1. A vent’anni di distanza dall’approvazione della legge n. 62/2000, che ha sancito l’appartenenza delle scuole paritarie al sistema nazionale di istruzione e ne ha riconosciuto il ruolo all’interno del servizio pubblico, si leva da più voci un grido di allarme per scongiurarne la crisi incombente. Il decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020, il cosiddetto “Cura Italia”, convertito nella legge n. 27 del 24 aprile 2020, che rappresenta il primo tra i provvedimenti aventi forza di legge con i quali è stato dato inizio alla c.d. Fase 2 della emergenza COVID-19, nulla ha previsto a sostegno delle scuole paritarie, nonostante i tentativi di taluni gruppi parlamentari, all’infuori di poche risorse destinate alla pulizia dei locali e all’acquisto di dispositivi di protezione e igiene personali.
E tuttavia le scuole paritarie, sono state, come tutti i soggetti protagonisti del sistema formativo italiano, sia pubblici che privati, destinatarie di quelle norme che ne hanno determinato la chiusura, o quantomeno disposto l’interruzione dell’attività didattica su tutto il territorio nazionale. Di altra natura sono le conseguenze che su quegli stessi enti si riverberano per effetto dell’impianto normativo dell’emergenza a seconda del tipo di soggetto erogatore del servizio che si prende in considerazione: mentre tutti gli enti erogatori di servizi di educazione e istruzione (le scuole statali, quelle private paritarie e quelle private non paritarie) sono destinatari delle stesse norme tra quelle previste per contenere l’espandersi del contagio in ragione del tipo di attività svolta, le conseguenze ulteriori rispetto all’applicazione della normativa emergenziale – per come sta prendendo forma nel nostro Paese – sono differenti perché prescindono, nel nostro caso, dalla natura del servizio offerto, ma sono legate alla natura del soggetto che quel servizio eroga.
2. È proprio questa schizofrenica impostazione del sistema a produrre ulteriori conseguenze negative. Le scuole paritarie cioè, che la legge vuole “senza fini di lucro,” per come è strutturato l’impianto normativo dell’emergenza possono fruire soltanto della cassa integrazione in deroga per i dipendenti, qualunque sia il loro numero. Non possono vantare né le garanzie che lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali assicurano per la gestione degli edifici che ospitano gli istituti scolastici, né le provvidenze economiche di cui – di converso – possono usufruire le scuole non statali e non paritarie che invece, avendo fini di lucro, strutturano la gestione della propria attività quale attività di impresa, dovendo farsi carico interamente di tutti quegli oneri che gravano comunque su quegli enti anche durante il periodo – come quello attuale – in cui non svolgono alcun tipo di attività didattica.
È un paradosso: quello in cui la parte rilevante del sistema di istruzione nazionale che fa riferimento alle scuole paritarie – parte essenziale ed integrante del sistema pubblico di istruzione – viene lasciato solo proprio da quello Stato che vent’anni fa, con la legge n. 62/2000 di riforma del sistema, intendeva finalmente dare attuazione alla previsione costituzionale: e per questo aveva preso atto e conferito dignità a un insieme strutturato di enti, istituzioni, organizzazioni che senza scopo di lucro condividevano gli stessi scopi pubblici perseguiti dallo Stato. E garantisce altresì la possibilità di continuare un servizio di educazione e di istruzione che esisteva ben prima della scuola statale, avendo avuto, e avendo, la capacità di mettere in piedi un progetto educativo “improntato ai princípi di libertà stabiliti dalla Costituzione”, secondo le stesse regole stabilite dall’ordinamento che vigono per la scuola statale. Tutto questo a fronte del solo pagamento delle rette richieste per l’iscrizione di alunni e studenti.
3. È evidente che, qualora si ritenga venuto meno l’obbligo del pagamento delle rette a seguito della chiusura delle scuole, al netto delle spese del personale, sostenute per una percentuale importante dalla cassa integrazione in deroga prevista dal D.L. Cura Italia almeno fino al 31 luglio 2020, le altre risorse necessarie al mantenimento in vita delle scuole paritarie mancano inesorabilmente all’appello. Per questo sono giustificate le preoccupazioni espresse dal Consiglio Permanente della CEI, secondo cui le scuole paritarie “se già ieri erano in difficoltà sul piano della sostenibilità economica, oggi – con le famiglie che hanno smesso di pagare le rette a fronte di un servizio chiuso dalle disposizioni conseguenti all’emergenza sanitaria – rischiano di non aver più la forza di riaprire”; oltre che dalla presidente dell’Unione superiore maggiori d’Italia (Usmi) madre Yvonne Reungoat e dal presidente della Conferenza italiana dei superiori maggiori (Cism) padre Luigi Gaetani, secondo cui, “senza un intervento serio dello Stato, il 30% delle scuole pubbliche paritarie sarà destinato a chiudere entro settembre, se non si dichiarerà bancarotta già entro maggio”.
Con l’ulteriore aggravio, come dicono ancora i Vescovi Italiani, “di alcuni miliardi di euro all’anno sul bilancio della collettività”, e della mancanza di servizi con cui supplirne l’assenza. Anche a non voler ricorrere, come in questo particolare frangente sarebbe consentito, a misure eccezionali e in deroga a quanto previsto dall’ordinamento, come quella della previsione di un fondo straordinario per sopperire all’emergenza, la soluzione potrebbe essere trovata proprio all’interno dell’ordinamento stesso, con l’incremento del fondo da assegnare alle famiglie previsto dall’art. 9 della legge n. 62/2000, con un intervento diretto delle Regioni a garanzia del diritto allo studio pure previsto dalla stessa legge, o con la detraibilità totale delle rette pagate dalle famiglie per garantire la frequenza a questo tipo di scuole. La Fase 2 deve per questo sostenere e valorizzare il ruolo di esse all’interno del sistema nazionale di istruzione.
Oltre agli interventi di natura economica, l’enorme patrimonio umano e di strutture delle scuole paritarie (180.000 tra docenti e operatori scolastici, 12.000 sedi scolastiche distribuite su tutto il territorio nazionale) potrebbe rivelarsi utilissimo per agevolare la ripresa nel comparto istruzione. Come suggerito da Cism e Uism, le paritarie, con la loro maggiore flessibilità, potrebbero cominciare ad accogliere almeno una parte degli alunni più piccoli durante le settimane iniziali della ripartenza, quando i genitori che riprenderanno a lavorare non sapranno come gestire i figli. Non solo: potrebbero mettere a disposizione delle scuole statali, a partire da settembre, una parte dei loro edifici, spesso non del tutto utilizzati, per garantire un sufficiente “distanziamento sociale” “in una sorta di patto educativo e civico” che rinsaldi quella visione unitaria del sistema nazionale di istruzione fatta propria dal dettato costituzionale e ribadita dalla legge 62, per molti versi ancora inattuata.
Paolo Maci
Avvocato – Professore a contratto di legislazione scolastica Università telematica Pegaso