Il blocco dei concorsi pubblici e delle abilitazioni professionali, con la sola eccezione dei medici, ha pesanti ricadute sociali e economiche. Perché è insufficiente la piccola apertura allo svolgimento dei concorsi pubblici inserita nell’ultimo dPCM.
Da quando è iniziata la “crisi sanitaria”, dunque da quasi un anno, un settore abbandonato a sé stesso è stato quello dei concorsi pubblici e delle abilitazioni professionali.
Allo stato, ve ne sono molti sospesi – come il concorso I.N.P.S. con migliaia di candidati in attesa -, e innumerevoli altri bandi pubblicati e mai svolti: il blocco rallenta e ingolfa ancor di più il sistema della pubblica amministrazione italiana, già inadeguato ante pandemia.
La paralisi provoca incertezza nelle nuove possibili leve della P.A.: si tratta per lo più di giovani laureati che hanno investito tempo e denaro per formarsi e partecipare alle prove, e che vivono una stasi forzata, con danno anche economico. Per non dire della forte limitazione a un veloce ricambio generazionale nella macchina dello Stato.
L’ultimo D.P.C.M. sembrerebbe aver cambiato qualcosa: è, infatti, ammessa la possibilità dal 15 febbraio 2021 di svolgere in presenza alcune prove concorsuali con un massimo di 30 persone a sessione. Questa piccola apertura non è comunque è in grado di colmare i ritardi e di rimediare all’insufficienza di organico dell’Amministrazione, poiché la gran parte dei concorsi ha migliaia di candidati: quel limite dilata i tempi all’inverosimile.
Discorso analogo riguarda le abilitazioni professionali, tra le quali la più colpita è quella forense. Ogni anno a dicembre gli aspiranti Avvocati vivono una tre giorni di prove scritte, ottenendo l’esito dopo sei mesi. Quest’anno le prove sono state spostate nel mese di aprile, ma si fa strada la temibile prospettiva di rimandare ulteriormente gli scritti, alla luce della proroga dello stato di emergenza al 30 aprile: e questo mentre la professione medica in questo anno di pandemia ha continuato ininterrottamente – come l’emergenza imponeva – a ottenere nuovi giovani medici abilitati.
Viene spontaneo chiedersi come mai per i medici si trova un modo per svolgere serenamente e con il rispetto delle rigide regole sanitarie l’esame di abilitazione, e ciò invece non valga per ogni altra categoria professionale, a cominciare da quella forense. Nella sessione appena terminata del 2020 per l’esercizio della professione di psicologo sono state abolite le prove scritte, in luogo di un esame orale telematico.
Il blocco dei concorsi si è accompagnato in questi mesi, e continua ad accompagnarsi, all’utilizzo da grande parte degli impiegati statali della modalità di lavoro agile: un sistema che non permette un fluido accesso agli uffici pubblici, con particolare difficoltà per il settore Giustizia. I professionisti si trovano spesso a recarsi “a vuoto” negli uffici giudiziari, scoprendo che il cancellerie addetto alla richiesta dell’utente quel giorno lavora da casa, oppure che la cancelleria che cercano apre a determinati orari e giorni, con sensibili variazioni a seconda gli uffici giudiziari. Questo generalizzato disordine crea ulteriori ansie e preoccupazioni, oltre quelle sanitarie narrate ossessivamente da ogni canale di comunicazione, e impone un radicale cambio di passo, al di là di formali assicurazioni.
Stefania Ragaglia