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Pur essendo internet un’importante risorsa, sia come canale di informazione sia come strumento di socializzazione, non vanno sottovalutati i pericoli che si celano nel mondo virtuale, in particolare quelli cui possono essere esposti bambini ed adolescenti, anche a causa di cattive abitudini dei genitori (cf. https://www.centrostudilivatino.it/luomo-nero-che-spinge-al-suicidio-internet-educare-e-vigilare/). Come osservato dal Garante infanzia e adolescenza, poiché il mondo digitale cambia rapidamente, una efficace tutela dei minori deve basarsi su interventi educativi e culturali di carattere preventivo, destinati ai più giovani come agli adulti. Sull’argomento è stata di recente pubblicata la relazione conclusiva del Tavolo tecnico sulla tutela dei diritti dei minori nel contesto dei social networks.

1. Secondo l’indagine annuale del Safer Internet Centre ‒ il progetto co-finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma CEF-Connecting Europe Facility, coordinato dal MIUR con il partenariato di alcune delle principali realtà italiane che si occupano di sicurezza in Rete ‒ nel 2022 è aumentato il numero di ragazzi e ragazze che si dichiarano informati sui rischi della Rete: su un campione di 2472 studenti di scuole secondarie di primo e secondo grado, il 55% degli intervistati ha riferito di aver ricevuto indicazioni sulla sicurezza on line, in particolare dagli insegnanti. Nel biennio precedente, nell’ambito di un’indagine simile condotta sempre dal Safer Internet Centre in collaborazione con l’Università di Firenze e con l’Università di Roma La Sapienza, su un campione di 5386 ragazzi con un’età media di 16 anni il 27% aveva invece riferito di non aver avuto spiegazioni da nessuno, il 12% di averne parlato con i docenti a scuola e il 9% di averne parlato con i genitori.

Dai dati raccolti è emersa una progressiva riduzione delle ore giornaliere dedicate alla navigazione in Rete. Sembrerebbe dunque aumentata, anche grazie ai progetti ad hoc realizzati nelle scuole, la consapevolezza dei più giovani, sia con riferimento ai danni psico-fisici derivanti dall’uso eccessivo dei dispositivi elettronici, sia con riferimento ai pericoli che si celano nel mondo virtuale, come per esempio la possibilità di imbattersi in malintenzionati, o di subire il furto della propria identità digitale.

2. Da circa venti giorni si sono conclusi i lavori del Tavolo tecnico sulla tutela dei minori nel contesto dei social network, istituito con decreto del Ministro della Giustizia del 21 giugno 2021. Ai lavori del Tavolo, avviati il 7 settembre 2021 e presieduti dal Sottosegretario di Stato al Ministero della Giustizia, hanno partecipato l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali e l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Sono state affrontate diverse tematiche, allo scopo di individuare le misure necessarie per proteggere i minori dai pericoli del web, partendo dal presupposto che «il diritto di accesso alla Rete» ‒ si legge nella relazione finale pubblicata lo scorso 10 maggio ‒ «è l’evoluzione del diritto all’informazione e, a maggior ragione nel caso di soggetti vulnerabili come i minori, va contemperato con il diritto alla privacy e alla tutela dei propri dati personali, il diritto alla rimozione di immagini (diritto all’oblio) pubblicate senza consenso esplicito, il diritto ad uno sviluppo psico-fisico corretto». Ne consegue che –come rilevato dai partecipanti al Tavolo ‒ «non è vietando ma regolamentando che si può contribuire alla costruzione di ambienti digitali utili e sicuri».

Due fenomeni in particolare necessitano di regolamentazione e mettono in evidenza l’esigenza di formare genitori e figli a un uso responsabile dei social: quello dello shareting e quello dei baby influencer.

3. Con il termine shareting, derivante dalla fusione di share-condividere e parenting-genitorialità, si fa riferimento all’eccessiva condivisione on line da parte dei genitori di foto, video, informazioni che riguardano i figli: una cattiva abitudine che è entrata a far parte, purtroppo, della quotidianità di moltissime persone, desiderose di mettere nella piazza mediatica la propria vita privata e quella dei familiari, senza però considerare i gravi rischi che questo comporta. Oltre ad essere un’abitudine diseducativa per i figli, la condivisione di dati personali espone a molteplici pericoli, soprattutto se fatta in modo continuativo.

Come rilevato dalla polizia postale, oltre la metà delle foto contenute nei siti pedopornografici provengono dalle condivisioni on line dei genitori: foto postate sui social che, una volta in Rete, diventano facile preda per chi va a caccia di materiale da vendere sul mercato della pornografia. Così una banale foto scattata al mare o nella vasca da bagno e poi postata con superficialità dai genitori rischia di finire, senza volerlo (spesso senza neppure saperlo), nelle mani sbagliate. Immagini di minori che vengono ritoccate o che vengono utilizzate per creare identità false. Immagini che, una volta messe in Rete, sfuggono al controllo dei legittimi titolari (cf. https://www.centrostudilivatino.it/app-attenzione-rischi-per-luso-indebito-dei-propri-dati/).

È per questa ragione che le autorità preposte, anche a livello internazionale, insistono da tempo, a tutela e nel rispetto dei minori, sulla necessità che i genitori prestino maggiore attenzione ai contenuti che pubblicano sui social o scambiano nelle chat di messaggistica. Nell’ambito di una ricerca dell’Università belga di Antwerp, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2019, il fenomeno è stato studiato dal punto di vista dei figli: dalle interviste a 817 ragazzi, in età compresa fra i 12 e i 14 anni, è emersa una generale disapprovazione. Ma non solo. Circa la metà dei ragazzi ha manifestato fastidio e addirittura preoccupazione per la condivisione in Rete di foto o video da parte dei genitori, temendo di potere essere valutati negativamente dai coetanei, di essere rifiutati, derisi o addirittura bullizzati.

