Insegnamenti attuali tratti dal De mente heroica di Giambattista Vico.
Nel 1732 Giambattista Vico pronunciò la prolusione ufficiale di inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Napoli che aveva per titolo De Mente Heroica.
Il curatore dell’edizione critica della prolusione, pubblicata sotto il numero XII dell’opera omnia di Vico, il professor Gian Galeazzo Visconti, ha scritto che essa assurge a “una Dissertazione solenne con cui il Vico esorta appassionatamente i giovani ad ascoltare la lora anima, la loro mente, che «ha un’origine divina», e ad adempiere fra gli uomini la loro missione di uomini. Così, una prolusione, che avrebbe dovuto essere soltanto ufficiale, diventava “[…] l’inno alla mente eroica degli uomini che realizzano qui, sulla terra, adempiendo la loro missione di uomini, i fini supremi della Provvidenza divina”[1].
Vico aveva pubblicato nel 1725 la prima edizione della Scienza Nuova, che non aveva ricevuto un adeguato apprezzamento da parte dei letterati dell’epoca. Addirittura, su istigazione di un anonimo letterato napoletano, che Vico ritenne di aver riconosciuto, ma che per discrezione mai intese nominare, le Novelle letterarie degli atti di Lipsia del mese di agosto 1727 avevano pubblicato una recensione falsa e dispregiativa dell’opera, in cui dicevano che l’autore aveva trattato in un certo “libello” “un nuovo sistema – o piuttosto invenzione – di diritto naturale, dedotto da princípi di gran lunga diversi da quelli che sinora i filosofi sono stati soliti seguire, e più conforme al gusto della Chiesa pontificia”[2]. I recensori di Lipsia avevano concluso la loro nota soggiungendo che l’autore aveva indulto “più all’ingegno che alla verità, e poiché per la lunga mole delle sue congetture finisce egli stesso con contraddirsi, persino dagli stessi italiani è accolto più con tedio che con applausi”[3].
Il disinteresse, l’incomprensione, il disprezzo e talora l’invidia per l’opera alla quale egli aveva dedicato tanti anni di fatiche intellettuali, che lo avevano minato anche nella salute fisica[4], lo induceva a temere di aver mandato la Scienza Nuova al “diserto”[5].
Tuttavia, consapevole dell’importanza e del valore della sua creazione scientifica, lodava nella stessa lettera la Provvidenza per averlo
“avvalorato ed assistito a lavorare quest’opera. Anzi […] quest’opera mi ha informato di un certo spirito eroico, per lo quale non più mi perturba alcuno timore della morte e sperimento l’animo non più curante di parlare degli emoli. Finalmente mi ha fermato, come sopra un’alta adamantina ròcca, il giudizio di Dio, il quale fa giustizia alle opere d’ingegno con la stima dei saggi […]”[6].
Il De Mente Heroica raccomanda ai giovani il programma di vita che egli aveva vissuto: dedicarsi agli studi delle lettere, della natura e della realtà eterna per rendere eroica la mente e “dare inizio a una sapienza utile al genere umano”[7].
Per Vico, alla sequela dell’eterna filosofia, eroe è colui che aspira alle cose sublimi:
“e sublimi sono per i filosofi questi stupendi e grandissimi beni: Iddio al disopra della natura; nella natura tutto quest’insieme di realtà meravigliose, in cui né v’è qualcosa di più grande del genere umano, né quindi qualcosa di più luminoso della felicità del genere umano, e a questa felicità soltanto, soli ed esclusivamente, mirano gli eroi […]”[8].
Richiamando la Scrittura:”Initium sapientiae timor Domini“[9], Vico ricorda ai giovani che gli studi debbono essere:
“indirizzati prima di tutto a Dio onnipotente; poi, a gloria di Dio che ci comanda di amare tutto il genere umano, alla felicità del genere umano”[10].
Il fine è guadagnare la sapienza. L’obiettivo è arduo:
“poiché l’uomo interiore, fatto di mente ed anima, e l’una e l’altra parte, a causa del peccato originale è corrottissima, perché la mente fatta per attingere la verità, è sconvolta dalle false opinioni e dagli errori; l’anima, nata per raggiungere la verità, è tormentata dalle passioni malvage e dai vizi”[11].
L’Università degli Studi è il luogo ove si rinfrancano le forze della mente e dell’anima.
