- L’accordo del 10 dicembre.
L’accordo concluso tra il Consiglio Europeo e i governi di Polonia ed Ungheria del 10 dicembre scorso è il fotogramma più recente di un film che sta andando in onda sugli schermi dell’Unione Europea da molto tempo (cf. https://www.centrostudilivatino.it/recovery-fund-riconosciute-in-parte-le-ragioni-di-ungheria-e-polonia/).
Con riferimento all’accordo da ultimo siglato, che ha consentito di sbloccare l’impasse determinato dal veto di Polonia ed Ungheria all’approvazione del bilancio dell’Unione e all’avvio del piano Next Generation EU, qualcuno ha parlato di un pareggio. Tuttavia, a rimanere nella metafora calcistica, se di pareggio si vuol discorrere, la disparità delle forze in campo rimanda più che ad un match fra Juventus e Real Madrid, a uno scontro fra il Sassuolo e il Bayern Monaco (per rimanere anche nell’ambito geografico dell’attuale presidenza dell’UE). Se poi vale l’antico adagio secondo cui, nel dubbio, è buona regola osservare le reazioni dei nemici, basta leggere i commenti irati e sdegnati di George Soros e, da ultimo, di Vladimiro Zagrebelsky[1], per rubricare l’intesa fra le poche cose positive dell’anno che sta finendo.
- Le puntate precedenti.
Le puntate precedenti sono state efficacemente riassunte in un documento che si rinviene sul sito della Camera dei Deputati (https://documenti.camera.it/Leg18/Dossier/Pdf/RI045.Pdf): è il documento che riassume i lavori della Riunione Interparlamentare (intervenuta, appunto, fra i parlamenti nazionali degli stati membri dell’UE) sul tema Stato di diritto e il ruolo dei parlamenti nazionali; il consesso, tenutosi in videoconferenza il 10 novembre scorso, è stato organizzato dalla Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento Europeo.
L’ampio excursus parte dalla constatazione di una criticità di fondo che ha riguardato la strategia realizzata dall’U£E sulla questione del rispetto dello “stato di diritto”, inteso – è la stessa Commissione che lo ribadisce – non solo come separazione dei poteri ed indipendenza della magistratura, ma anche come tutela dei diritti umani e dei diritti delle minoranze (nei quali vanno ad inserirsi le tematiche LGBTI; https://www.centrostudilivatino.it/parlamento-ue-offensiva-per-imporre-lagenda-lgbt-e-abortista/). La criticità in questione sta nel fatto che finora l’UE ha applicato la condizionalità relativa allo stato di diritto, così come sopra specificato, soltanto nei confronti dei Paesi candidati ad accedere all’Unione stessa e non anche nei confronti degli Stati membri.
Il cambio radicale di strategia si impone dal momento che ci sono Paesi – come la Polonia e l’Ungheria – che oppongono resistenza all’acritica ricezione nei propri ordinamenti dei nuovi paradigmi giuridici. Appare opportuno al riguardo riportare ampi stralci del documento sopra richiamato:
[…] La discussione ha preso le mosse, in particolare, dall’applicazione dell’articolo 7 del Trattato dell’Unione europea TUE, che prevede un’articolata procedura in cui intervengono le principali Istituzioni europee, all’esito della quale il Consiglio può definire una sanzione nei confronti dello Stato membro in cui sia stata constatata l’esistenza di una violazione grave e persistente, tra l’altro, del principio dello Stato di diritto. Tale sanzione consiste nella sospensione di quello Stato da alcuni dei diritti previsti dal Trattato, compreso il diritto di voto in sede di Consiglio. Il funzionamento della procedura testé citata, sperimentata solo per due volte (nei confronti di Polonia e Ungheria), si è rivelato farraginoso, atteso che in entrambi i casi non si è mai superata la fase istruttoria dell’iter. È invece risultato meno problematico l’approccio recentemente rafforzato dalla Commissione europea la quale ha ampliato l’uso delle procedure di infrazione laddove le criticità per lo Stato di diritto si concretizzino attraverso una violazione specifica del diritto dell’UE; tale approccio è stato peraltro ulteriormente sviluppato con il maggior coinvolgimento della Corte di giustizia dell’UE, la quale non ha esitato a esercitare poteri straordinari di ordine di sospensione delle misure nazionali in grado di ledere il principio citato.
[…] Nonostante lo Stato di diritto sia un principio in linea di massima garantito da un tutela multilivello offerta da più ordinamenti – dal complesso di principi e norme costituzionali degli Stati membri, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (e dalle pronunce della Corte EDU), dai Trattati istitutivi dell’UE, dalla Carta europea dei diritti fondamentali, e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE,– la Commissione ha elaborato uno strumento che mira sostanzialmente a diffondere un’approfondita consapevolezza delle questioni che lo interessano e a realizzare un ambiente europeo in grado di prevenire minacce e criticità in grado di comprometterne il rispetto.
