Analisi tecnica sulla riforma della violenza sessuale (DDL 1715). Il nodo del consenso libero e attuale, l’inversione dell’onere della prova e i profili di incostituzionalità.

SENATO DELLA REPUBBLICA

2° COMMISSIONE

AUDIZIONE 16.12.2025  NELL’AMBITO DELL’ESAME DEI DISEGNI DI LEGGE NN. 1715 (APPROVATO DALLA CAMERA DEI DEPUTATI), 90, 1716 E 1717 (MODIFICA DELL’ARTICOLO 609-BIS DEL CODICE PENALE IN MATERIA DI VIOLENZA SESSUALE E DI LIBERA MANIFESTAZIONE DEL CONSENSO)

1. La tradizione giuridica, fino ad anni recenti – mi riferisco in particolare alla legislazione italiana  attuale fissata dalla riforma del 1996 – ha costantemente ritenuto che affinché l’atto sessuale acquisisca i connotati del disvalore e, in particolare, del disvalore penalmente sanzionato, occorra che uno dei partner eserciti una costrizione, fisica o psicologica, nei confronti dell’altro.

Il reato si qualificava tecnicamente– e si qualifica ancora oggi –quale reato a condotta attiva, di carattere doloso, con evento di danno, ove è essenziale il nesso causale tra la condotta di tipo costrittivo e la consumazione dell’atto sessuale. Tale nesso è sottoposto, come accade per tutti i reati con evento naturalistico, a una verifica di tipo controfattuale, la quale costituisce garanzia della determinatezza del tipo.

Tale garanzia si riflette sul piano probatorio nei termini seguenti: se il soggetto attivo non avesse esercitato la costrizione, l’evento illecito non si sarebbe verificato. Le difficoltà della giurisprudenza si sono allocate quasi esclusivamente, come per tutti i reati con eventi naturalistici, sul piano della rilevanza causale della condotta, nella difficoltà di apprezzare la sussistenza della costrizione psicologica o fisica.

2. Negli ultimi decenni la giurisprudenza ha via via allentato la pregnanza del tipo “costrizione”, offuscando, ma non cancellando completamente, il rigore probatorio idoneo a accertare la sussistenza del nesso causale tra la pressione costrittiva dell’agente e la consumazione degli atti sessuali.

Al fine di evitare la “vittimizzazione” processuale del soggetto denunciante, i giudici hanno teso a tralasciare l’approfondimento delle circostanze non soltanto remote, ma anche prossime, del rapporto sessuale, in favor della posizione soggettiva ritenuta più debole della relazione – normalmente, quella della donna –, sulla presunzione, almeno relativa, che l’asserto accusatorio circa la costrizione del partner, per il profilo di responsabilità morale e giuridica che l’accusa comporta, corrisponda a verità.

La giurisprudenza, anche quella della Suprema Corte, non ha però mai omesso di rimarcare l’obbligo del giudice di accertare con rigore tutte le modalità del fatto, al fine di verificare l’effettiva sussistenza del nesso causale tra il comportamento del soggetto accusato e l’evento costituito dalla consumazione degli atti sessuali.

Se si esaminano, peraltro, non soltanto le massime delle sentenze, ma l’ordito integrale delle motivazioni, ci si rende conto che la giurisprudenza, pur allargando in malam partem la tipicità della fattispecie, ha pur sempre cercato di individuare con una certa acribia la sussistenza del nesso causale, mantenendo il livello della presunzione a livello relativo, e non assoluto, ammettendo cioè sempre la prova del contrario.

3. La proposta di riforma dell’art. 609 bis del codice penale appare, sul piano tecnico-giuridico, rivoluzionaria.

La fattispecie non viene più costruita secondo lo schema della condotta costrittiva che causa l’evento dell’atto sessuale, bensì secondo lo schema inedito della sussistenza necessaria di un elemento di fattispecie positivo, consistente nel consenso della persona che lamenta l’ingiustizia dell’evento. Soltanto la sussistenza di tale elemento positivo possiede la valenza di escludere l’illiceità penale del fatto.

Lo schema tecnico concettuale della proposta risulta essere quello della causa di giustificazione, giacché il disvalore giuridico del fatto non si radicherebbe più nella pregnanza illecita della condotta di costrizione, bensì sarebbe immanente al rapporto sessuale stesso, che sarebbe già potenzialmente pregno di disvalore penale, al quale soltanto il consenso libero e attuale del partner toglierebbe lo stigma dell’illiceità penale.

Non sto qui a esaminare le implicazioni antropologiche del cambiamento proposto. Le strutture normative sono le forme tramite le quali viene imbrigliata la realtà ontologica. I cambiamenti strutturali sono conseguenza di slittamenti antropologici.  Non sviluppo oltre questo tema e mi attengo esclusivamente ai dati tecnico-giuridici.

4. Sul piano tecnico mi limito a dire che il consenso, nella proposta, costituisce un elemento positivo della fattispecie – anzi l’unico elemento positivo – , il quale deve essere oggetto di prova certa.