Il grande napoletano si rende conto che “qualche stolto derisore potrebbe schernire le cose che dice”[12]; ma è una verità certa che il fine dell’insegnamento e dello studio è curare e guarire l’infermità della mente e dell’anima.
La conoscenza delle lettere è preziosa. Ma bisogna aggiungervi lo studio delle lingue antiche, della lingua ebraica, della greca e della latina, allo scopo di entrare in dialogo con i popoli più antichi e rendersi ragione delle istituzioni civili, delle loro origini, delle cause del loro splendore e della loro decadenza.
Essenziale è poi lo studio delle cose sublimi della natura.
Vico è affascinato dalle ricchezze che sono nascoste nel suo grembo. Elenca una serie di scoperte moderne: la bussola, la nave fornita di sole vele, il cannocchiale, il barometro di Torricelli, la macchina pneumatica di Boyle, la circolazione del sangue, il microscopio, l’alambicco, il campo dei numeri interi, gli infinitesimi, la polvere pirica, il cannone, le cupole delle chiese, i caratteri mobili, la carta, l’orologio: tutte invenzioni moderne, sconosciute agli antichi, preludio di scoperte ancora più meravigliose, che danno conto dell’intrinseca razionalità della creazione divina, cui corrisponde “la universale razionalità umana, simile ad una luce purissima e luminosissima, che dirige i suoi raggi dovunque voi volgiate gli occhi della mente”[13].
Le nuove osservazioni astronomiche, le nuove conoscenze metereologiche, le nuove conoscenze sistematiche di astronomia, di meccanica, di fisica, di medicina hanno accresciuto enormemente le conoscenze dell’uomo: se saranno guidate dalla virtù e non dalla superbia, potranno aumentare sulla terra la gioia di vivere conformemente alla razionalità umana.
Il curatore dell’opera Visconti dedica un’ampia ed erudita nota all’ammirazione che Vico nutriva per la cultura galileiana.
Invero, se “Galilei aveva dato forma alla ‘nuova scienza’, della natura, una natura vista come, l’ ‘altra’ Bibbia scritta «in lingua matematica» e i cui caratteri erano triangoli, cerchi ed altre forme geometriche”[14], Vico dava forma alla ‘scienza nuova’, degli uomini e della loro storia, una storia umana vista come manifestazione della Rivelazione divina, dando alla sua opera proprio un titolo galileiano, quella di Scienza Nuova.
Vico, pur nutrendo una grandissima ammirazione per Galileo, lamenta tuttavia con discrezione che egli investigava la natura senza il lume della metafisica:
“mirò il Galileo la fisica con occhio di gran geometra, ma non con tutto il lume della metafisica” [15].
L’indagine di Vico investigava invece la storia degli uomini, una storia umana, vista però al lume della metafisica e della Provvidenza divina[16].
Come aveva scritto nella conclusione della prima parte del De Uno Universi iuris principio et fine uno:
“[…] sine Deo in terris nullas leges, nullas respublicas, nullam societatem, sed solitudinem, feritatem et foeditatem et nefas esse”[17].
Vico è animato da una certezza, confermata dai progressi che l’umanità nei secoli aveva compiuto sotto la guida della Provvidenza e vie più dalle meravigliose scoperte nei tempi a lui vicini, che avevano arricchito le conoscenze umane e reso possibile l’esplorazione della Terra e dell’Universo: certezza consistente in ciò, che la razionalità umana, creata da Dio, è fatta per il bene e la felicità dell’uomo nel miglioramento anche delle condizioni di vita materiale.
Agli scettici, secondo i quali le scoperte sarebbero state tutte ormai fatte, così che nulla più vi sarebbe da ricercare e da desiderare, Vico risponde che questa è una falsa diceria: “Perché il mondo ringiovanisce ancora”[18].