L’obiettivo indicato della promozione e di una diffusa attenzione ai problemi in materia di Stato di diritto è, tra l’altro, stato già ricercato dalla Commissione europea attraverso l’idea di una costruzione di una rete che includa operatori del diritto, in primo luogo le Corti nazionali a tutti i livelli, mondo accademico e società civile. In particolare, con la precedente comunicazione “Rafforzare lo Stato di diritto – Programma di azione” la Commissione aveva già posto l’accento sulla valorizzazione del il ruolo dei giudici nazionali, sia nell’ambito di una cooperazione tra reti giudiziarie, sia con riferimento all’impiego sistematico dello strumento del rinvio di questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia dell’UE nei casi in cui vengano in considerazione profili dello Stato di diritto.
La relazione in esame è basata su una serie di informazioni provenienti da un variegato insieme di fonti (amministrazioni nazionali; Agenzie dell’UE deputate alla tutela dei diritti fondamentali; organismi internazionali; organizzazioni della società civile, etc.); essa dovrebbe riferire sulla tendenza generale nell’UE e sulle situazioni specifiche negli Stati membri, con l’obiettivo di innestare un dialogo con gli Stati membri e avviare il dibattito anche nelle sedi europee con il coinvolgimento delle principali istituzioni dell’UE.
Tra gli elementi chiave del meccanismo vi è peraltro la necessità di sviluppare la discussione in una sede di cooperazione interparlamentare europea, profilo che è sostanzialmente in linea con la posizione recentemente espressa dal Parlamento europeo. In tale contesto, si segnala che l’Unione sembra prossima all’adozione di un meccanismo sanzionatorio nuovo che ricollega le carenze nel rispetto dello Stato di diritto alle disfunzioni della corretta esecuzione del bilancio UE; la constatazione dell’esistenza di tali criticità consentirebbero al Consiglio di penalizzare gli Stati membri sotto il profilo dell’accesso alle risorse del bilancio e di altri strumenti finanziari laddove siano in essi riscontrate criticità per lo Stato di diritto in grado di ledere la sana e corretta gestione dei fondi europei. Si tratta di uno strumento dalla portata circoscritta a fattispecie specifiche che tuttavia indica una linea di tendenza volta a dare maggiore concretezza a un sistema di tutela che le maggiori Istituzioni europee e la maggior parte degli Stati membri ritengono perfettibile. […]
Riassumendo: nei confronti di Polonia ed Ungheria sono state messe in campo plurime iniziative, sia a livello istituzionale che “giudiziario”.
Sotto il primo profilo, si è sperimentato in un primo momento la strada maestra –quella, cioè, prevista dall’art. 7 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea – rivelatasi troppo farraginosa. Successivamente, si è intrapresa la via della procedura di infrazione con un coinvolgimento della Corte di Giustizia dell’Unione, che ha esercitato i propri poteri straordinari di sospensione delle norme adottate dai parlamenti nazionali. L’intervento della Corte di Giustizia segna un passaggio nodale, perché attribuisce ad un organo, il cui compito è quello di fornire ai giudici nazionali la corretta interpretazione delle norme di fonte UE, il potere di intervenire sulle leggi di uno stato membro stabilendone la conformità ai principi dei trattati dell’Unione.
In quale modo si attua il coinvolgimento della Corte di Giustizia? Soprattutto facendo leva sui giudici nazionali chiamati a presentare ricorso avverso le norme interne. A tal fine, diventa indispensabile promuovere un dialogo fra i giudici di quei Paesi sotto osservazione e quelli degli altri Paesi europei e della Corte di Giustizia, anche grazie al mondo accademico e a quello associativo (importante è il ruolo, in tale ambito, degli organismi di formazione europea dei giudici e di associazioni come “MEDEL”, che raccoglie i magistrati democratici di tutta Europa).
Da ultimo, dinanzi alle resistenze, soprattutto di matrice polacca alla realizzazione di tale strategia soft di penetrazione e sovversione dei principi dell’ordinamento giuridico interno, l’UE ha deciso di percorrere una nuova strada, quella del ricatto economico, condizionando l’erogazione dei fondi connessi al Programma Next Generation EU all’accettazione degli standard propri dello stato di diritto così come inteso dall’UE.
E ciò, nonostante il parere contrario del Servizio Giuridico del Consiglio dell’UE, richiamato anche nel documento sopra citato della Riunione Interparlamentare.
