1. Il 2 luglio inizierà la raccolta delle firme previste dalla Costituzione in calce ai sei quesiti referendari “per la giustizia giusta”, proposti dal Partito radicale e dalla Lega. Da domani su questo sito il Centro studi Rosario Livatino offrirà una prima lettura dei quesiti medesimi, verificando per ciascuno di essi – una al giorno – sia i problemi di ammissibilità, sia gli effetti derivanti dalla sua eventuale approvazione, sia il differente impatto sul sistema istituzionale. Le materie trattate sono assai eterogenee: si pensi alla importanza del quesito sulla separazione delle carriere fra pubblici ministeri e giudici, e a quella, dal peso incomparabilmente inferiore, sulla raccolta delle firme per la presentazione delle candidature dei togati per l’elezione al Consiglio superiore della Magistratura.
I rilievi critici che saranno articolati non equivalgono a una presa di posizione contraria alle soluzioni che i referendum prospettano. Siamo sempre stati:
- perché i magistrati, secondo l’intenzione a base del primo quesito, siano chiamati a responsabilità effettiva per loro condotte contrarie, oltre che al codice penale, ai principi deontologici, soprattutto quando questo si traduce in danni gravi alle persone e alla comunità;
- per una effettiva separazione delle carriere (secondo quesito);
- per un uso accorto ed equilibrato dei provvedimenti restrittivi della libertà (terzo quesito);
- per una revisione delle fattispecie incriminatrici dei pubblici amministratori (quarto quesito), soprattutto per quelle iniziative di indagine penale che, magari senza pervenire a sentenze di condanna, comunque ostacolano il lavoro degli stessi amministratori e impediscono la realizzazione di obiettivi pubblici anche importanti;
- per una riforma del CSM, oggetto minimale del quinto quesito, che ridimensioni le c.d. correnti;
- per considerare l’amministrazione della giustizia non come qualcosa di riservato in via esclusiva ai magistrati, bensì come qualcosa che veda il coinvolgimento degli avvocati e del personale delle cancellerie e ausiliario (sesto quesito).
2. Abbiamo prospettato più volte riforme in tale direzione, prima e dopo l’esplosione del c.d. caso Palamara, per es. in occasione del nostro convegno nazionale del 29 novembre 2019, i cui atti sono pubblicati in In vece del Popolo italiano. Percorsi per affrontare la crisi della magistratura (a cura di A. Mantovano) ed Cantagalli, Siena 2020, e prima ancora, il 20 ottobre 2017, col convegno nazionale Giudici senza limiti?, con le relazioni, fra gli altri di Anthony Borg Barthet, giudice alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e di Francisco Javier Borrego Borrego, giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo. Per non dire dei numerosi interventi specifici; cf. di recente, sull’abuso della custodia cautelare, https://www.centrostudilivatino.it/ingiusta-detenzione-uno-scandalo-che-nessun-indennizzo-attenua/.
Non vi sono, pertanto, opposizioni nella sostanza, per lo meno nelle linee di massima, rispetto a quanto contenuto in una parte dei quesiti. Siamo anzi convinti per un verso che i referendum non costituiscano “un atto ostile nei confronti della magistratura”, come invece ha di recente dichiarato il presidente dell’Anm-Associazione nazionale magistrati, per altro verso che l’espressione di perplessità tecniche, e non politiche, sullo strumento abrogativo e sui correlati esiti normativi non è e non va inteso come “un atto ostile a chi sostiene questi referendum e soprattutto le motivazioni riformatrici che li animano”, come asserito da taluni promotori dei quesiti.
Poniamo tre linee di riflessione di ordine generale, fra loro strettamente correlate:
- la prima, di cui si darà conto puntuale nella disamina dei singoli referendum, riguarda l’inadeguatezza di tale strumento, esclusivamente abrogativo, per affrontare questioni complesse, per le quali l’operazioni del ‘togliere’, per quanto chirurgicamente esercitata, non sempre permette di ottenere all’esito un quadro coerente;
- la seconda riguarda la rinuncia da parte dei promotori dei referendum a prendere in esame, stando in Parlamento, interventi sull’architettura costituzionale, in particolare sull’assetto del C.S.M. e del sistema di autogoverno della magistratura. Questo vuol dire per es. che, nonostante la separazione delle carriere, se il relativo quesito fosse ammesso e approvato, resterebbe invariata la sottoposizione dei giudici, quanto a carriera, incarichi e disciplina, a organi composti anche da pubblici ministeri, e viceversa, con un incremento della confusione;
- la terza è una certa sorpresa nel vedere i referendum appoggiati da forze politiche presenti con propri ministri nel governo in carica, e nella maggioranza che lo sostiene: posizione dalla quale ci si attende piuttosto che siano formulate proposte di riforme e sostegno del loro iter parlamentare.
3. All’argomento che, in presenza di una maggioranza eterogenea, diversificata al proprio interno proprio sulla giustizia, i referendum costituirebbero uno sprone per le riforme, è agevole replicare che, quand’anche tutti i quesiti fossero ritenuti ammissibili dalla Corte costituzionale (e non è detto che sia così), e fossero approvati, si dovrebbe tornare in Parlamento per i necessari aggiustamenti che le materie da essi interessati esigerebbero: tanto varrebbe, allora, affrontare subito lo sforzo propositivo e costruttivo del confronto parlamentare, invece che cercare soluzioni più semplici solo in apparenza.
L’agenda europea per il post pandemia esige una attenzione peculiare per l’universo giudiziario, stretto finora fra un utilizzo ideologico e settoriale dei fondi europei del PNRR, quale quello finora programmato, e l’assenza dei temi chiave di una riforma vera. Appuntamento a partire da domani con la disamina del quesito referendario sulla responsabilità civile del magistrato.