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Dell’avvocato Vincenzina Maio, del foro di Salerno

Con la sentenza n. 229 depositata il 9 novembre scorso, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge n. 40/2004 (sulla procreazione medicalmente assistita) commi 3 lett.b) e 4 “nella parte in cui contempla come ipotesi di reato la condotta di selezione degli embrioni  anche se finalizzataesclusivamente ad evitare l’impianto  nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie geneticamente trasmissibili” . L’incidente di legittimità costituzionale è  stato sollevato dal Tribunale di Napoli nell’ambito di un processo penale a carico di medici per il reato di “selezione eugenetica”.  Invero, l’art. 13 della legge 40 presidia con la sanzione penale (co.4)  della reclusione da due a sei anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro, aumentata, il divieto contenuto nel co.3 lett. b) di “ogni  forma  di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti  ovvero  interventi  che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione  o  comunque  tramite  procedimenti  artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero  a  predeterminarne  caratteristiche  genetiche,  ad eccezione degli interventi aventi finalita’ diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo”.

La decisione in commento  si compone di due parti  corrispondenti alle due censure  rivolte dal Tribunale di Napoli  alla legge 40/2004.

La prima riguarda  l’art. 13 della legge  n. 40/2004. Assume il Tribunale  che la norma,  con il vietare e sanzionare penalmente opererebbe in modo indiscriminato contro  «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni», senza escludere  dalla fattispecie di reato  l’ipotesi in cui la condotta dei sanitari «sia finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna degli embrioni affetti da malattie genetiche» . Così scritta, la norma contrasterebbe con gli artt. 3 e 32 della Costituzione, «per violazione del principio di ragionevolezza, corollario del principio di uguaglianza» e per vulnus al diritto alla salute  della coppia generatrice, nonché con  l’art. 117, co.1, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), «come interpretato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, laddove ha affermato che il diritto al rispetto della vita privata e familiare include il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattia genetica (in tal senso, Corte EDU, Costa e Pavan contro Italia, sentenza del 28 agosto 2012, § 57)».

La questione è stata accolta dalla Consulta che ha fatto  sostanziale leva sulla propria  precedente sentenza n. 96 del 2015 con cui aveva  dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della stessa legge n. 40 del 2004, «nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 […], accertate da apposite strutture pubbliche».

Secondo la prospettazione della Corte “quanto è divenuto così lecito, per effetto della suddetta pronunzia additiva, non può dunque – per il principio di non contraddizione − essere più attratto nella sfera del penalmente rilevante”.

Val la pena ricordare, brevemente,   che la Corte Costituzionale, con la sentenza 96/2015,  era stata sollecitata dal Tribunale di Roma a prendere  posizione sul “diritto della coppia ad avere un figlio sano”, nella prospettiva del “diritto ad autodeterminarsi nelle scelte procreative”, sullo sfondo della suggestiva argomentazione secondo cui non aveva senso impedire l’accesso alla pma alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche se poi, comunque, le stesse avevano diritto al cd. aborto terapeutico. La questione di legittimità costituzionale è stata ritenuta fondata in relazione all’assorbente  profilo del  vulnus asseritamente  arrecato dalla normativa denunciata, agli artt. 3 e 32 Cost. . Argomentava la sentenza n. 96/2015 la sussistenza di un insuperabile aspetto di irragionevolezza nell’indiscriminato divieto all’accesso alla procreazione assistita, con diagnosi preimpianto, da parte di coppie fertili affette (anche come portatrici sane) da gravi patologie genetiche ereditarie, suscettibili di trasmettere al nascituro rilevanti anomalie o malformazioni in quanto, con palese antinomia normativa, il nostro ordinamento avrebbe consentito, comunque, a tali coppie di perseguire l’obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla specifica patologia ereditaria di cui sono portatrici attraverso la  più traumatica modalità della interruzione volontaria di gravidanza consentita dall’art. 6, comma 1, lett. b), l. n. 194/1978 (si rinvia al commento “Verso la deriva eugenetica? La sentenza n.96/2015 della Corte costituzionale”).

Una volta aperto il varco verso una chiara deriva eugenetica, ma non abbastanza ampio da passarci indenni anche a livello penale, ecco che la Consulta completa l’abbattimento, in parte qua, della legge 40/2004 con la sentenza 229 che elimina anche gli aspetti penali della selezione degli embrioni. Approdo prevedibile e consequenziale di un mutato scenario della procreazione medicalmente assistita aperto alle coppie  fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili.  Dunque, selezione ammessa anche penalmente purchè esclusivamente finalizzata ad evitare il trasferimento nell’utero della donna di embrioni che, dalla diagnosi preimpianto, siano risultati affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità che determinano il cd. aborto terapeutico.

La Consulta respinge, invece, l’invocata declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 14 della legge/40 relativamente alla condotta di “soppressione” di embrioni.

Invero, la seconda censura mossa dal Tribunale di Napoli  riguarda l’ art. 14, commi 1 e 6, della  legge n. 40, nella parte in cui (parallelamente all’art. 13)  vieta e sanziona penalmente la condotta di soppressione degli embrioni, anche ove trattasi di embrioni soprannumerari risultati affetti da malattie genetiche a seguito di selezione finalizzata ad evitarne appunto l’impianto nell’utero della donna. Ad avviso del Tribunale di Napoli risulterebbero violati l’art. 2 Cost., «sotto il profilo della tutela del diritto all’autodeterminazione della coppia»,  l’art. 3 Cost., per irragionevolezza e contraddittorietà rispetto al disposto dell’art. 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza), che «consente agli operatori sanitari di praticare l’aborto terapeutico – anche oltre il termine di 90 giorni dall’inizio della gravidanza – in presenza di “processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro”», ed infine  l’art. 117, co.1 Cost., in relazione al medesimo parametro europeo come sopra evocato.