Da qui deriva, a mio parere, una prima criticità: con la disposizione proposta non andrebbe più provata la costrizione dell’autore, bensì la presenza del consenso di chi ha lamentato l’illecito, con la conseguenza che la semplice incertezza di prova in ordine alla sussistenza del consenso condurrebbe nel nuovo schema alla condanna dell’imputato.

5. Si verificherebbe così l’inversione dell’onere della prova a carico dell’imputato, situazione contraria ai princìpi del processo penale. Starebbe a costui il compito di provare il consenso del partner.

Nella formulazione tradizionale, ancora oggi praticata dalla giurisprudenza, spetta all’accusa provare la costrizione dell’agente o, almeno, il dissenso della persona denunciante. Con la nuova formulazione, invece, spetterebbe all’accusato provare il consenso del partner.

6. Ma c’è qualcosa di più. Questo tipo di prova positiva del consenso è praticamente impossibile.

Infatti, l’atto di consenso, in quanto atto della persona libera, autocosciente e consapevole, può essere un atto meramente interiore, in quanto tale non discernibile dall’osservatore esterno.

Ora, di fronte al partner che abbia denunciato di non aver consentito interiormente all’atto sessuale, quale tipo di prova in contrario può fornire il soggetto denunciato?

7. Appare a questo punto una seconda criticità.

Poiché, come rilevato, il consenso può essere atto meramente interiore, comunque atto non recettizio, occorre domandarsi come possa il soggetto garantirsi di compiere un atto sessuale senza correre il rischio di essere accusato di violenza.

E’ noto che nei campi in cui la legislazione ha parlato di “consenso informato”, i testi normativi sono estremamente precisi nel distinguere tra consenso corrispondente all’intenzione del soggetto e consenso viziato, cioè non corrispondente alla sua intenzione.

La garanzia adottata dalla legislazione consiste nella forma scritta del consenso o, almeno, nella sua audio registrazione.

La domanda in relazione alla proposta è ora la seguente: come si deve manifestare il consenso all’atto sessuale?

La proposta si limita a dire che si deve trattare di un consenso libero e attuale. Come è possibile all’accusato provare la libertà del consenso?

Vi potrebbe essere stato infatti ex ante un consenso meramente interiore all’atto sessuale, che viene negato post factum.

Senonché il consenso meramente interiore o tacito non avrebbe alcun rilievo al fine di escludere la tipicità penale del fatto. Per il diritto conta infatti la manifestazione esteriore della volontà, non la semplice sussistenza in interiore animo di una volontà positiva.

Certamente si possono individuare degli indicatori positivi circa la sussistenza o l’insussistenza del consenso. Ma nei rapporti conflittuali tra le persone, soprattutto tra partner conviventi, gli indicatori esterni sono molto spesso equivoci, poiché le oscillazioni riflettono il modificarsi del livello di conflittualità e gli effetti contrari determinati da momenti ora di riconciliazione ora di riaccensione del conflitto.

In situazioni di questo genere il consenso tacito – pur esistente, ma che viene negato ex post dal soggetto denunciante – non è adeguato a garantire la serenità del rapporto sessuale e, tanto meno, la non punibilità di chi si veda negare ex post dal partner che l’atto sia stato compiuto con il suo consenso.

Potrebbe così sembrare opportuno il rimedio, a garanzia dei soggetti interessati agli atti sessuali, che, prima degli stessi, vengano manifestati per iscritto tanto il consenso sull’atto, quanto il consenso sulle modalità delle prestazioni che vengono espressamente consentite.

Un siffatto rimedio, però, potrebbe essere peggiore del male, sia perché, in via generale, burocratizzerebbe in modo inaccettabile un rapporto intimo e personale tra le persone, sia perché si presterebbe a minacce e strumentalizzazioni proprio da parte della persona che, in mala fede, volesse costruirsi ex ante una prova a proprio favore nell’ambito di relazioni borderline, tendenzialmente prive di un consenso valido, ma apparentemente accettate con ricatti, impliciti o espliciti, ovvero dietro promesse di denaro o di altre forme di benefici profittevoli.

Poiché il rimedio, come ho detto, sarebbe peggiore del male, non vedo come possa l’accusato respingere validamente un’accusa falsa.

8. Nella modifica di legge intravedo una ulteriore criticità.

Il consenso deve essere libero e attuale.

L’attualità significa che esso deve permanere per tutta la durata del rapporto.

Ora, se il soggetto denunciante lamenta la cessazione del consenso durante il rapporto, sembra che la prova in contrario dell’accusato abbia carattere quasi diabolico.

Si tenga conto realisticamente che il rapporto sessuale non si consuma tra angeli, ma tra soggetti corporei. E tale intimità corporea, se provoca normalmente piacere, può provocare anche, ad un certo punto del rapporto, fastidio o anche disgusto.