[…] Peraltro il Servizio giuridico del Consiglio dell’UE aveva contestato la proposta sotto circa il profilo del rispetto della base giuridica in quanto il nuovo regime, da un lato, aggirerebbe la procedura ex articolo 7 TUE in materia di prevenzione e reazione delle violazioni del rule of law; dall’altro, è stato obiettato che trattandosi di meccanismo di condizionalità basato sulla sana gestione del bilancio, il regime dovrebbe commisurare le sanzioni non tanto alla gravità della condotta dello Stato membro quanto all’entità del danno causato agli interessi finanziari dell’UE. […]
Dinanzi ad un tale spiegamento di forze, risorse ed energie, a ogni livello istituzionale, giudiziario, accademico e sociale, non può non apprezzarsi la tenacia polacca e il buon risultato ottenuto con l’accordo del 10 dicembre scorso che, per almeno due anni, sembra concedere una tregua; anche se non si ferma l’azione gramsciana affidata principalmente a magistrati, università, mezzi di informazione ed associazionismo.
- Le scandalose riforme che hanno interessato la magistratura polacca
Sembra opportuno, a questo punto, dare uno sguardo, sia pure sintetico, alle tanto vituperate riforme che hanno sfigurato la magistratura polacca, mettendole addirittura il bavaglio (tanto da farle definire, appunto, muzzle law).
La prima ha riguardato l’età pensionabile dei magistrati. Quel che si è criticato è il fatto che attraverso questo strumento il Governo ha inteso sbarazzarsi di alcuni anziani magistrati, “lasciti” del vecchio regime comunista. Non entro nel merito, ma segnalo due circostanze:
- non vi è dubbio – e mi consta anche per esperienza diretta, avendo svolto plurime missioni di institution building nei Paesi dell’ex blocco socialcomunista – che nelle magistrature di grado più elevato di quei Paesi permanessero molti giudici espressione del vecchio establishment e che, soprattutto fra questi ultimi, si registrasse una diffusa corruzione; sicché tale riforma ha avuto l’effetto oggettivo di ringiovanire in modo particolare la Corte Suprema, le cui competenze sono molto importanti, sia quanto alla giurisdizione che quanto ai giudizi disciplinari;
- in Italia, negli ultimi anni, abbiamo conosciuto almeno tre riforme che hanno riguardato l’età pensionabile dei magistrati, anch’esse tacciate dal sospetto di essere state fatte allo scopo di mantenere in servizio o mandare in pensione determinati magistrati, o perché ritenuti compiacenti al governo oppure perché considerati scomodi.
La seconda ha interessato il Consiglio Superiore della Magistratura polacca, mediante la radicale modifica dei meccanismi elettivi dei propri componenti, designati dal Parlamento sulla base di liste presentate da cittadini (per i laici) o da giudici (per i togati). Può essere discutibile, ma non credo che l’elezione sulla base dell’appartenenza a correnti, come avviene in Italia per i togati (posto che i laici vengono scelti dal Parlamento senza interpellare nessuno), abbia dato risultati migliori.
Orbene, che cosa è accaduto di queste riforme? La vicenda più interessante (soprattutto per comprendere la pericolosità dell’invasione dell’UE per via giudiziaria) riguarda la riforma sull’età pensionabile. La legge è stata impugnata da alcuni giudici collocati in pensione che si sono rivolti alla Corte di Giustizia dell’UE lamentando la violazione dello stato di diritto, sotto il versante della tutela dell’indipendenza ed inamovibilità dei magistrati.
Cosa ha fatto la Corte di Giustizia? Non ha espressamente statuito la contrarietà di tale riforma rispetto ai principi dello stato di diritto contenuti nel Trattato istitutivo dell’UE, ma ha demandato agli stessi giudici che avevano presentato il ricorso di stabilire se, applicando i criteri generali forniti dalla Corte, potesse rinvenirsi una mancanza di apparenza di indipendenza o di imparzialità (sic!) negli organi giudiziari interessati dalla riforma.
Ovviamente, i giudici in questione non potevano che rispondere affermativamente; il che ha determinato uno stallo dell’intero sistema, risolto con l’ultima riforma promulgata nel febbraio di quest’anno. Tra le modifiche più importanti di tale ultimo intervento, vi è da segnalare quella che introduce un illecito disciplinare per il giudice che avanzi riserve nei riguardi di un proprio omologo, anche senza essere in presenza di una concreta iniziativa sul piano giudiziario assunta da quest’ultimo, come appunto accaduto per gli organi giudiziari interessati dalla riforma sull’età pensionabile.
