“La tutela del segreto: del confessore e del difensore” è il titolo del convegno che il Centro studi Rosario Livatino organizza a Roma per il pomeriggio del prossimo 25 novembre (v. locandina a seguire), con le relazioni di S.Em. il cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere maggiore, e del prof. Mauro Ronco. Il convegno sarà introdotto dal dott. Domenico Airoma, che fornisce una prima lettura della problematica che sarà trattata.
1. Il segreto non è di moda. In un mondo dominato dai social media, dove l’esistenza è certificata dalla visibilità dei fotogrammi di vita postati in internet e dove la rettitudine coincide con il consegnarsi senza veli al giudizio del web, il segreto è sinonimo di asocialità e di immoralità. Eppure il nostro ordinamento giuridico prevede delle ipotesi in cui vi è un diritto al silenzio, in cui cioè la tutela del segreto diventa l’antemurale della libertà.
Il sistema penale italiano esonera, per esempio, dal dovere di testimoniare la persona indagata o imputata, sulla base della ritenuta prevalenza del diritto di difesa rispetto alla potestà punitiva dello Stato, che deve poter fare a meno della confessione del destinatario della pretesa stessa ai fini dell’accertamento della di lui responsabilità. Il principio nemo tenetur se detegere è espressione di una visione propria di una civiltà, non solo giuridica, che vede nella libertà della persona un cardine fondamentale. La confessione è il fine tipico del processo penale proprio dei regimi totalitari. Vi sono, poi, altri casi in cui il legislatore italiano, e non solo, riconosce il diritto al silenzio. Si tratta di talune deroghe al dovere di testimoniare che si fondano sul rilievo attribuito alla veste del dichiarante, al suo status, in quanto ritenuto coincidente con un interesse pubblico.
La disciplina è contenuta nell’art. 200 cod. proc. pen.: si fa riferimento a talune categorie professionali nonché ai ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
La prima domanda da porsi attiene alla ratio, cioè alle ragioni e alle finalità che hanno spinto il legislatore a prevedere delle deroghe ad un dovere, qual è quello di testimoniare, così fondante il consorzio civile. La dottrina e la giurisprudenza, in modo pressoché unanime, individuano la ratio nella libertà e sicurezza dei rapporti intimi e professionali. In altri e più chiari termini, quel che si vuole preservare dall’invadenza indebita dall’autorità statuale è il rapporto che si viene ad instaurare con quel professionista o con quel ministro la cui funzione è indispensabile per realizzare un’aspirazione o un bene della vita.
2. Fin qui, la ratio. Ma qual è l’oggetto della tutela? Esso è il diritto al segreto professionale, o meglio, ministeriale, nella sua funzione strumentale di protezione del sottostante interesse al ricorso alle prestazioni di necessità o quasi necessità; interesse che sostanzia diritti: come nel caso del diritto di difesa, nel diritto alla salute, nella libertà religiosa.
Ratio e oggetto della tutela spiegano pure come il legislatore intenda attribuire una posizione privilegiata non tanto alla persona esercente quella funzione, ma alla funzione, al ministero esercitato, e con esso al rilievo pubblico della stessa, per l’importanza che essa riveste per il consorzio civile e per il bene comune. Sul punto la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 87 dell’8 aprile 1997, ha chiarito come, in virtù della ratio della tutela accordata dal legislatore, la disciplina del segreto ministeriale debba intendersi non tanto come eccezione alla regola del dovere di testimoniare, ma come piena attuazione dei diritti e delle libertà sottostanti.
3. Poste tali premesse, destano non poche perplessità i recenti arresti giurisprudenziali, specialmente con riferimento al rapporto con il ministro religioso.
