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La prefettura, per chiedere l’interruzione delle trascrizioni, ha fatto riferimento alla legge 40 del 2004, quella sulla procreazione medicalmente assistita, consentita solo a coppie formate da persone di sesso diverso. Del resto, a prescindere dalle posizioni politiche e dalle pressioni del “mondo arcobaleno”, si tratta di una pratica che la legge non consente a tutela della dignità della donna e del minore.

Come già riportato in un precedente articolo (https://www.centrostudilivatino.it/la-registrazione-di-figli-di-coppie-omogenitoriali-un-caso-ancora-aperto/) il prefetto di Milano aveva interpellato il Ministero degli Interni sulla questione della trascrizione integrale degli atti di nascita di bambini nati da utero in affitto, trascrizione che il sindaco di Milano Giuseppe Sala aveva disposto nel luglio scorso.

Dopo questi approfondimenti il prefetto di Milano Renato Saccone il 10 marzo ha inviato una circolare ai Comuni precisando che «non è consentita in Italia la registrazione nell’atto di nascita dei bambini nati da coppie dello stesso sesso».

«Alla luce del divieto per le coppie dello stesso sesso di accedere a tecniche di procreazione medicalmente assistita – si legge nella circolare -, solo il genitore che abbia un legame biologico con il nato può essere menzionale nell’atto che viene formato in Italia».

Sala ha spiegato alle famiglie arcobaleno che è costretto ad interrompere entrambi i tipi di iscrizione. Continueranno solo per i bimbi nati all’estero da due madri, anche se la prefettura si è riservata una valutazione. L’amministrazione ha richiesto un parere all’Avvocatura generale dello Stato.

Si ribadisce che la pratica dell’utero in affitto -o gestazione per altri- non può essere a nessun titolo considerata un diritto. In Italia costituisce infatti un reato ai sensi della legge 40/2004 (art. 12, comma 6): “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.

Lo Stato italiano non riconosce in quanto contrari all’ordine pubblico gli atti di nascita formati all’estero di bambini nati mediante detta pratica, indifferentemente dal fatto che venga intrapresa da coppie eterosessuali o omosessuali, nonché gli atti di nascita di bambini nati per iniziativa di coppie di donne mediante tecniche di fecondazione assistita (Cassazione a Sezioni Unite, sentenza 12193/2019)

Si aggiunga che le Sezioni Unite civili, con sentenza n. 38162 del 30 dicembre 2022, hanno ribadito che il riconoscimento del provvedimento straniero che attesta il rapporto di filiazione con il “genitore d’intenzione” di un bambino nato da maternità surrogata è contrario all’ordine pubblico. Per l’effetto deve essere esclusa l’automatica trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero attestante il rapporto di filiazione da maternità surrogata, per disincentivare il ricorso a una pratica che asseconda la mercificazione del corpo, spesso a discapito delle donne più vulnerabili sul piano economico e sociale.

Richiamando le relazioni umane nel loro complesso, infatti, la Corte ha chiarito che non soltanto la donna, in particolare la madre biologica, è titolare dei beni offesi dalla surrogazione di maternità, ma financo l’intera collettività, che risulterebbe compromessa da questa nuova tecnica di “formazione” delle famiglie.

Il Giudice di legittimità ha, dunque, voluto prendere le distanze dall’idea per cui la dignità coincide con la sola autodeterminazione, per sottolineare come, al contrario, tanto la donna, quanto i genitori intenzionali, non dispongono di assoluta autodeterminazione in ordine alle scelte procreative. Queste ultime, infatti, non sono nella piena e indiscriminata disponibilità di chi le compie ma, in uno Stato di diritto, trovano il proprio limite nella legge.

Infine, nell’affermare espressamente il disvalore per la surrogazione di maternità, la Corte ha voluto sottolineare che, diversamente da altre ipotesi di giurisprudenza “creativa” in cui i giudici cercano di supplire all’inerzia del legislatore, in questo caso ci si trova dinanzi alla precisa scelta di vietare, senza eccezioni, tale pratica.

Ad avviso di chi scrive, in una prospettiva de jure condendo, piuttosto che interrogarsi sulla possibilità di eliminare il divieto in esame, il legislatore dovrebbe, al contrario, prevedere una più precisa forma di responsabilità in capo ai genitori intenzionali che decidano di realizzare il proprio progetto genitoriale nei Paesi in cui la surrogazione di maternità è consentita. L’abrogazione dell’art. 12, co. 6 l. n. 40/2004, infatti, determinerebbe un’eccessiva compressione degli interessi del minore e della madre biologica a favore del solo e insaziabile interesse dei genitori intenzionali.

Fermo restando, infatti, che «nell’attuale diritto di famiglia (…) l’attribuzione di stato non può essere determinata dall’esigenza di prevenire e sanzionare condotte dei genitori riprovate dall’ordinamento, ma deve invece guardare all’interesse del figlio»[1] , si rende necessario conciliare tale interesse del minore non soltanto con gli altri valori coinvolti – la dignità della donna in primis – ma, soprattutto, con quello di certezza del diritto, principio fondamentale in «uno stato di diritto, anch’esso un bene universale e assolutamente primario, e che include il rispetto delle procedure, la qualità della comunicazione politica e pubblica, l’indipendenza della giurisdizione»[2] .

Daniele Onori


[1] G. FERRANDO, Gravidanza per altri, impugnativa del riconoscimento per difetto di veridicità e interesse del minore. Molti dubbi e poche certezze, in GenIus, fasc. 2/2017, pp. 12 ss.; dello stesso avviso, è anche S. STEFANELLI, Accertamento della maternità nella gestazione per altri, in BioLaw Journal – Rivista di Biodiritto, 2016, pp. 7 ss.

[2] S. NICCOLAI, Diamo alla maternità quel che le spetta, cit., p. 209. In particolare, l’A. evidenzia come «la confusione che avvolge il tema impedisce di cogliere la natura universale dei problemi connessi alla surrogazione di maternità, i quali universali sono, invece, sia nel senso, semplice ed essenziale, di qualche cosa che non riguarda solo un “me” (le donne, i gay, le coppie e le persone sterili) ma tutti come essere umani. Sia nel senso – che viene in rilievo in relazione a particolari modi in cui il tema si è dispiegato nel nostro Paese – di qualcosa che ci riguarda tutti come cittadini di uno stato di diritto, anch’esso un bene universale e assolutamente primario, e che include il rispetto delle procedure, la qualità della comunicazione politica e pubblica, l’indipendenza della giurisdizione e, in una, la certezza del diritto, fatta a sua volta di impegno etico alla veracità, alla reciprocità, al rigore dell’argomentazione»

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