Il commento più significativo sulla vicenda mi pare contenuto in un articolo comparso sulla rivista “Federalismi”, poiché coglie come le autorità polacche abbiano compreso dove si annidasse il rischio maggiore, e cioè nella saldatura fra giudici nazionali e Corte di Giustizia:[…] Sullo sfondo è alquanto complicato non intravvedere un chiaro schema volto in exremis a spezzare quel legame che si è andato rafforzando nel corso del tempo tra i giudici nazionali e sovranazionali (europei) […].[2]
- Uno sguardo alle magistrature di Francia e Germania.
Per capire se davvero sono così scandalose le riforme che hanno interessato la magistratura polacca, credo valga la pena dare uno sguardo, sia pure sommario, allo status dei magistrati dei due più grandi Paesi dell’UE, Francia e Germania.
Francia:
- il p.m. è subordinato gerarchicamente al Ministro della Giustizia;
- solo i giudici godono della garanzia di inamovibilità;
- l’accesso in magistratura avviene parte per concorso e parte per nomina del Ministro della Giustizia;
- l’iniziativa disciplinare – che può avvenire anche in presenza di atti ed azioni volte ad impedire o ostacolare il funzionamento delle giurisdizioni (qualcosa, insomma, che ricorda molto da vicino le nuove ipotesi di illecito introdotte dalla cosiddetta muzzle law in Polonia) – è appannaggio del Ministro della Giustizia e del Procuratore Generale.
Germania:
- i pubblici ministeri sono pubblici impiegati dipendenti dai Ministri dei Lander, che impartiscono loro le direttive e definiscono le linee guida delle politiche penali;
- le nomine dei giudici della Corte Suprema sono decise dal Ministro Federale (non c’è quindi bisogno di agire tramite l’età pensionabile!);
- carriere e sanzioni disciplinari sono decise dalle autorità politiche.
- Le vere ragioni dello scandalo.
Posto, dunque, che non sembrano esservi ragioni dis stanza per gridare allo scandalo (e dato per scontato che nessuna riforma è immune da vizi), c’è da chiedersi quali siano le vere ragioni di tanta pervicace aggressione, anche mediatica, nei confronti della Polonia. La vera posta in gioco, credo, emerge da almeno due considerazioni.
La prima è di ordine politico. La Polonia sfugge al clichè del populismo che vede un capo che si erge ad interprete e guida di una plebe culturalmente arretrata ed in preda a pulsioni eticamente riprovevoli; non c’è un “Orban” solo al comando, ma una coalizione di governo con radicamento significativo nella società.
La seconda attiene proprio alla strategia di contrasto posta in essere nei confronti della colonizzazione ideologica dell’UE, una strategia che sembra aver compreso che si tratta di una partita che, se si vuole vincere, bisogna giocarla sia a livello istituzionale che sul piano delle giurisdizioni. Insomma, la Polonia è un precedente pericoloso ed esportabile, che va silenziato ad ogni costo.
La conferma viene ancora una volta dall’avanguardia illuminata; sempre su “Federalismi”, infatti, leggiamo:
[…] se le condizioni ungheresi sono difficilmente ripetibili, quelle polacche sono replicabili con maggior agio, in particolare ove si tenga a mente l’ondata populista che negli ultimi anni sta pervadendo diverse realtà del vecchio continente (…). Queste transizioni (…) sovente sono accompagnate da un ampio consenso elettorale, strumentalmente veicolato grazie ad una forte componente emozionale di riscoperta dell’identità nazionale che ne valorizzi di conseguenza la sovranità, in contrapposizione all’algido approccio burocratico sovranazionale”.
Se così stanno le cose, c’è allora qualche motivo di speranza, giacché l’eccezione polacca sembra assumere connotazioni non di mera resistenza e difesa di quel che residua di una Europa oramai vecchia, ma sembra pulsare della vitalità propria del tentativo di ricostruire l’Europa di sempre, a partire dalle sue radici; che non sono algide come i palazzi di vetro degli eurocrati, ma sporche della terra che ha conosciuto tanti santi e guerrieri.
Il professore Zagrebelsky si chiede, rimproverando i vertici dell’UE a proposito dell’accordo del 10 dicembre, se contino più o soldi o i valori. Grazie a Dio, c’è qualcuno in Europa ancora capace di dare la giusta gerarchia alle cose. E non siede a Bruxelles.
Domenico Airoma
[1] Vladimiro Zagrelsky, “Stato di diritto. I soldi contano più dei valori”, La Stampa, 14 dicembre 2020.
[2] “La nuova legge polacca sul sistema giudiziario: cresce (ulteriormente) la distanza che separa Varsavia e Bruxelles”, in Federalismi.it, 1 aprile 2020).