4. Di questo fenomeno negli ultimi anni si è occupata anche la giurisprudenza italiana, soprattutto nell’ambito delle cause di separazione o di regolamentazione dei rapporti genitoriali. Il Tribunale di Roma (ord. del 23/12/2017 – d.ssa Velletti) è stato il primo a garantire al minore una tutela piena contro lo sharenting, prevedendo non solo la condanna del genitore a rimuovere tutti i contenuti pubblicati sui social riguardanti il figlio, ma anche la sanzione pecuniaria in caso di inottemperanza e per ogni giorno di ritardo. Altri tribunali hanno seguito la linea tracciata da Roma, come per esempio il Tribunale di Rieti (ord. del 7/03/2019) e il Tribunale di Trani (ord. del 30/08/2021). La tutela della web baby reputation è stata inoltre attuata in alcuni tribunali – a partire dal Tribunale di Mantova (2019) ‒ attraverso la previsione, nell’ambito delle procedure di separazione o di regolamentazione dei rapporti genitoriali, di protocolli finalizzati a far assumere ai genitori l’impegno a non pubblicare sui social contenuti riguardanti i figli e a rimuovere quelli già presenti.

Sul punto il Tavolo tecnico del Ministero della Giustizia ha ritenuto utile estendere la norma già contenuta nella legge sul cyberbullismo (n. 71/2017), che consente al minore di ottenere la rimozione delle proprie immagini. Inoltre, come rilevato dall’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, sarebbe opportuno organizzare periodicamente ‒ in regime di co-regolamentazione fra le diverse autorità preposte ‒ campagne di informazione e sensibilizzazione rivolte ai minori e agli adulti da pubblicare sulle stesse piattaforme on line maggiormente utilizzate.

5. Altro tema di cui si è occupato il Tavolo tecnico è quello dei baby influencer: adolescenti e bambini anche in età prescolare che postano foto personali sui social o si esibiscono in spettacoli vari, alla ricerca di like e di followers. Bambini che, al di sotto dei tredici anni, per legge non potrebbero neppure avere un profilo social. Non è solo il desiderio di popolarità a spingere giovani e giovanissimi ad esibirsi su TikTok, YouTube o Instagram: dietro la ricerca continua di pubblico – non di rado alimentata dagli stessi genitori ‒ vi sono pure interessi economici. I baby influencer più popolari riescono a guadagnare cifre considerevoli, come il piccolo Ryan Jaji, il famoso texano di 10 anni che per tre anni è stato lo youtuber più pagato al mondo, giungendo a incassare oltre 250 mila dollari grazie alle sue clip di recensioni di giocattoli.

In Italia già oggi è possibile estendere alle attività dei baby influencer la normativa prevista per le forme straordinarie di lavoro minorile, come nei casi della pubblicità o degli spettacoli (Legge n. 977/1967 e D.M. 27 aprile 2006, n. 218, Regolamento recante disciplina dell’impiego di minori di anni quattordici in programmi televisivi). Tuttavia l’utilizzazione dell’immagine di bambini ed adolescenti sul web a scopo di profitto pone diversi problemi, sia sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali che sotto il profilo educativo. La mercificazione dell’identità personale in cambio di denaro o utilità varie (viaggi, accessori, abbigliamento, strumenti tecnologici ecc.) espone a evidenti pericoli di violazione dell’immagine e della privacy. Il Tavolo tecnico ha proposto al riguardo una regolamentazione molto simile a quella già introdotta di recente in Francia, prevedendo sia una verifica sui profitti generati on line dai minori che la tutela del diritto all’oblio per i contenuti pubblicati.

6. Non meno rilevanti sono i rischi per il sano ed equilibrato sviluppo psicofisico dei minori, derivanti da attività inadeguate e dal desiderio di inseguire modelli difficilmente raggiungibili. Ci si deve chiedere se sia opportuno che un minore trascorra buona parte del tempo libero postando foto o video con l’obiettivo di ottenere popolarità e ricchezza. Quanto può essere sano per un bambino o per un adolescente mettere al centro dei propri interessi la ricerca di like o di followers?

Il problema non è tanto e solo l’uso dei social, bensì il modello di vita che si va costruendo nell’immaginario di tanti giovani, per cui si esiste solo se si ha successo o se si è ricchi; per cui se non si raggiungono certi modelli la vita è priva di senso. E da qui può essere molto breve il passo verso tutto ciò che, in caso di insuccesso, viene da molti ragazzi utilizzato proprio per riempire il senso di vuoto e la frustrazione da cui si sentono oppressi: alcol, internet, videogiochi, droga, fino a sviluppare nei casi più gravi vere e proprie dipendenze (cf. https://www.centrostudilivatino.it/bevande-alcoliche-aumenta-il-consumo-fra-gli-adolescenti/).

Come rilevato anche dalla Commissione parlamentare infanzia e adolescenza nell’ambito dell’indagine sulle dipendenze patologiche dei giovani, «la “dittatura” dei like rischia di essere vissuta, da molti adolescenti, quale metro valutativo della propria persona, generando spesso crisi di autostima, intolleranza e conformismo». 

                                                                           Daniela Bianchini

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