione. Oltre a questo, sarebbe sufficiente andare al di là del mero dato formale, pure in questa sede dirimente. La PUL è una “Università ecclesiastica, canonicamente eretta dal Vescovo di Roma e perciò legata a titolo speciale alla Sede Apostolica, che coltiva e insegna la dottrina sacra e le scienze con essa collegate, conferendo i gradi accademici per autorità della Santa Sede”. E proprio per questo vi è un rapporto strettissimo tra tale Pontificia Università e il Pontefice, come sottolineò S. Giovanni Paolo II durante la sua prima visita all’Ateneo, il 16 febbraio 1980, nel discorso pronunciato in Aula Magna: parlando a tutte le componenti accademiche, la definì “l’Università del Papa”.
Una università nata quindi nel seno della Chiesa e sua diretta emanazione, come testimonia la sua storia: le sue origini si fanno risalire al 1773, quando papa Clemente XIV soppresse la Compagnia di Gesù e affidò le facoltà di teologia e di filosofia del Collegio Romano al clero della diocesi di Roma; e come attesta pure la sua particolare strutturazione: è presente in 15 paesi con 29 sedi. Anche per questo la pretesa di assoggettarla alla giurisdizione dello Stato Italiano rivela una visione non corretta della natura che la connota. Ritenere, poi, come fa la Suprema Corte, la decisione circa l’ammissione o meno a un corso di studi della PUL sia un atto compiuto “iure gestionis”, e quindi una questione tra due soggetti che operano in regime di diritto privato, e come tale sottoponibile al vaglio della giurisdizione italiana è una evidente forzatura.
4. La questione che preoccupa è che un potere dello Stato Italiano, in questo caso il potere giurisdizionale, possa ex se giudicare la valenza e la portata di un atto “politico” di un altro Stato Sovrano, quale è appunto lo Stato della Città del Vaticano. Perché è indubbio che nel riconoscere quale “Ente centrale della Chiesa Cattolica” la Pontificia Università Lateranense la Segreteria di Stato Vaticana abbia voluto compiere un atto in senso lato “politico”. Abbia, cioè, voluto affermare la propria volontà di Stato Sovrano in relazione alla qualificazione di un organismo che è parte integrante della propria identità e della propria storia e quindi riaffermare, su di esso, la propria esclusiva giurisdizione, proprio a mente dei trattati che regolano i rapporti tra Stato Italiano e Chiesa Cattolica.
Disconoscere la valenza di tale gesto, al di là della specifica questione, è un precedente non nuovo, ma non confortante. Perché è l’ennesimo caso in cui ‘Cesare’, qui con la toga indosso, si occupa di ciò che non gli è dato.
Paolo Maci
[1] Sent. TAR Lazio (Sezione Terza) in forma semplificata n. 12361/2020
[2] Sent. CdS (sezione sesta) In forma semplificata 03670/2021