Crolla un altro bastione sulla strada della disintermediazione, quello dell’autonomia degli avvocati? Sembrerebbe proprio di sì, stando alla raccolta firme, significativamente organizzata dalla Cgil, per l’abolizione dell’incompatibilità tra lavoro dipendente o parasubordinato e la professione di avvocato, secondo quanto riporta, nel suo inserto economico di lunedì 20 febbraio 2017, il “Corriere della Sera”.
Qualora la raccolta di firme dovesse raggiungere i numeri necessari per essere presentata in Parlamento e, successivamente, dovesse essere approvata, diventando legge, i giovani avvocati, perché è questa la categoria che si vorrebbe tutelare, diventerebbero a tutti gli effetti dipendenti, cioè impiegati, dei mega studi legali che si dividono la maggior parte della fetta del mercato italiano.
La proposta di legge è, stranamente, condivisa dall’Associazione nazionale forense, nonché, meno stranamente, dal guardasigilli Andrea Orlando, che iniziò giovanissimo la sua carriera politica quale segretario provinciale della Federazione giovanile comunista italiana di La Spezia e consigliere comunale del PCI della stessa città. “Credo che siano maturi i tempi per avviare una riflessione sul praticantato e sulle modalità di lavoro della giovane avvocatura, per valutare la possibilità di delineare forme di riconoscimento contrattuale per praticanti e giovani avvocati che sia compatibile con l’autonomia del professionista”, disse Orlando all’inaugurazione dell’anno giudiziario del 2016.
Travolta dalla crisi economica, dai sempre maggiori balzelli per accedere alla giustizia, dalle lungaggini processuali, la gloriosa classe forense sta per gettare la spugna. Qualche numero ci darà la misura della crisi. Su un totale di circa 240.000 avvocati iscritti, 60.000 non superano i 10.300 euro l’anno, 40.000 arrivano a 20.000 euro, altri 20.000 hanno un reddito pari a zero e ce ne sono 20.000 che non hanno nemmeno inviato, alla Cassa Forense, il modello dichiarativo per il pagamento dei contributi previdenziali. E nonostante la crisi, paradossalmente, ma non troppo, le iscrizioni all’albo continuano a salire: dalle 235.000 dell’anno scorso, le iscrizioni sono salite, quest’anno, a 239.000, costituendo così, la professione forense, una specie di “refugium peccatorum”, invece di una professione di elite, necessaria ad una sana gestione della giustizia, nel rapporto dialettico tra magistratura e avvocatura.
La crisi degli avvocati si inserisce nella crisi della classe media, sempre più appiattita verso il basso e proletarizzata, in una società sempre meno organica e massificata, costituita da ristrettissime, super privilegiate oligarchie, sia economiche che politiche, e una gran massa di persone che riescono a malapena a far quadrare il bilancio.
Paradossalmente si sta realizzando, senza la violenza che storicamente lo caratterizzò agli inizi del secolo scorso, il “sogno” socialista di una società eguali e senza classi. Provvidenzialmente, però, si notano segni di resistenza e rivincita, di cui si sono fatti interpreti, con tutti i limiti dei personaggi, Trump, in America, e i movimenti antiestablishment che hanno portato alla Brexit in Inghilterra ed alla vittoria del No nel recente referendum costituzionale in Italia.
Stefano Nitoglia – avvocato in Roma