Il decreto legge dell’16 febbraio 2023, n. 11, in materia di cessione di crediti d’imposta ai sensi dell’articolo 121 del d.l. n. 34/2020, pone fine ad alcune anomalie, di rilevante impatto sistematico, aperte dal Decreto Rilancio (d.l. n. 34/2020) e aggravate dai provvedimenti normativi successivi.
La prima anomalia cui il decreto pone fine è rappresentata dalla “trasformazione” di detrazioni fiscali in crediti d’imposta e alla conseguente cedibilità più o meno reiterabile degli stessi. Anomalia la cui sussistenza e necessità di correzione venne già a suo tempo segnalata, quando si evidenziò che “appare indubbia le necessità di razionalizzare il sistema sotto questo profilo, eliminando dall’innesto nell’IRPEF meccanismi agevolativi che, in verità, dovrebbero essere attuati mediante strumenti di finanza pubblica erogativa e non mediante detrazioni d’imposta” (cfr. F. Farri, Spunti di riflessione in tema di riforma dell’imposizione personale sul reddito e principi costituzionali, in Riv. telem. dir. trib., 2021, 2, 271).
Tutte le misure contenute nell’articolo 119 e nell’articolo 121, comma 2 del d.l. n. 34/2020 sono nate come detrazioni fiscali, ossia come somme che il contribuente ha diritto di scomputare dall’imposta sul reddito che dovrebbe versare se si limitasse ad applicare l’aliquota alla base imponibile.
Come tale, una detrazione fiscale è di per sé incedibile a terzi.
Il Decreto Rilancio del 2020, invece, ha provveduto a estrapolare la detrazione fiscale dal meccanismo applicativo dell’imposta sul reddito, isolarla da esso e “trasformarla” in credito d’imposta autonomo dalle vicende applicative dell’IRPEF, ossia in una sorta di contributo pubblico che, per sua natura, può essere ceduto a terzi e fatto circolare nell’ordinamento. A completamento dell’intervento, sono state fissate per la circolazione dei crediti d’imposta così “creati” regole diverse e particolarmente agevolate rispetto al regime ordinario fissato dalle leggi di contabilità pubblica (a cominciare dall’art. 69 del R.D. 2440/1923) ed è stata prevista in alcuni casi una moltiplicazione della misura della detrazione trasformata in “credito”, portata a importi finanche superiori alla spesa sostenuta (è il caso del “superbonus” del 110% di cui all’art. 119 del medesimo Decreto Rilancio n. 34/2020).
Tale manovra, oltre a essere criticabile al punto di vista “filosofico”, nella misura in cui conferisce a un istituto giuridico qualificazioni diverse da quelle che realmente gli si confanno, dà vita a un triplice snaturamento, peraltro non del tutto ignoto anche a istituti giuridici precedenti.
Anzitutto, vi è lo snaturamento dell’istituto giuridico di partenza, per le ragioni sopra esposte.
A un livello successivo, vi è una forma di snaturamento del sistema dell’imposta sul reddito: il passaggio della forma di valorizzazione degli oneri personali dal metodo della detrazione a quello del contributo pressoché integralmente acausale rispetto al contesto impositivo di partenza infligge, infatti, un radicale vulnus al carattere personale dell’imposta sul reddito e segna un esito radicale della concezione delle agevolazioni come tax expenditures, cioè come “spese pubbliche” di natura fiscale anziché come riduzioni del prelievo per tutelare determinati valori ordinamentali.
Correlativamente, vi è un terzo livello di snaturamento cui questa trasformazione dà corso, ed è quella attinente alle funzioni di fondo dei diversi comparti della finanza pubblica. Se il fine della trasformazione della detrazione in credito d’imposta è quello di consentire di far fruire del beneficio anche gli incapienti, ossia i soggetti che non pagano l’IRPEF ad esempio perché non titolari di redditi o titolari di redditi particolarmente bassi, tale beneficio non doveva essere veicolato tramite il sistema tributario, bensì trasparentemente tramite quello della finanza pubblica erogativa, ossia mediante contributi pubblici scissi rispetto al sistema tributario. Utilizzare uno strumento fiscale per consentire di far fruire di un beneficio a soggetti che da quel sistema tributario sono esclusi, come gli incapienti, costituisce una autentica contorsione logica, oltre che una potenziale forma di maquillage contabile i cui nodi sono venuti al pettine con il nuovo sistema di rilevazioni Eurostat del gennaio 2023, che ha equiparato i crediti fiscali circolabili a spesa pubblica, con conseguente attitudine a incrementare lo stock del debito pubblico.