Se uno dei partner, rimasto infastidito dal rapporto, denuncia ex post che il suo consenso è venuto meno, quale mezzo di prova ha l’accusato per provare il contrario?

9. Un’altra criticità concerne il problema dell’elemento soggettivo del reato.

Nell’attuale assetto normativo, l’accusato può allegare – e provare sulla base di indicatori esterni – di avere erroneamente percepito la sussistenza del consenso del partner.

L’errore, vertendo su un elemento – il consenso del partner -, che costituisce un presupposto di fatto del reato, scrimina l’autore ai sensi dell’art. 47, co. 1° del codice penale.

Nella struttura proposta, il consenso è un elemento costitutivo essenziale del reato. L’errore sul consenso diventerebbe un errore sulla legge penale L’ignoranza sulla legge, ai sensi dell’art. 5 del codice penale, non scusa, se non in casi assolutamente eccezionali.

Per ovviare all’inconveniente di cancellare il profilo soggettivo del fatto, con violazione del principio dell’art. 27, 1° co. della Costituzione, sarebbe opportuno riformulare la disposizione sul modello del riformato (dopo la Convenzione di Istanbul) § 177, 1° co.  Strafgesetzbuch, che prevede la fattispecie-base dei delitti di violenza sessuale.

Esso è ispirato al modello del dissenso manifesto, che valorizza la manifestazione negativa di consenso.

Il legislatore tedesco ha rinunciato al requisito della costrizione, essendo sufficiente a integrare la violenza sessuale il dissenso, sia espresso che non espresso, della persona, ma che sia comunque “riconoscibile” (“gegen den erkenbaren Willen” – § 177/1). La formulazione tedesca ha lo scopo di evitare che il reato sia integrato dal mero stato mentale di dissenso della vittima e ha il merito di conservare rilievo all’errore sul fatto.

10. Vi sono ulteriori profili di criticità:

  1. il primo riguarda la mancata specificazione del requisito “atti sessuali”. Come noto, la varietà degli stessi è assai ampia; l’indicazione generica della proposta integra una violazione del principio di determinatezza del tipo, ex art. 25, 2° co. Costituzione.
  2. Allo stesso modo è indeterminata la previsione della circostanza attenuante dei “casi di minore gravità”, che importa la diminuzione della pena in misura non eccedente i due terzi.
    L’esigenza di una precisazione normativa è importantissima per almeno due ragioni: la prima concerne il rispetto del principio di realtà, che impone di tener conto della minore gravità di un toccamento fugace in una parte non intima del corpo rispetto alla penetrazione sessuale; la seconda concerne il rispetto del principio di uguaglianza, giacché l’assoluta indeterminatezza della disposizione condurrebbe a soluzioni estremamente differenziate in casi simili o addirittura identici, con violazione dell’art. 3 della Costituzione.
  3. La scansione del 1° e del 2° comma della formulazione proposta è illogica.
    Nel 1° comma è prevista l’ipotesi degli atti sessuali “senza il consenso libero e attuale”. Nel 2° comma è previsto, in modo riassuntivo, un precetto che accorpa l’ipotesi dell’attuale 1° comma dell’art. 609 bis (condotta costrittiva con violenza o minaccia o abuso di autorità) con l’ipotesi dell’attuale 2° comma (abuso delle condizioni di inferiorità – a cui si aggiunge il concetto di vulnerabilità – della persona offesa o inganno della stessa per sostituzione di persona).
    La cornice di pena prevista per la fattispecie nuova e per quella che accorpa le ipotesi del vigente art. 609 bis è la medesima.
    Ora, è evidente che le ipotesi più specifiche indicate al comma 2° sono ricomprese nella più generica disposizione del 1° comma. Pertanto, non v’è alcuna ragione di duplicare la fattispecie.
    Diversa sarebbe la situazione se le ipotesi del proposto 2° comma fossero punibili con pena più severa. Allora, si potrebbe pensare di prevedere al 1° comma una fattispecie punita più gravemente – ricomprendente i casi di costrizione o abuso – e al 2° comma una fattispecie generica, meno grave, in cui siano assenti i connotati di disvalore della condotta dell’agente.

11. L’Associazione italiana dei professori di diritto penale (AIPDP) sotto la guida del prof. Sergio Seminara e coordinato dalla professoressa Marta Bellini ha scelto una strada meno radicale di quella risultante dalla proposta di modifica, ricorrendo a una forma di consenso non necessariamente espresso, ma anche desumibile dalle circostanze in cui è maturato il rapporto sessuale. Con ciò viene affidato al giudice un ampio potere discrezionale, diretto a garantire un accertamento più prudente del fatto, tenendo conto delle complesse interazioni tra le parti. In definitiva, la soluzione dell’AIPDP si attesta sulle massime in questo settore formulate dalla giurisprudenza italiana di legittimità. 

Torino/Roma, 16 dicembre 2025

Prof. Mauro Ronco
Emerito di Diritto penale nell’Università di Padova

Share