La dispersione scolastica è un fenomeno complesso ed è aggravato dalla pandemia. Nonostante i progetti e gli interventi programmati, il tasso italiano di abbandono scolastico o di insufficiente formazione dei giovani è tra i più alti in Europa. Perché profittare del Recovery fund per incrementare le risorse da investire su questo fronte.
1. Covid-19 ha causato e sta causando conseguenze negative soprattutto fra le persone più vulnerabili. Già nell’aprile 2020 il Comitato istituito in attuazione della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ha espresso preoccupazione per i bambini e per gli adolescenti per l’aumento delle disparità nel campo dell’istruzione, determinate anche dalla didattica a distanza.
Con riferimento all’Italia, la pandemia ha accentuato problemi e differenze territoriali nei servizi educativi e nell’accesso alla rete digitale. La chiusura così protratta delle scuole e le riaperture a singhiozzo hanno ampliato le ineguaglianze tra gli studenti. Numerosi sono stati i ragazzi che non hanno risposto agli inviti on line dei loro docenti perché non dotati di strumentazione o di collegamenti internet.
Le difficoltà legate alla didattica a distanza hanno quindi determinato un incremento della dispersione scolastica, come è stato sottolineato anche di recente dal Garante per l’infanzia e l’adolescenza, che da tempo si occupa di questa problematica, tanto da indicarla espressamente nel 2018 fra le cinque priorità per la scuola. Il fenomeno è complesso e ha cause molteplici, legate a motivi economici, culturali, di disagio individuale o familiare. Come si legge nel Rapporto MIUR 2018 sulla politica nazionale di contrasto del fallimento formativo e della povertà educativa, “la dispersione non è un fenomeno marginale … è causa e insieme conseguenza di mancata crescita e, al contempo, di deficit democratico nei meccanismi di mobilità sociale del nostro Paese ed è l’indicatore di una deficienza del nostro sistema in termini di equità”. Accanto alla dispersione consistente nella mancata o incompleta formazione scolastica da parte dei giovani in età scolare, vi è quella che viene indicata come “dispersione implicita”, che si verifica quando uno studente frequenta la scuola senza però acquisire la preparazione necessaria per poter poi lavorare, o inserirsi pienamente nella società.
2. L’art. 28 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, alla lett. e) prevede l’impegno da parte degli Stati di adottare “misure per promuovere la regolarità della frequenza scolastica e la diminuzione del tasso di abbandono delle scuole”. Nell’ottica del raggiungimento di questi obiettivi, nell’ottobre 2018 il MIUR ha stipulato con l’Unicef Italia un protocollo di durata triennale col coinvolgimento degli insegnanti e delle figure impegnate nella formazione dei bambini e degli adolescenti.
Rispetto agli altri Paesi europei, ha ancora un tasso di abbandono scolastico tra i più alti, soprattutto al sud e tra i giovani nati all’estero. Le ragioni vanno cercate nella mancanza di un’effettiva alleanza scuola-famiglia, come osservato dal direttore nazionale delle prove Invalsi Roberto Ricci, il quale ha altresì sottolineato, sulla base dei risultati dei test Invalsi, che uno studente su cinque sbaglia la scelta della scuola, con conseguente frequente interruzione del percorso scolastico; a questo si affiancano gli insuccessi scolastici e le bocciature, che portano il più delle volte gli studenti alla perdita della motivazione, con la decisione di non proseguire gli studi.
La percentuale di giovani nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni che abbandonano precocemente l’istruzione e la formazione è stata del 13,5% nel 2019, con un calo rispetto al 14,5% dell’anno precedente, che conferma la tendenza al ribasso dell’ultimo decennio. Pur essendo al di sotto dell’obiettivo nazionale del 16%, il tasso di abbandono scolastico resta al di sopra della media UE del 10,2%, e si situa a notevole distanza dal parametro di riferimento UE 2020 del 10%. Tra le regioni i tassi variano in modo considerevole, dal 9,6% nel Nord-est al 16,7% nel Sud. I ragazzi hanno più probabilità delle ragazze di abbandonare la scuola prima del tempo: il 15,4 % contro l’11,3 %. Attestandosi al 32,5%, il tasso di abbandono scolastico per i giovani tra 18 e 24 anni nati all’estero è quasi il triplo rispetto a quello di chi è nato in Italia (11,3%) ed è notevolmente superiore alla media UE del 22,2 %.