Lo snellimento delle forme di circolazione di questi “crediti”, infine, ha dato vita a vendite a catena, talora a vere e proprie attività di trading, anche seriali su piattaforme on-line, con rischi elevati sul piano finanziario e della sostenibilità. L’eventuale insussistenza sostanziale del presupposto per fruire di tali crediti, che non si verifica soltanto in caso di frodi ma anche in ipotesi meno gravi non addebitabili a mala fede dei contribuenti, può infatti prestarsi a generare in queste condizioni effetti a catena sui cessionari e, infine, sui cessionari di ultima istanza, quasi sempre istituti bancari. Il rischio che proseguire con questo sistema potesse prima o dopo dar vita a una crisi del comparto bancario, in caso di crediti inesistenti, sul modello di quanto avvenuto negli Stati Uniti quindici anni fa con la crisi dei subprime, non può considerarsi remoto. Correlativamente, non può considerarsi remoto, ma anzi probabile, il rischio che prima o dopo abusi, frodi e incertezze applicative che il sistema può generare si traducano in consistenti aggravi per la finanza pubblica, costretta a ripianare le conseguenze dell’eventuale inesistenza di tali crediti per evitare impatti potenzialmente imponderabili sul sistema sociale ed economico.
In questo contesto, il decreto legge n. 11/2023 ha compiuto una indispensabile “operazione di verità”, riportando i “crediti d’imposta” contemplati dal Decreto Rilancio alla loro vera natura di detrazioni fiscali, così impedendo la cessione di quello che cedibile, per natura, non è. “Operazione di verità” già segnalata come indispensabile nel momento in cui l’istituto si trovava in auge (cfr. F. Farri, op. cit., 271) e divenuta ormai improcrastinabile a fronte delle storture cui esso negli ultimi tempi aveva dato corso per autoalimentarsi.
Allo stesso tempo, si è premurato di garantire i legittimi interessi di cessionari e operatori.
Si è premurato, anzitutto, di garantire i cessionari, introducendo una norma che assicura l’esclusione di ogni loro forma di responsabilità colposa nel caso in cui abbiano ottenuto, dal cedente, una serie di documenti indicati dall’art. 1 del decreto, in buona parte peraltro coincidenti con quelli già richiesti dalla legge. Questo dovrebbe valere a escludere quegli effetti di ripercussione a catena degli effetti di eventuali frodi, di cui si è sopra detto, che avrebbe in ultimo potuto provocare conseguenze devastanti sul sistema creditizio. Di più, l’articolo 1 si è premurato di specificare che la documentazione indicata come garanzia di esonero da responsabilità colposa non dove considerarsi avere carattere tassativo e, pertanto, il non possederne parte non costituisce da solo indice di responsabilità del cessionario. Tale assunto costituisce esplicitazione di un principio, di particolare importanza per i contribuenti, non sempre debitamente valorizzato in sede applicativa da parte degli enti impositori, che tendono a rinvenire la responsabilità di un soggetto nel sol fatto di non essere in possesso di determinata documentazione. Risulta, correlativamente, ribadito il principio generale, già desumibile dall’ordinamento e da ultimo ribadito dall’art. 7, comma 5-bis del d.lgs. n. 546/1992, come introdotto dalla L. n. 130/2022, per cui la prova del concorso del cessionario nella frode è onere che deve essere soddisfatto, in positivo, dall’ente impositore che intenda contestare la corresponsabilità in solido del cessionario. Presidii, questi, di assoluta garanzia per i cessionari, ai quali è stato chiarito che soltanto nei casi di reali concorsi nelle frodi perpetrate a monte della cessione possono essere destinatari della richiesta di restituzione delle somme corrispondenti al credito inesistente.
Per quanto attiene agli operatori, il comma 2 dell’art. 2 del decreto si premura di precisare che, per gli interventi già avviati, rimane fermo il regime di cedibilità precedentemente in essere. Il principio sotteso a questa norma vale a garantire adeguatamente la certezza degli operatori e garantisce che gli interventi già avviati possano essere conclusi secondo il piano originario anche sotto il profilo finanziario. In particolare, dalla norma discende che è garantita l’applicabilità degli istituti della cessione del credito e degli sconti in fattura non soltanto per i casi in cui il pagamento sia già avvenuto, ma anche in quelli per i quali il pagamento non sia ancora avvenuto in tutto o in parte (si pensi alle ipotesi dei crediti ceduti per stato di avanzamento lavori), ma il progetto sia già ufficializzato.
Come ogni norma, anche quelle del d.l. 11/2023 sono tecnicamente perfettibili e lo spazio lasciato dalla conversione parlamentare del decreto o da eventuali altri interventi in via d’urgenza potrà senz’altro essere adoperato utilmente a tal fine. Ciò, in particolare, per precisare opportunamente il principio di salvaguardia degli interventi già iniziati, tenendo conto ad esempio di situazioni peculiari come quelle degli interventi per i quali non sia necessaria la formalizzazione di titoli edilizi, nonché per tutelare la situazione degli incapienti, tra cui Onlus ed enti del terzo settore, che con il ripristino dell’originaria natura delle detrazioni tornano ad essere di fatto esclusi dalla fruibilità del beneficio, ciò che potrebbe rendere opportuna per il futuro l’introduzione di misure erogative positive ad hoc. Sarà indispensabile, inoltre e in prospettiva, la configurazione di un quadro organico e appropriato di politica fiscale di incentivazione degli investimenti nell’efficientamento energetico e sismico degli edifici, che dia certezza agli operatori e alla stessa finanza pubblica. Ma l’opera di “ritorno alla realtà” giuridica che il decreto n. 11/2023 ha realizzato è un primo passo che non può che essere accolto positivamente, come merita ogni operazione di verità.
Francesco Farri