Una importante sentenza resa oggi dalla Corte di ultima istanza UK
di Francesco Cavallo – Avvocato in Lecce, Visiting Fellow Fordham University School of Law NY e Dottore di ricerca di Diritto Costituzionale comparato presso l’Università del Salento
Dopo la Corte Suprema Americana (https://www.centrostudilivatino.it/liberta-anche-per-jack-il-pasticciere/), anche la Corte di ultima istanza del Regno Unito, con la sentenza Lee v Ashers Baking Company Ltd and others [2018] UKSC 49 (qui il testo integrale https://www.supremecourt.uk/cases/docs/uksc-2017-0020-judgment.pdf), ribadisce oggi, 10 ottobre, il principio secondo cui nessuno può costringere un prestatore d’opera a celebrare eventi o a esprimere messaggi contro la sua fede e/o contro le sue personale convinzioni. La vicenda, anche stavolta, riguardava una pasticceria alla quale, nel 2014, un attivista LGBT aveva commissionato una torta con il logo e, sopratutto, lo slogan di una campagna LGBT “Supporta il matrimonio gay”. E anche stavolta, la pasticceria, a conduzione familiare, si era detta indisponibile a realizzare la torta richiesta siccome in contrasto con la propria fede cristiana.
Sennonché, la Commissione per l’uguaglianza per l’Irlanda del Nord (ECNI) – istituzione pubblica, finanziata dai contribuenti – aveva promosso un’azione civile contro la pasticceria deducendo la violazione delle leggi dell’Irlanda del Nord per il contrasto alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale. Il Tribunale della Contea di Belfast e la Corte d’Appello di Balfest, rispettivamente nel 2015 e nel 2016, avevano condannato la pasticceria Ashers della famiglia McArthur. Con decisione unanime (5-0), però, la Suprema Corte della Gran Bretagna ha oggi ribaltato il verdetto, mandando esente da ogni responsabilità i McArthur.
La pronuncia ribadisce il principio – già affermato dalla Corte Suprema Americana nel citato Masterpiece Cakeshop, Ltd v. Colorado Civil Rights Commission, 584 U.S (https://www.centrostudilivatino.it/wp-content/uploads/2018/06/Sentenza-della-Corte-Suprema-degli-Stati-Uniti-dAmerica-sulla-libertà-di-rifiutare-di-prestare-alcuni-servizi.pdf) – secondo il quale nessuno può essere costretto a celebrare eventi o a esprimere messaggi in disaccordo con la propria fede religiosa e/o contro le proprie personale convinzioni. Essa si basa, di fatto, su un unico argomento, di ordine logico ancor prima che giuridico: la condotta dei McArthur non esprimeva dissenso rispetto alla persona del committente bensì al messaggio di cui la torta stessa avrebbe dovuto essere veicolo, sì che non si configura alcuna discriminazione basata sull’orientamento sessuale. «Il trattamento di sfavore» – hanno scritto i magistrati inglesi – «non ha avuto ad oggetto alcun uomo, bensì un messaggio o, meglio, un’opinione lato sensu politica: ai pasticcieri era stato chiesto di esprimere un messaggio con il quale erano profondamente in disaccordo».
La ragione della loro obiezione non era, dunque, la condizione omosessuale o l’orientamento sessuale del richiedente o dei promotori dell’evento, bensì il loro intimo convincimento in ordine al matrimonio tra persone dello stesso nonché all’opportunità di promuoverlo. Secondo il collegio, infatti, un conto è rifiutarsi di produrre una torta per un particolare cliente che lo desidera a causa della sua condizione personale, un conto è rifiutarsi di produrre una torta per un evento particolare e che trasmette un messaggio particolare: «Nel nostro caso non ci possono essere dubbi: la pasticceria si sarebbe rifiutata di fornire questa torta a chiunque, non solo al Signor Lee, indipendentemente dalle sue caratteristiche personali. Dunque, non c’è stata alcuna discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale». Tant’è vero che i 5 Lord della Corte hanno aggiunto: «A nostro avviso, (i McArthur) avrebbero avuto il diritto di rifiutarsi indipendentemente dal messaggio trasmesso con/dalla torta richiesta, che poteva essere promuovere quello che è ritenuto un peccato come sostenere un certo partito politico o una particolare denominazione religiosa: il fatto che questo particolare messaggio nel caso di specie avesse a che fare con l’orientamento sessuale è irrilevante. Nessuno può essere costretto ad avere o esprimere un’opinione politica in cui non crede né, conseguentemente, può essergli ascritta alcuna responsabilità civile per essersi rifiuto di esprimere un’opinione politica (o comunque su una questione di ordine pubblico) contraria al proprio credo religioso».
É pur vero che, da altra prospettiva, la pronuncia presta il fianco a una critica (che, invero, la analoga Sentenza della Corte Suprema americana scansava): il rifiuto di prestare un’opera (artistica o professionale) sarebbe, allora, legittimo solo quando il prestatore è in dissenso con il messaggio che l’opera si propone di veicolare o veicola? In altri termini, al di là della configurazione o della disciplina che assume un determinato contratto, un contraente privato non è libero nella scelta dell’altro contraente?
Ma questo apre a una prospettiva più complessa. Quel che rende la sentenza significativa è che essa afferma senza incertezze che le normative introdotte e in via di introduzione dietro l’usbergo del contrasto alle discriminazioni o “per la parità” non possono essere utilizzate – come invece si prova a fare – per costringere tutti a fare e/o a dire qualcosa con cui sono profondamente in disaccordo. Con i tempi che corrono, è già tanto.