Il Te Deum che si recita con solennità l’ultimo giorno dell’anno è l’occasione per rendere grazie dei doni ricevuti in questo difficile 2021; e per chiedere la forza e la grazia di cogliere al meglio, nei tempi che attraversiamo, caratterizzati da confusione, lacerazioni sociali, spinte accentratrici e tentazioni autoritarie, l’“agere contra”, secondo l’insegnamento ignaziano: per “scorgere il sentiero spesso angusto tra la viltà che cede al male e la violenza che, illudendosi di combatterlo, lo aggrava”.
1. “Agere contra”: il celebre motto di Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), fondatore della Compagnia di Gesù, si riferisce alla necessità quotidiana di agire contro quelle abitudini radicate che ci allontanano dal vivere la vita buona e piena a cui Dio ci chiama. Si tratta, innanzitutto, di un combattimento interiore quotidiano, che deve però estendersi a tutta la vita di relazione dell’uomo, in quanto essere sociale. Ecco quindi che siamo tutti chiamati, ciascuno nel nostro ambito, anche a un’azione esterna, soprattutto nei momenti più critici della vita sociale. Richiamando quanto scrive Papa san Giovanni Paolo II (1978-2005) nella lettera enciclica Centesimus Annus (n.25), “è unendo la propria sofferenza per la verità e per la libertà a quella di Cristo sulla Croce che l’uomo può compiere il miracolo della pace ed è in grado di scorgere il sentiero spesso angusto tra la viltà che cede al male e la violenza che, illudendosi di combatterlo, lo aggrava”.
Nei tempi molto difficili che stiamo attraversando – caratterizzati da grande confusione, lacerazioni sociali, spinte accentratrici e tentazioni autoritarie – mi pare che possa essere questa la prospettiva in cui inquadrare un agere contra urgente e necessario: senza aggravare il male, agendo sconsideratamente e senza prudenza, ma neppure cedendo vilmente ad esso guidati da una “falsa prudenza”. Sempre orientando la nostra preghiera, la nostra azione e il nostro sacrificio nella prospettiva della “costruzione di una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio“.
2. Tra le grandi sfide dell’ora presente, com’è noto e come ho cercato di sintetizzare nell’articolo precedente, si pone certamente la “iniziativa del Great Reset” di Davos, che si prefigge il prometeico obiettivo di “ripensare, reimmaginare e resettare il nostro mondo”, come scrive il prof. Klaus Schwab nel suo famoso testo “CoViD-19: The Great Reset”, pubblicato nel luglio 2020. L’epidemia CoViD-19 viene definita in termini positivi come “una finestra di opportunità da cogliere, e da cogliere in fretta”, per resettare dalle radici il sistema sociale, economico e politico, nella prospettiva di un rinnovato “multilateralismo”, di una governance globale, l’unica adeguata, secondo Schwab, a fornire una risposta efficace a istanze di portata globale: dal “cambiamento climatico” alla crisi dello “shareholder capitalism” alla disruption tecnologica e digitale.
In tale quadro, esistono soltanto l’individuo, lo Stato, la comunità internazionale, le Banche centrali, i grandi colossi industriali e finanziari, i media globali e i più importanti think tank come lo stesso Davos da lui guidato. Una prospettiva atomistica e materialistica, centralistica e dirigistica, un “socialismo liberale” dove i “migliori” vorrebbero guidare dal centro e dall’alto, accentrando risorse e decisioni. Nella “nuova normalità post-pandemica” svanirebbero un po’ per volta gli ultimi residui di sussidiarietà, a partire dalle piccole e medie imprese, col rischio di ulteriori atrofizzazioni del corpo sociale, fino a cessioni di quote di sovranità degli stessi Stati nazionali – in tale prospettiva quasi ultimi “corpi intermedi” – a favore di agenzie più alte.
Pensando all’Europa, ad esempio, sono evidenti le indebite ingerenze della Commissione Europea nei confronti della Polonia e dell’Ungheria e il rischio che la crisi in atto, con l’implementazione del “Piano di rilancio europeo” per la ricostruzione post-pandemica – denominato NextGenerationEU (il cosiddetto Recovery Fund), finanziato per la prima volta dal “debito comune” – diventi poi occasione per accelerare nella direzione degli “Stati Uniti d’Europa”. Il tutto all’interno del grande quadro dell’Agenda Onu 2030 per il cosiddetto “sviluppo sostenibile”, con costi esorbitanti per la transizione energetica, già evidenti nelle bollette e nel rialzo generalizzato dell’inflazione, insieme alla proposizione di una visione sempre più ostile alla famiglia naturale, alla vita, alle radici cristiane dell’Occidente.