L’affermazione è profetica e rivela la profonda penetrazione di Vico nei misteri della storia. Il rinnovamento è sottoposto alla condizione che i popoli mantengano lo sguardo fisso su Iddio eterna Verità per agire con equità nella vita temporale. Se, invece, i popoli non mirassero che alle particolari proprie utilità e cedessero ai vizi dell’orgoglio e della sensualità, cadrebbero, come Vico scrive nella conclusione della Scienza Nuova del 1744:
“in una somma solitudine d’animi, e di voleri; non potendovi appena due convenire, seguendo ogniun de due il suo propio piacere, o capriccio, per tutto ciò con ostinatissime fazioni, e disperate guerre civili vadano a fare selve delle città, e delle selve covili d’uomini; e ‘n cotal guisa dentro lunghi secoli di barbarie vadano ad irruginire le malnate sottigliezze degl’ingegni maliziosi; che gli avevano resi fiere più immani con la barbarie della riflessione, che non era sta la prima barbarie del senso: perché quella scuopriva una fierezza generosa; dalla quale altri poteva difendersi, o campare, o guardarsi: ma questa con una fierezza vile dentro le lusinghe, e gli abbracci insidia alla vita, e alle fortune de’ suoi confidenti, ed amici”[19].
La perorazione conclusiva agli studenti dell’Università napoletana esprime luminosamente la nobiltà dell’animo del filosofo insieme con la sua speranza nel progresso dell’umanità, reso possibile dalla vita virtuosa e dalla fede in Dio onnipotente:
“ […] dedicatevi con mente eroica e quindi con animo grande, o adolescenti nati per raggiungere le mete più alte e più nobili, agli studi delle lettere; coltivate la compiuta sapienza; perfezionate tutta quanta la vostra umana conoscenza; celebrate la natura quasi divina delle vostre menti; siate ardenti di Dio, di cui siete pieni; con ansia sublime ascoltate, leggete, meditate; affrontate fatiche erculee, e, avendole portate a termine, dimostrate con pieno diritto la vostra divina discendenza da Dio onnipotente; ed anzi riconoscetevi eroi, voi che arricchirete con altre grandiose scoperte il genere umano”[20].
Mauro Ronco
[1] G.G. Visconti, Commento al De Mente Heroica, in G. Vico, VARIA. Il De Mente Heroica e gli scritti latini minori, Napoli, 1996, 111.
[2] Il testo citato è tratto dalle Vici Vindiciae con cui il grande napoletano rispondeva ai dotti di Lipsia (cfr. G. Vico, Vici Vindiciae – Le rivendicazioni di Vico, in G. Vico, VARIA, cit., 43; cfr. anche G. Vico, Vita scritta da se medesimo. Aggiunta fatta dal Vico alla sua autobiografia nel 1731, in G. Vico, Opere, in Andrea Battistini (a cura di), Milano, 2005, in cui egli definisce la pseudo recensione lipsiense una “vile impostura”, 73.
[3] Ibidem.
[4] Per una avvincente opera divulgativa della vita del filosofo napoletano, v. di recente M. Veneziani, Vico dei miracoli. Vita oscura e tormentata del più grande pensatore italiano, Milano, 2023.
[5] G. Vico, Lettera a Padre Bernardo Maria Giacco del 25 ottobre 1725, in Opere, cit., 308.
[6] Ibidem, 309.
[7] G. Vico, De Mente Heroica, cit. [4]. 143. L’ideale di vita lo aveva già espresso nel De Uno Universi iuris principio et fine uno, pubblicato nel 1720, nel cui capitolo XIX aveva scritto: “Queste sono invero le condizioni dell’eterna sapienza: conoscere con prontezza naturale le verità eterne e, in tutte le cose e con tutti gli uomini operare con somma e franca libertà, parlare sempre veracemente e vivere con grande diletto dell’animo in modo conforme alla ragione” (G. Vico, De Uno, Firenze, 1974, cap. XIX, 48).
[8] G. Vico, De Mente Heroica, cit., [4], 141.
[9] Salmo 111, 10.
[10] G. Vico, De Mente Heroica, cit., [4]. 143.
[11] Ibidem, [8], 147.
[12] Ibidem.
[13] Ibidem, [18], 159.
[14] G. Visconti, Commento al De Mente Heroica, cit., 117.
[15] Cfr. G. Vico, in Opere, a cura di Ferdinando Flora, Milano-Napoli, 1953, 323.
[16] P. Piovani, Vico e la Filosofia senza Natura, in Campanella e Vico, Roma, 1968, 247-268.
[17] G. Vico, De Uno, cit., Conclusio, 343.
[18] G. Vico, De Mente Heroica, cit., [22], 165.
[19] G. Vico, Principi di scienza nuova, Napoli, 1744, in G. Vico, La Scienza Nuova. Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744, in M. Sanna e V. Vitiello (a cura di), Milano, 2012/2013, 1261.
[20] G. Vico, De Mente Heroica, cit., [24], 167.