Ci si riferisce, in particolare, alla sentenza della Corte di Cassazione n. 6912 del 14 febbraio 2017, con la quale i giudici di legittimità, pur dopo aver riconosciuto che “deve ritenersi indubbio” che “l’ambito di segretezza riconosciuto agli ecclesiastici riguardo quanto abbiano conosciuto ‘per ragioni del loro ministero’” “vada ben oltre il concetto di ‘segreto confessionale’”, giacché, diversamente opinando, si riserverebbe alla confessione cattolica un trattamento deteriore rispetto alle altre confessioni che non conoscono il sigillo sacramentale della confessione, aggiungono, tuttavia, una considerazione demolitiva del principio affermato. Ed infatti, nella sentenza si legge ancora: “Ciò, ovviamente, non significa che il segreto possa investire qualsiasi conoscenza dell’ecclesiastico, bensì riguarda solo quella acquisita dell’ambito di attività connesse all’esercizio del ministero religioso.(…) Ad esempio, l’attività di assistenza a soggetti deboli, pur rientrante nella generica ‘missione’ dell’ecclesiastico (tanto da esistere specifici enti a ciò deputati nell’ambito della religione di appartenenza dei ricorrenti) non rientra certamente nell’esercizio diretto di ‘fede religiosa’”.
Al di là dell’oggettiva invasione di campo di stampo neo-giurisdizionalista, vi è da chiedersi, al di là dell’ambito sacramentale, a che cosa si riduca la sfera da intendersi ancora sottoposta a tutela, dal momento che i confini vengono individuati all’ambito esclusivamente spirituali o della fede religiosa; qualcuno si è lecitamente chiesto se il segreto riguardi, a questo punto, solo questioni di dottrina.
3. L’orientamento sopra esposto costituisce il sintomo di un attacco più generalizzato al segreto ministeriale. Alcune ragioni sono di ordine generale. Il segreto viene presentato come opacità da eliminare, in quanto contrastante con il dovere, generalizzato, di trasparenza. Si dimentica, tuttavia, che la trasparenza è un dovere delle autorità pubbliche, non del privato.
Vi è poi la declinazione della riservatezza come privacy, intesa in senso squisitamente soggettivistico, e non come riferita ad una relazione, men che meno avente rilievo pubblico. Altre ragioni attengono alla sfera dei rapporti con la religione e in particolare con la dimensione pubblica della religione.
Si tende a negare, di principio, che la religione possa avere una rilevanza giuridica pubblica, in qualche modo concorrente o limitativa delle prerogative statuali. Si tratta di un riduzionismo pneumatico che trova una sua veste culturale nel ritenere la Chiesa e le confessioni religiose debbano spogliarsi di ogni orpello temporale anche per meglio svolgere la loro funzione che va relegata in un ambito esclusivamente spirituale.
Altro profilo rilevante attiene alla peculiarità di talune fattispecie di reato, in particolare l’abuso sessuale sui minori. In tale ambito, si registra un pregiudizio di fondo, e cioè che per tali reati l’immunità dal testimoniare costituisca una agevolazione al crimine, essendo, inoltre, la causale ritenuta strettamente connessa all’educazione cioè alla cultura dominante in ambito ecclesiastico.
4. Non è un caso se incominciano a registrarsi molteplici iniziative legislative dirette all’abolizione del segreto ministeriale, ed in particolare di quello sacramentale; l’ultima, in ordine di tempo, si è avuta in California, nel luglio 2019. Si fa facendo strada il convincimento che, soprattutto nell’ambito degli abusi sessuali in pregiudizio di minori, si è dinanzi a una responsabilità da posizione, una colpa di appartenenza.
Nel rapporto elaborato dalla Commissione “indipendente” sugli abusi sessuali voluta dalla Chiesa francese, si legge che le condotte abusanti segnalano un malfunzionamento di alcuni snodi centrali della vita ecclesiale e la necessità di alcune riforme: la revisione della teologia del ministero, il celibato sacerdotale e il segreto della confessione.
Tuttavia, il modo peggiore per reagire è affrontare la questione del segreto come se fosse materia confessionale. Il versante del segreto professionale del difensore in ambito penale, sempre più eroso, sia di principio, con riferimento alla gravità di taluni reati, che di fatto, dalla invasività dei più moderni strumenti investigativi, testimonia quanto la questione assuma connotati molto più ampi.
Insomma, la tutela del segreto non è questione religiosa, ma profondamente laica. È, in definitiva, una questione di libertà di coscienza, che è il sacrario della libertà.
Domenico Airoma