3. A fronte di tali prospettive, e di tali programmi – che paiono in fase di implementazione con quella “fretta” indicata dal prof. Schwab come condizione di efficacia – occorre urgentemente agere contra, a tutti i livelli:
– se il progetto è dirigistico e accentratore, occorre rivendicare il ruolo centrale della famiglia e dei corpi intermedi;
– se si sminuisce l’importanza della proprietà privata e la sua imprescindibile funzione sociale, occorre riproporre la prospettiva di una sua sempre più grande diffusione;
– se si opprime la piccola e media impresa, occorre riaffermarne la centralità per evitare che diventino vittima di una “distruzione creatrice” decisa politicamente;
– se aumentano le spinte dirigistiche e centralistiche, occorre lottare contro la pressione fiscale vessatoria e regolamentazioni che frenano lo sviluppo;
– se si prospettano suggestioni di “decrescita serena”, occorre invece ribadire l’importanza della crescita, anche sul piano economico, come precondizione per la realizzazione di società con opportunità per tutti;
– se prevalgono tendenze deresponsabilizzatrici (pensiamo al “reddito universale di cittadinanza”), occorre rimettere al centro il lavoro, la libertà e la responsabilità;
– se si prospetta un controllo della popolazione mondiale, occorre promuovere, sul piano culturale e pratico, anche fiscale, la natalità, ridando centralità alla famiglia;
– se si vuole imporre ideologicamente una “transizione ecologica”, e specificatamente “energetica”, dai costi esorbitanti ai danni di contribuenti e consumatori, occorre riproporre una prospettiva di ecologia autentica, perseguendo uno sviluppo umano “integrale”, l’unico davvero “sostenibile”;
– se il corpo sociale è soggetto a lacerazione e paura indotta da comunicazioni mediatiche ossessive, occorre riallacciare i nodi del tessuto sociale e ridare serenità alle persone;
– se si prospetta l’inizio di una stagione di maggiore “controllo sociale”, di limitazioni ingiustificate alla privacy e alla libertà, occorre ribadire l’esistenza di “diritti naturali” anteriori al consorzio civile e non disponibili dall’autorità politica quale che sia il supposto “stato di emergenza”;
– se gli stessi Stati sono a rischio di perdere sovranità a favore di agenzie più alte, secondo le evocate prospettive di “multilateralismo” dirigistico, occorre rivendicare l’importanza dell’identità nazionale;
– se si propagandano prospettive materialistiche e gnostiche, un “nuovo umanesimo” transumano, occorre recuperare le radici cristiane che hanno creato la cultura italiana ed europea.
4. Queste sono alcune conclusioni “provvisorie” che nascono da una lettura critica della “iniziativa del Great Reset” il cui esito, giova ricordarlo, non è per nulla scontato. A condizione, tuttavia, che si avvii urgentemente un processo di re-azione, che deve essere radicalmente opposto al metodo di Davos, così come oggi esso si sta progressivamente svelando: svilupparsi dal basso verso l’alto, centrato su famiglia e corpi intermedi per recuperare la “soggettività” della società civile, difendendo la sovranità degli Stati e l’identità culturale dei popoli, alieno da ogni prospettiva ideologica, di origine spirituale e amante dell’ordine naturale e cristiano.
Siccome il “metodo” di Davos attribuisce un ruolo chiave alla “narrazione”, per creare il consenso a tutti i livelli, ne consegue che l’azione culturale e di contro-informazione rivestirà un ruolo centrale: quando la propaganda viene svelata, infatti, essa perde inevitabilmente di forza attrattiva. A tale narrazione occorre poi contrapporre la riproposizione pubblica e coraggiosa della verità e della bellezza della civiltà cristiana, che è già esistita, in modo che tutti coloro che percepiscono, magari in modo confuso, il problema dell’ora presente acquisiscano maggiore consapevolezza e si uniscano per organizzare la resistenza e la necessaria contro-offensiva.
Una “narrazione” buona, quindi, al servizio della “contro-rivoluzione” che, come ci ha insegnato il conte savoiardo Joseph de Maistre (1753-1821), non consiste affatto in una “rivoluzione di segno contrario”, bensì nel “contrario della rivoluzione”. Per diametrum, direbbe ancora Sant’Ignazio, a tutti i livelli: nei princìpi, nei mezzi, negli obiettivi.
Maurizio Milano