3. Il rapporto racconta inoltre che nonostante un leggero aumento nel 2018, la spesa per l’istruzione in Italia rimane tra le più basse nell’UE. Nel 2018 la spesa pubblica per l’istruzione è aumentata dell’1% in termini reali rispetto all’anno precedente, ma resta ben al di sotto della media UE, sia in percentuale del PIL (il 4 % contro il 4,6 %) sia in percentuale della spesa pubblica totale, che all’8,2 %, è la più bassa dell’UE (9,9%)[1]. Quello della dispersione scolastica è un tema coinvolgente ed attuale perché collegato a questioni rilevanti come il disagio giovanile, la devianza, l’esclusione sociale, la libertà, l’empowerment, l’identità e l’immigrazione. I minori con scarsa formazione corrono maggiori rischi di finire nelle mani della criminalità.
L’abbandono scolastico influisce dunque su quei grandi obiettivi che l’Europa si propone e costituisce uno dei principali fattori di rischio di disoccupazione, povertà ed esclusione sociale. In Italia finora non è esistita una politica del governo centrale contro il fenomeno della dispersione e la questione viene affrontata dalle Regioni, ognuna in modo separato e con grado diverso di attenzione. Eppure l’importanza dell’istruzione nella crescita e nella maturazione psicofisica dei minori è sancito dall’Europa, ed è alla base della nostra Costituzione, che lo riconosce come diritto universalmente garantito.
I nostri studenti sono molto diversi dal passato: col tempo sono emersi nuovi bisogni, nuovi problemi e nuove vulnerabilità, ed è mutato profondamente il contesto sociale, politico ed economico. Il sistema scolastico fa parte della c.d. società liquida, senza punti di riferimento, dove ciascuno sperimenta l’incertezza della propria vita e del proprio lavoro. A questo si aggiunge la crisi dei valori tradizionali come la famiglia e il matrimonio e le trasformazioni dovute ai movimenti migratori, la crisi economica, la globalizzazione e l’avvento delle tecnologie; le relazioni interpersonali tendono ad essere sempre più fragili con l’aumentare dell’individualismo; non sempre inoltre i genitori sono in grado di rispondere in maniera adeguata ai bisogni dei propri figli. In considerazione di ciò, l’alleanza scuola-famiglia diventa ancora più importante per garantire ai minori la formazione di cui necessitano.
Il miglioramento delle chances di vita e del benessere delle giovani generazioni deve essere quindi al centro delle azioni programmate per il superamento della crisi, anche in considerazione del fatto che il c.d. Recovery Fund in realtà si chiama Next Generation EU, ovvero è destinato precisamente a questo obiettivo, per il presente e per il futuro. Sarà quindi cruciale l’investimento sulla scuola e l’educazione.
4. James Heckman, premio Nobel per l’Economia nel 2000, ha descritto all’interno di una “equazione” un’innovativa concezione di capitale umano: la possibilità di creare cittadini più capaci, più produttivi e di valore deriva dalla somma dell’investimento nelle risorse educative della famiglia e dal sostegno e lo sviluppo delle competenze cognitive e socio-emotive dei bambini a partire dalle fasi precoci. L’effetto dell’investimento sulle competenze future di un individuo è tanto più efficace quanto maggiore è il livello delle competenze già possedute in partenza dal soggetto e quanto migliore è il contesto familiare di provenienza[2].
Per investire sul capitale umano delle giovani generazioni e sostenere il loro diritto allo studio e a una educazione di qualità fin dai primi anni di vita dovrebbe essere dedicato il 15% del totale degli investimenti programmati nel quadro del Recovery Fund: ciò farebbe arrivare gradualmente a regime allo standard europeo di un investimento in educazione del 4,5-5% sul PIL. Tale investimento straordinario è necessario per ampliare l’offerta educativa fin dalla primissima infanzia, per dotare le scuole delle risorse infrastrutturali, tecnologiche e umane necessarie, a partire da un riequilibrio a favore delle aree attualmente più svantaggiate e/o con una maggiore incidenza di soggetti vulnerabili.
Daniele Onori e Daniela Bianchini
[1] Vedi https://www.orizzontescuola.it/dispersione-scolastica-quota-in-calo-in-italia-ma-tra-le-piu-alti-nellunione-europea-i-dati
[2] Vedi J. Heckman e Tim Kautz, Formazione e valutazione del capitale umano. L’importanza dei «character skills» nell’apprendimento scolastico, 2017