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Il presidente emerito di sezione della Cassazione Pietro Dubolino concentra la riflessione (su cui in generale cf. https://www.centrostudilivatino.it/referendum-per-la-giustizia-giusta-una-lettura-ragionata-dei-quesiti-proposti/) sul quesito referendario, uno dei cinque per i quali si è inviatati al voto domenica prossima, riguardante la custodia cautelare. L’intervento riprende, con minime modifiche, quello pubblicato il 2 giugno dal quotidiano ‘la Verità’.

1. Chiedete ad uno qualsiasi dei vostri conoscenti che incontrate per la strada, al supermercato o al bar sotto casa se troverebbe giusto e normale che un ladro plurirecidivo, arrestato per l’ennesima volta nella flagranza del reato di furto in abitazione o di furto con scippo, debba, per legge, essere immediatamente scarcerato e lasciato nella più totale libertà, fino a che non sia intervenuta a suo carico (mediamente dopo non meno di tre o quattro anni), una sentenza definitiva di condanna. E ciò perché non sarebbe applicabile nei suoi confronti, mancando il pericolo di fuga e di inquinamento delle prove, non solo la custodia in carcere ma anche ogni e qualsiasi altra misura cautelare quale, ad esempio, gli arresti domiciliari, l’obbligo di presentazione periodica alla polizia giudiziaria, l’obbligo di dimora, etc. Con 99 probabilità su 100 la risposta a una tale domanda sarà quella che una legge del genere sarebbe da considerare assurda, e chi l’avesse concepita dovrebbe essere mandato a fare un altro mestiere.

Eppure quella descritta sarebbe niente più e niente meno che una delle situazioni che si verrebbero a creare se, alla prossima consultazione referendaria venisse approvato il quesito n. 2, con il quale si propone la parziale abrogazione dell’art. 274, comma 1, lett. c), del codice di procedura penale nella parte in cui, quando vi sia pericolo di reiterazione di condotte criminose della stessa specie di quella per cui si procede e per le quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore a determinati limiti, possa essere applicata la custodia cautelare in carcere o un’altra misura cautelare personale di tipo coercitivo; possibilità, questa, che verrebbe, quindi,  conservata per il solo caso in cui il pericolo di reiterazione di condotte criminose riguardi reati commessi con armi o altri mezzi di violenza personale ovvero reati di criminalità organizzata o diretti contro l’ordine costituzionale.

2. L’esempio che si è fatto, relativo al caso del furto, potrebbe estendersi ad un’infinità di altri reati che, pur non essendo commessi con armi o con altri mezzi di violenza personale, non possono, per ciò solo, essere ritenuti tali da non produrre grave insicurezza e allarme sociale nella vita quotidiana dei comuni cittadini. Basti pensare che tra essi rientrano la rapina e l’estorsione (quando non siano commessi con violenza alla persona o aggravati dall’uso di armi), lo spaccio di stupefacenti, anche se aggravato per l’ingente quantitativo o perché commesso in danno di minori,  gli atti persecutori (c.d. “stalking”), la truffa, la ricettazione, i maltrattamenti in famiglia.

Da notare, poi, che per la maggior parte dei detti reati è e resterebbe previsto, in caso di flagranza, l’obbligo dell’arresto, eseguito il quale, però (magari con rischio e fatica da parte della polizia giudiziaria che deve provvedervi), e intervenuta la successiva convalida, da effettuarsi entro il termine massimo di 96 ore, l’arrestato andrebbe immancabilmente rimesso nella più totale libertà. E’ facile immaginare quale sarebbe l’effetto di tutto ciò sul morale delle forze dell’ordine e sulla fiducia (già scarsa) nutrita dai cittadini nella protezione che ad essi viene offerta dallo Stato contro i malviventi.

3. Ciò che però stupisce, a questo punto, è che la risposta positiva al quesito referendario venga sollecitata proprio da una buona parte dei partiti che sono o vengono comunemente ritenuti “di destra”, in clamoroso ed inspiegabile contrasto con la inveterata tradizione della destra, che da sempre, com’è noto, si è posta, come obiettivo primario della propria azione politica, la tutela della sicurezza dei cittadini contro ogni manifestazione di criminalità, a cominciare soprattutto da quella c.d. “di strada”, che, piaccia o non piaccia, è anche quella che, per la sua visibilità e la sua frequenza, è avvertita dalla maggior parte delle persone come la più insopportabile.

D’altra parte, non è neppure sostenibile che l’eventuale approvazione della proposta referendaria gioverebbe al conseguimento del pur apprezzabile obiettivo dichiaratamente perseguito dai promotori del referendum, cioè la riduzione dell’eccessivo potere che le norme vigenti attribuiscono alla magistratura, con particolare riguardo a quella inquirente. L’eccessività di tale potere, infatti, non è certo legata alla possibilità, in sé e per sé del tutto ragionevole, di disporre l’applicazione di misure cautelari nei confronti di soggetti che, raggiunti da gravi indizi di colpevolezza (condizione comunque imprescindibile), diano luogo, “per specifiche modalità e circostanze del fatto” o per la loro “personalità”,  quale “desunta da comportamenti o atti concreti” ovvero dai “precedenti penali” (come espressamente previsto dalla legge), al pericolo di reiterazione di condotte criminose.

La radice del problema è, infatti, da ricercare essenzialmente in un’altra norma, e precisamente l’art. 330 del codice di procedura penale che, innovando rispetto a quanto era previsto dal precedente codice, rimasto in vigore fino al 1988, consente al pubblico ministero di instaurare procedimenti penali a carico di chiunque, parlamentari compresi, sulla sola base di vere o presunte notizie di reato di cui lo stesso pubblico ministero, di propria iniziativa e a sua totale e insindacabile discrezione, sia andato alla ricerca, così esercitando un potere che, di fatto, non può non assumere connotazioni anche politiche. Ma questa norma non è oggetto di quesito referendario e neppure, per quanto è dato sapere, di iniziative legislative volte a sopprimerla o a modificarla. E finché ciò non avvenga, e non venga altresì ripristinato l’istituto dell’autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari, quale previsto dall’art. 68 della Costituzione, nella sua originaria formulazione, ogni speranza di miglioramento della situazione attuale è destinata a rimanere pura illusione.

                            Pietro  Dubolino

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