I giudici costituzionali, partendo dal presupposto che “l’embrione, quale che ne sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico” ritiene legittima la scelta del legislatore di sanzionare penalmente la soppressione degli embrioni. Spiega la sentenza che la tutela dell’embrione è stata riconosciuta suscettibile di «affievolimento» solo in caso di conflitto con «altri interessi di pari rilievo costituzionale (come il diritto alla salute della donna) che, in temine di bilanciamento, risultino, in date situazioni, prevalenti».  Diversamente,  il vulnus alla tutela della dignità dell’embrione (ancorché) malato «non trova però giustificazione, in termini di contrappeso, nella tutela di altro interesse antagonista». Una simile previsione nel  pensiero  della Corte non contrasta con il «diritto di autodeterminazione» per l’assorbente ragione che non ne è più previsto l’impianto coattivo nell’utero della gestante. Ne consegue la dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità dell’articolo 14, commi 1 e 6, della legge 40, che lascia in piedi  per i medici  la fattispecie di reato di  «soppressione degli embrioni soprannumerari», alla luce del fatto che la “malformazione non ne giustifica, sol per questo, un trattamento deteriore rispetto a quello degli embrioni sani creati in «numero […] superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto», ex comma 2 del medesimo art. 14, nel testo risultante dalla sentenza n. 151 del 2009”.

La Corte approda, così, alla conclusione che gli embrioni “selezionati” per difetti genetici  e gli  embrioni soprannumerari condividono un comune e freddo destino : la procedura di crioconservazione.

La sentenza, a questo punto,  apre ad uno scenario incerto e carico di delicate problematiche.

Se  la generazione in provetta di esseri umani legittima dubbi di compatibilità con l’intangibile  ed intrinseca dignità della chiamata all’esistenza, la crioconservazione degli embrioni è, senza perplessità alcuna,  una condizione non rispettosa della dignità umana per una serie evidente di ragioni. Anzitutto   quella della durata ,  dato che  la crioconservazione potrebbe estendersi per un periodo di tempo imprevedibile allo stato attuale delle nostre conoscenze . In secondo luogo, per la scarsa percentuale di embrioni che riescono a sopravvivere una volta “scongelati”. In terzo luogo, per il fondamentale problema dell’incertezza sulla sorte finale degli embrioni crioconservati (e non impiantati) .

Non è possibile in questa sede affrontare compiutamente ciascuno dei suddetti profili.  Va però  ricordato che la legge 40/2004 , nell’impianto originario anteriore agli  interventi demolitivi della Consulta, vietava la crioconservazione . Come è noto, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 151/2009 ha   smantellato quella parte della legge  che limitava a tre il numero di embrioni da produrre mediante tecniche di procreazione assistita e che obbligava all’impianto di tutti gli embrioni prodotti in un unico intervento, facendo di riflesso decadere anche il divieto di crioconservazione degli embrioni ottenuti.  Si è così fatta avanti la tesi secondo cui la crioconservazione è giustificata  dall’ esigenza di evitare la morte dell’embrione, quando l’impianto in utero si riveli non praticabile, con la possibilità di un impianto in tempi successivi.

Sennonchè, la tesi si è rivelata fallimentare se è vero, come è vero, che il più delle volte l’impianto in tempi successivi non è mai avvenuto,  con al conseguenza dell’aumento degli embrioni crioconservati senza richieste di impianto.   Alcuni hanno paventato  la possibilità di adozione come soluzione più che altro “simbolica” al problema, mentre, dall’altro lato, si sono registrate forti spinte verso la destinazione degli embrioni crioconservati alla ricerca/sperimentazione scientifica (con inevitabile distruzione).

Quelle appena descritte sono solo alcune delle difficoltà etico-giuridiche poste dalla crioconservazione,  difficoltà destinate ad aumentare esponenzialmente con la   sentenza 229 .

Una sentenza che si muove nel solco di una ipocrisia giuridica ingenerata dal pensare – come fa la Consulta –  di mantenere in piedi una ratio legis oramai irreversibilmente minata alle radici. Da un lato apertura alla diagnosi pre-impianto e alla selezione degli embrioni, dall’altro affermazione della “soggettività” dell’embrione .  Una “soggettività” (per vero) strana, che non solo consente di decidere, senza diritto di replica,  la sorte dell’embrione  alla coppia e al medico , ma che  poi addirittura affida l’embrione “scartato” al destino della congelazione sine die. Con quali prospettive per l’embrione di continuare il suo processo evolutivo sino alla nascita? Praticamente scarsissime. La crioconservazione è una condizione di “sospensione” dell’esistenza umana più vicina alla morte che alla vita.

Decidendo per la legittimità della selezione genetica, la Corte non ha fatto altro che aumentare il ricorso a questa discutibile quanto disumana  pratica del congelamento degli embrioni, peraltro anche priva di regolamentazione, senza dimostrare coerenza argomentativa né vera sensibilità verso la difesa e promozione  dello status giuridico dell’embrione come soggetto di diritti.

Lacuna grave che lascia aperta una domanda : quando   gli embrioni criocongelati saranno tanti da non poter più essere mantenuti dal Servizio Sanitario Nazionale, ne  sarà ancora vietata la soppressione?

 

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